Economia

Giorno di Liberazione Fiscale, siamo vicini. CGIA: “Lavoriamo 6 mesi solo per pagare tasse”

Il prossimo 8 giugno si registra il "Giorno della Liberazione Fiscale": come spiega la CGIA, i contribuenti nel 2023 hanno lavorato per 158 giorni per far fronte a tutte le incombenze fiscali. Solo dopo questa data, si può dire di aver lavorato per noi stessi.

Il Giorno di Liberazione Fiscale. La CGIA di Mestre fa suo il concetto permutato dal mondo anglosassone (tax freedom day) per sottolineare come circa la metà di un anno di lavoro sia “impiegato” solo per pagare tasse e contributi. Ma cerchiamo di comprendere meglio la situazione.

Giorno di Liberazione Fiscale: contribuenti stressati dalle tasse

Sì, siamo stressati dalle tasse. E in questa sede abbiamo ritenuto opportuno utilizzare il termine contribuenti, e non italiani in generale, non per un caso: a pagare le tasse in Italia – secondo le rilevazioni di Itinerari Previdenziali – sono circa la metà di coloro che si trovano nella possibilità di farlo.

Infatti, nel dettaglio,

Secondo il dati mostrati da Itinerari Previdenziali – che già qualche mese fa denunciò come non potesse essere credibile che, dati fiscali alla mano, il 57% degli italiani vivesse con meno di diecimila euro all’anno – su 59.641.488 cittadini residenti in Italia all’1 gennaio 2020 sono stati 41.180.529 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2021 (con riferimento all’anno di imposta precedente).

A versare almeno 1 euro di Irpef sono stati però solo 30.327.388 residenti, vale a dire poco più della metà degli italiani: a ogni contribuente corrispondono quindi 1,448 abitanti.

Non volendo qui allungare il discorso, per esigenze di sintesi, sulla spaventosa percentuale di economia sommersa, evasione fiscale e assenza di controlli adeguati che viziano pesantemente la situazione, torniamo alle parole della CGIA che spiega come “questo concluso è l’ultimo weekend dell’anno che lavoriamo per il fisco“.

Mercoledì prossimo, infatti, saremo alla vigilia di quello che viene chiamato il Giorno di Liberazione Fiscale:

“in linea puramente teorica, infatti, mercoledì prossimo i contribuenti italiani terminano di pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali necessari per far funzionare le scuole, gli ospedali, i trasporti, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni. Giovedì 8 giugno, pertanto, festeggiamo il “giorno di liberazione fiscale”.

In altre parole – continua la CGIA – se dall’inizio di gennaio al 7 giugno abbiamo lavorato per onorare le richieste del fisco, dal giorno successivo e fino al prossimo 31 dicembre, invece, lo facciamo per noi stessi e per le nostre famiglie”.

Ma quanto lavoriamo per pagare le tasse?

Secondo gli studi della CGIA, pertanto, si lavora circa 6 mesi per pagare le tasse prima di vivere il “Giorno di Liberazione Fiscale”: tradotto in numeri, è un dato che nell’anno in corso si attesta a circa 158 giorni di lavoro (sabati e domeniche inclusi) per adempiere a tutti i versamenti fiscali previsti (Irpef, Imu, Iva, Irap, Ires, addizionali varie, contributi previdenziali/assicurativi, etc.).

Rispetto al 2022, però, possiamo ritenerci in qualche modo “fortunati”: quest’anno il Giorno di Liberazione Fiscale (tax freedom day) “cade” un giorno prima.

Cosa si intende per “pressione fiscale”

Ma cosa si intende quando parliamo di “pressione fiscale” (e come spiegare, di conseguenza, il giorno di liberazione fiscale)? La pressione fiscale da sempre misura il “peso” del fisco sui contribuenti, in quanto viene calcolata attraverso il rapporto tra l’ammontare complessivo dei tributi e dei contributi versati allo Stato e il Pil. Come spiega la CGIA,

“Nel corso degli anni, comunque, la pressione fiscale ha cambiato “volto”; in ottemperanza ai regolamenti UE di contabilità pubblica, molte misure che concorrono a diminuire il peso del fisco sui contribuenti vengono ora classificate come maggiore spesa per lo Stato e non come minori entrate tributarie o contributive.

