Economia

Combattere la precarietà del lavoro: e se provassimo a seguire la Spagna?

Oggi davanti ai numeri spagnoli dovrebbe nascere un confronto vero tra governo e parti sociali con l’obiettivo di fare del mercato del lavoro italiano un ambiente sano che produce ricchezza e benessere.

Tra salario minimo e salari al minimo il tema del lavoro e della precarietà è tornato al centro del dibattito pubblico italiano ed europeo. In Italia, però, a rimanere ancora in sordina è uno dei fenomeni che ha caratterizzato il mercato del lavoro degli ultimi decenni, quello della precarietà. Eppure in questi mesi dalla Spagna arrivano dati incoraggianti proprio su questo fronte.

La riforma del lavoro che il Paese iberico ha messo in piedi ha infatti quasi dimezzato il numero di contratti a tempo determinato, passando da una percentuale del 48,2% di lavoratori precari registrarti in aprile ad un 24% del mese di maggio. In altre parole, Madrid ha approvato una riforma del lavoro che ha dimezzato il contratti a tempo in un solo mese.

La situazione della precarietà in Italia

La Spagna è il Paese europeo con il maggior tasso di precarietà e il risultato raggiunto dalla nuova riforma del lavoro rappresenta un successo nazionale ma anche una prospettiva possibile per l’Europa e in particolare per l’Italia. Il numero di lavoratori precari nel nostro Paese è, infatti, sempre più alto e l’intera spinta della nuova occupazione è trainata proprio dai contratti a tempo determinato.

Secondo le rilevazioni Istat, sono 3.166.000 i contratti a termine attivi nel mese di maggio in Italia, un dato che è il più alto dal 1977 ad oggi. Secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, nei primi due mesi del 2022 sono aumentate le assunzioni (1.208.219) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (862.983). Questa crescita, però, è dovuta in larga parte a contratti precari.

Le assunzioni intermittenti sono infatti cresciute del 64%, le stagionali del 45%, i contratti a tempo indeterminato e di apprendistato del 44%, quelli di somministrazione del 37% e quelli a tempo determinato del 35%. Se poi si aggiunge che le cessazioni di questa tipologia di contratti hanno fatto registrare un aumento del 46% rispetto al 2021, si capisce quanto la precarietà sia ancora un elemento portate del nostro sistema. 

L’approvazione rocambolesca della riforma spagnola 

Proprio per questo la riforma spagnola, promossa dai numeri, può essere un esempio da seguire anche in Italia. Il valore della nuova normativa è innanzitutto quello di aver chiuso la fase dell’austerità, che in Spagna aveva contraddistinto anche la recedente riforma del lavoro del 2012 fatta dal Partito Popolare su spinta dell’Unione Europea. 

Il governo attuale, guidato dal socialista Pedro Sanchez, è risuscito, in maniera rocambolesca, ad approvare la riforma senza una maggioranza reale. E infatti la convalida è arrivata il 3 febbraio 2022, con un’avvincente votazione parlamentare. Sono stati 175 i voti a favore e 174 quelli contrari. Un solo voto ha sancito il passaggio di una normativa di portata epocale e quel voto è stato frutto di un errore del deputato dell’opposizione, il popolare Alberto Cassero che ha avuto problemi con il sistema telematico di votazione. 

La riconciliazione del dialogo sociale

La riforma ha avuto come primo merito quello di stabilire un dialogo sano e costruttivo tra le parti sociali che, nella Spagna post-franchista, è stato caratterizzato da un alta conflittualità. La ministra al lavoro Yolanda Diaz ha avuto il merito di aver aperto un tavolo di confronto e di aver resisto per mesi riuscendo a ristabilire rapporti civili, avendo individuato interessi comuni ai datori di lavoro e ai rappresentati dei lavoratori. Oltre al dialogo sociale la riforma ha recuperato una serie di diritti dei lavoratori che negli anni, con l’aumento della precarietà, erano stati persi

La ministra Diaz, oggi astro nascente della sinistra europea, è dunque riuscita a rendere operativa una delle riforme più importati per la Spagna anche perché è, proprio il ridisegno del mercato del lavoro, il principale prerequisito per poter accedere ai fondi europei del Next Generation

Blocco delle esternalizzazioni

Per le aziende che assumono attraverso il sistema di imprese multiservizio spagnole, che rappresentano delle vere e proprie centrali del lavoro precario, un po’ come le nostre agenzie interinali, è stato deciso l’obbligo di rispettare le condizioni di lavoro stabilite dal contratto collettivo di settore, quindi paga uguali e non più ridotte. Si limita così il dumping salariale e il fenomeno, comune anche in Italia, di avere due figure lavorative che svolgono lo stesso lavoro, con le stesse competenze e gli stesso orari ma con retribuzioni, tutele e diritti diversi.

