“Insubordinati”, rider tra diritti e necessità: l’inchiesta in un libro
A tu per tu con l'autrice, la giornalista Rosita Rijtano, che per un anno ha seguito (anche su due ruote) i lavoratori delle app di delivery.
Si chiama “Insubordinati. Inchiesta sui rider” e ha obbligato la giovane e talentuosa giornalista Rosita Rijtano, di lavialibera (rivista di Libera e Gruppo Abele) e collaboratrice de Il Foglio, a mettersi su bici e moto. Salvo rendersi conto di essere “troppo lenta” per “l’economia” dei rider.
“Insubordinati” è un volume indispensabile che si colloca – con sguardo critico e scevro da prese di posizione per partito preso – in un dibattito annoso, quello sui lavoratori dei servizi di delivery. Scopriamo durante la lettura, attraverso interviste, documenti ufficiali, inchieste giudiziarie e l’indagine sul campo, un settore variegato dove “trovi fianco a fianco chi è riuscito a farsi portatore di vertenze sindacali e ha ottenuto il contratto di lavoro subordinato e chi, al contrario, si batte affinché questo lavoro rimanga libero e autogestito”. Il tutto in un contesto lavorativo dove il “boss” è una piattaforma digitale e l’algoritmo decide per il lavoratore tempi, percorsi, orari e, soprattutto, compensi (oltre a raccogliere ininterrottamente dati su rider e clienti finali).
A noi utenti finali restano domande dal sapore etico: abbiamo creato un nuovo precariato o c’è una nuova economia da regolamentare meglio? Siamo colpevoli anche noi con i nostri smartphone e i nostri pigri stili di vita o no? Lo abbiamo chiesto direttamente all’autrice.
Rijtano, a bruciapelo: se stasera ordino una pizza da un delivery e mi viene consegnata da un rider, devo sentirmi in colpa? Sono parte del problema?
“Sentirsi in colpa, no, che i consumatori siano parte del problema, sì. Un giovane rider una volta mi ha detto che non vorrebbe mai ‘che la gente smettesse di ordinare a domicilio, ma che fosse più consapevole sì’. Io stessa sono diventata più consapevole: uso certe app e non altre, raggiungo il corriere in strada, do spesso la mancia, evito le recensioni. In particolare, le recensioni negative, spesso lasciate con molta disinvoltura, hanno un peso importante nella vita lavorativa del rider, ma in pochi se ne rendono conto“.
Dove nasce la questione rider e, soprattutto, chi avrebbe dovuto porre un freno e non l’ha fatto?
“La maggior parte dei rider viene pagata poche euro a consegna ed è inquadrata come lavoratore autonomo, quindi non ha ferie, malattie, contributi. C’è una quota di rider che preferisce l’autonomia alla subordinazione, e tuttavia il punto è capire quanto il modello attuale sia effettivamente autonomo e come garantire in ogni caso i diritti essenziali dei lavoratori. Una delle principali lacune riguarda la mancanza di un’adeguata tutela assicurativa contro gli infortuni. Nel 2019 la legge 128 ha imposto la copertura dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) anche ai ciclofattorini. La novità introdotta a partire dal febbraio dell’anno successivo ha una pecca: vale solo dal momento in cui accetti l’ordine a quando arrivi a casa del cliente. Se ti fai male mentre scendi le scale dell’appartamento in cui hai appena lasciato una pizza, fatti tuoi. L’Inail motiva la regola spiegando che è l’unico modo per sapere con certezza se l’incidente è successo sul «luogo di lavoro» o meno, qualsiasi cosa l’espressione «luogo di lavoro» voglia dire in questo contesto. Non tiene però conto che tra una consegna e l’altra spesso le piattaforme segnalano ai rider di muoversi in zone dove ci sono più richieste. Anche in quel caso, se cadi o vieni investito, fatti tuoi“.
L’Eurostat di recente ricordava che un lavoratore su 10 in Italia è working poor. Abbiamo creato una nuova sacca di poveri anziché una nuova opportunità?
“Non si può fare l’errore di scadere in un’esagerata tecnocritica e non tenere conto di quanto riporta la Commissione europea nella proposta di direttiva presentata a dicembre con l’obiettivo di migliorare le condizioni del lavoro tramite app, e cioè che le piattaforme sono importanti per l’economia. Ma a tutt’oggi la bilancia dei rapporti di forza è sbilanciata a favore delle aziende, e molti dei lavoratori non sono inquadrati contrattualmente nel modo giusto: le società li considerano autonomi anche quando invece sono subordinati“.
Quanto lavoro le è costato questo libro? Si è messa in moto / bici anche lei?
“Un anno. Per un po’ di tempo, ho seguito diversi rider anche durante le consegne, ma dopo non molto mi hanno chiesto di incontrarci fuori dall’orario di lavoro: ero troppo lenta per loro, quindi gli facevo perdere soldi“.
Dopo tutto quello che ha visto, e che ha scritto, quale la soluzione per uscirne?
“E chi sono, mago Zurlì? (sorride, ndr)”.