Nel Documento di Economia e Finanza (Def) 2022, i tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze quantificavano in oltre 35,5 miliardi le risorse contabilizzate come maggiore spesa che hanno concorso a ridurre il peso del fisco sui cittadini.

Vi rientrano, a vario titolo, i crediti di imposta e le detrazioni concesse a famiglie ed imprese, utilizzate anche oltre il limite di capienza in dichiarazione, a cui si aggiungono gli sgravi contributivi a beneficio di particolari categorie di contribuenti o aree geografiche. Se avessimo tenuto conto di queste specificità, ipotizziamo che il “giorno di liberazione fiscale” del 2022 sarebbe “scoccato” qualche giorno prima.

Nel Def 2023, inoltre, si dà notizia che in seguito ai nuovi orientamenti di contabilità nazionale sono state riclassificate le detrazioni connesse al Superbonus 110% e al Bonus facciate. Queste ultime si sono trasformate da minori entrate, nel periodo di loro utilizzo, a maggiore spesa, a partire dal periodo in cui l’agevolazione è stata introdotta. Nel triennio 2020–2022, ad esempio, tale riclassificazione ha inciso il 4,6% circa del Pil”.

Tutto questo coacervo, quindi, ha comportato la revisione al rialzo delle entrate tributarie.

Come si stabilisce il Giorno di Liberazione Fiscale

Ma come si stabilisce, anno per anno, qual è il giorno di Liberazione Fiscale? Sempre secondo gli studi della CGIA, è un “semplice” calcolo:

“La stima del Pil nazionale prevista quest’anno (2.018.045 milioni di euro) è stata suddivisa per 365 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero (5.528,9 milioni di euro). Di seguito sono state “recuperate” le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno (874.132 milioni di euro) e sono state rapportate al Pil giornaliero.

Il risultato di questa operazione ha consentito all’Ufficio studi della CGIA – spiega l’associazione – di calcolare il tax freedom day del 2023 dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno, ovvero il prossimo 8 giugno”.

Sempre per quanto riguarda il 2023, nel DEF manca una quantificazione ufficiale della pressione fiscale reale, tuttavia si può facilmente ipotizzare che la situazione non si discosti molto da quella del 2022, considerando che la maggioranza degli interventi sono rivolti ad abbassare il peso del fisco in capo a cittadini e imprese.

A questo proposito si segnalano: le misure contro il caro energia, i crediti di imposta per le imprese (energia elettrica e gas), l’abbassamento dell’aliquota del gas naturale e la riduzione degli oneri generali di sistema; gli interventi al cuneo fiscale che danno luogo a una riduzione dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti; l’ampliamento della flat tax alle piccole imprese e l’introduzione della flat tax incrementale.

Abbiamo sempre lavorato tanto prima del Giorno della Liberazione Fiscale?

A questo punto, viene naturale chiedersi una cosa: ma il trend è sempre stato lo stesso? In altri termini, abbiamo sempre lavorato così tanto per “liberarci” dalle tasse e vivere il Giorno della Liberazione fiscale?

In realtà no. Come tutti i trend economici, sono viziati dall’andamento della crescita del Paese, dall’inflazione, dalla pressione fiscale, dal PIL e dalle differenti congiunture sociali ed economiche. Per fare un esempio, dal 1995 la data del “Giorno di Liberazione Fiscale” più breve si è verificata nel 2005. In quell’anno, infatti, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani “bastò” raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle l’impegno economico richiesto dal fisco.

Al contrario, l’anno “peggiore” si è registrato nel 2022, allorché la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” è “scoccato” il 9 giugno.

A questo proposito, però, la CGIA evidenzia che è corretto segnalare che il picco record di pressione fiscale toccato l’anno scorso non è ascrivibile ad un aumento del prelievo imposto a famiglie e imprese, ma da una serie di altri fattori che si sono concentrati nel 2022: come è tristemente noto, infatti, vi è stata un’impennata del costo dei prodotti energetici importati che, unita al deciso aumento dell’inflazione, hanno spinto all’insù il gettito dell’Iva.