Riduzione della temporalità 

La riforma ha eliminato una serie di contratti, tra i quali quelli per opere e servizi, che negli anni, attraverso l’abbattimento dei costi di licenziamento e di assunzione, hanno trainato la precarietà spagnola. Con l’azione del Governo Sanchez i contratti precari diventano un’eccezione, vengono infatti previsti solo in due casi: per picchi di produzione imprevedibili per non più di 6 mesi e per picchi prevedibili, ad esempio sostituzione di un lavoratore per ferie, per un massimo di 90 giorni. 

Se un lavoratore ha accumulato 18 mesi di contratti a termine in due anni presso la stessa impresa, o una dello stesso gruppo aziendale, il suo contratto a termine si trasforma in maniera automatica in contratto a tempo indeterminato. A questo si aggiunge un inasprimento delle multe per i contratti fraudolenti che non saranno più pagate per azienda ma su ogni accordo fuori regola. 

Turismo e Stagionalità

Come in Italia anche in Spagna il turismo rappresenta una percentuale del Pil importante (13%). Questa dimensione economica, che vive di stagionalità e di flussi in aumento in determinati mesi dell’anno, è una dei settori con il maggior tasso di precarietà. La riforma spagnola è riuscita a fornire una risposta innovativa anche a questo comparto con la creazione dei contratti fissi-discontinui, uno strumento che garantisce ai lavoratori stagionali tutti i diritti e le tutele dei contratti fissi ma con la possibilità per le aziende di non sobbarcarsi costi nei periodi di bassa. Questo contratto ha avuto un effetto importante anche nel comparto agricolo, tipicamente soggetto a picchi di produzione nei periodi di raccolta. 

Contratti formazione-lavoro

L’intero settore della formazione dei lavoratori è stato completamente riformulato. Sono attivi ora solo due tipologie di contratti di formazione: il tirocinio e la formazione alternata. Per entrambi i percorsi le aziende sono obbligate a retribuire il lavoratore in formazione con un salario che sia almeno il 60% di quello quello previsto dal contratto nazionale collettivo del settore, chiudendo così per sempre la stagione del lavoro gratuito in formazione. 

Ammortizzatori sociali

Anche il settore dell’assistenza all’occupazione è stato rivisto con un ridisegno dello strumento della cassa integrazione che è stato esteso a tutte le categorie e a tutti i settori mettendo in piedi un meccanismo, «Rete», attraverso cui rendere corresponsabili le imprese, il governo e i lavoratori nei processi di ristrutturazione economica di ogni settore, con l’obiettivo primario del mantenimento occupazionale

La riforma spagnola può rappresentare per l’Italia un faro. Il nostro Paese con il 17,9% dei contratti precari, con una crescita dell’occupazione trainata solo da contratti a tempo determinato, con un mercato del lavoro che è una selva intricata di tipologie di contratti a tempo, dove la flessibilità tanto esaltata negli anni ’90 si è trasformata in precarietà eterna per intere generazioni che oggi rischiano di non arrivare ad una pensione perché hanno una vita contributiva discontinua, rappresenta un esperimento.

Un esempio concreto di come un sistema produttivo forte possa vanificare le sue competenze e le sue eccellenze seguendo un’idea, quella della precarizzazione del lavoro, che non solo ha tolto diritti, tutele e dignità ai lavoratori, ma, nel lungo periodo, non ha rappresentato neanche fonte di profitti, soprattutto per le nostre piccole e medie aziende che si sono trovate a dover competere con realtà che abbattendo i costi della manodopera, sono diventate sempre più grandi e sempre meno raggiungibili. Oggi davanti ai numeri spagnoli dovrebbe nascere un confronto vero tra governo e parti sociali con l’obiettivo di fare del mercato del lavoro italiano un ambiente sano che produce ricchezza e benessere.  

Claudio Mazzone

Nato a Napoli nel 1984. Giornalista pubblicista dal 2019. Per vivere racconta storie, in tutti i modi e in tutte le forme. Preferisce quelle dimenticate, quelle abbandonate, ma soprattutto quelle non raccontate. Ha una laurea in Scienze Politiche, una serie di master, e anni di esperienza nel mondo della comunicazione politica.

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