Non solo: l’incremento dell’occupazione (rispetto al periodo Covid) ha contribuito ad aumentare le imposte dirette e i contributi previdenziali. Per terminare il quadro, al tempo stesso, nel rispetto dei dettami europei relativi alla contabilità pubblica le risorse per finanziare i bonus edilizi e i crediti di imposta, questi ultimi introdotti per mitigare il caro bollette, sono state classificate come maggiore spesa pubblica e non come minori entrate. Insomma, un disastro da cui dobbiamo ancora riprenderci.

Il Giorno di Liberazione Fiscale: perché è importante esserne a conoscenza

Ma perché ci può interessare così tanto essere a conoscenza del Giorno di Liberazione Fiscale? Un motivo, nemmeno troppo banale, c’è. La CGIA, per l’appunto, spiega che sebbene si tratti di un esercizio puramente teorico fissare la data del Giorno di Liberazione Fiscale serve a dimostrare quanto sia eccessivo il carico fiscale che grava sui contribuenti (qualora ce ne fosse ancora bisogno).

Vale a dire, quanto si “perde” sul lavorato rispetto a tasse e contributi. Un monito per i Governi, soprattutto se paragonato ai trend europei in termini di pressione fiscale: nel 2022, infatti, solo la Francia e il Belgio hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro. Se a Parigi la pressione fiscale era al 47,7 per cento del Pil, a Bruxelles si è attestata al 45,1 per cento. Da noi, invece, ha toccato la soglia record del 43,5 per cento. Tra i 27 dell’Unione Europea, l’Italia si è “piazzata” al terzo posto.

La Germania, invece, si è posizionata al 9° posto con una pressione fiscale del 41,9 per cento, mentre la Spagna la scorgiamo al 12° posto con il 38,5 per cento. La media dei Paesi dell’Area dell’Euro è stata del 41,9 per cento.

Chi paga più tasse in Italia?

Secondo lo studio della CGIA, la realtà fra l’altro si dimostra ancora più complessa: solo nel mese di giugno ai contribuenti “toccano” ben 115 appuntamenti fiscali. Chiaramente non a tutti (un dipendente sarà differente da un pensionato, da un’imprenditore e da un libero professionista) ma il semplice dato rendere l’idea della farraginosità della burocrazia del Bel Paese.

Dando uno sguardo, allora, al Giorno di Liberazione Fiscale in Italia, viene spontaneo chiedersi: chi paga più tasse in Italia? Secondo il report della CGIA, sono i cittadini della Provincia Autonoma di Bolzano a versare il maggior numero di tasse al fisco. Nel 2019 ogni residente di questo territorio ha pagato mediamente 13.158 euro tra tasse, imposte e tributi. Seguono i lombardi con 12.579 euro, i valdostani con 12.033 euro, gli emiliano-romagnoli con 11.537 e i laziali con 11.231 euro. La Calabria, invece, è l’area dove il “peso” del fisco è più contenuto: ogni residente di questo territorio ha pagato all’erario mediamente 5.892 euro. Il dato medio nazionale è pari a 9.581 euro.

Il forte divario tra Nord e Sud del Paese – segnala l’Ufficio studi della CGIA – non ci deve sorprendere. Il nostro sistema tributario, infatti, è basato sul criterio della progressività. Pertanto, nelle regioni dove i livelli di reddito sono maggiori, grazie a condizioni economiche e sociali migliori, anche il gettito tributario presenta dimensioni più elevate che altrove.

Va altresì segnalato che nelle aree geografiche dove il settore primario ha un’incidenza rilevante sull’economia complessiva, le agevolazioni previste dal legislatore (in particolare le deduzioni fiscali) riducono in misura importante la base imponibile dei contribuenti appartenenti a queste attività e, conseguentemente, anche il gettito totale delle imposte versate all’Erario da quella regione.

Infine, per il calcolo del gettito pro capite regionale è stato considerato l’ammontare complessivo delle imposte versate al fisco da ciascun territorio, pertanto il dato sarà maggiore in particolar modo nelle realtà geografiche dove la presenza delle attività economiche è più diffusa“.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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