Interviste

Da “insegnanti-eroi” a tagli e umiliazioni: la scuola ha scioperato per difendere la sua dignità

"Come è possibile che la centralità della scuola tanto sbandierata durante la pandemia venga tradotta in una serie di misure proposte da un decreto legge che hanno il sapore di una beffa? A chi interessano davvero le sorti della scuola? Difficile dirlo"

Lo sciopero di oggi del mondo della scuola ha registrato numeri record: in quasi tutta la penisola italiana le scuole erano chiuse e compatte, in un unico coro di protesta da parte degli insegnanti e delle parti sociali contro la riforma Bianchi.

Perché lo sciopero della scuola

Ma perché hanno scelto di scioperare oggi? Abbiamo chiesto una spiegazione alla professoressa Maria Teresa Cudemo (in foto), insegnante di inglese nella periferia Nord di Napoli, per comprendere meglio le motivazioni e dare voce al disappunto di un settore tanto fondamentale quanto bistrattato. Che ci parla con franchezza, con sincerità, con il cuore colmo di passione proprio come insegna ai suoi alunni.

“Perché scioperare oggi? Perché accollarsi una trattenuta che pesa e ha quasi il sapore della beffa su uno stipendio che già di per se è basso? Perché stavolta anche i più disillusi sul valore di questo tipo di protesta scelgono di avvalersene? Le risposte sono tante, ma personalmente ritengo di poterle sintetizzare in un solo concetto: la difesa della dignità. Siamo una categoria bistrattata, il cui altissimo valore sociale ha perso rilievo e importanza nel corso degli anni.

Non mi sfuggono affatto le colpe di quella parte della nostra categoria che attraverso comportamenti scorretti e irresponsabili ha contribuito negli anni al rafforzamento di uno stigma, accompagnato dal ritornello dei tre mesi di ferie, della mezza giornata di lavoro e altre amenità del genere. Ma oggi ha deciso di far sentire la propria voce quella maggioranza silenziosa che lavora con passione e che chiede con decisione un rispetto concreto, non solo a parole.

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La professoressa Maria Teresa Cudemo

La vuota retorica dell’insegnante eroe che attraverso la DAD ha provato a fare scuola anche dietro a uno schermo, che nelle macerie emotive del post-lockdown ha svolto un ruolo multiforme, assimilabile a quello dello psicologo, andrebbe sostituita da azioni concrete che restituiscano la dignità di chi lavora con passione e competenza”.

Il peso della riforma Bianchi

La riforma Bianchi, infatti, prevede un taglio circa diecimila cattedre in 5 anni, motivato con il calo delle nascite e quindi della popolazione scolastica. Non solo: il decreto 36 della Riforma Bianchi prevede percorsi più difficili per l’accesso all’insegnamento e un taglio sui percorsi di stabilizzazione dei precari. Oltre, ovviamente, agli stipendi degli insegnanti.

“Si era detto: non più classi pollaio, riduciamo i numeri, seguiamo meglio i ragazzi, in gruppi più ristretti e gestibili. Il Governo invece che fa? Decide di ridurre 11.600 cattedre di potenziamento. Si era introdotta con la riforma della buona scuola una delle pochissime misure giuste, la Carta docente, che con un contributo non sostanzioso ma simbolicamente rilevante, ci consente ogni anno di acquistare testi, eventi culturali e dispositivi, per l’allargare i nostri orizzonti, renderci più completi, aggiornati, consapevoli, tecnologicamente più attrezzati. E il Governo invece che fa? Propone una decurtazione di circa 125 euro sui già scarsi 500.

A quanto pare il taglio andrebbe a finanziare una formazione obbligatoria triennale al termine della quale solo in pochi, previo esame, approdano a un ‘premio’. Intendiamoci, io trovo che la formazione sia indispensabile e l’aggiornamento imprescindibile, a qualsiasi età. Il punto è la modalità con cui viene imposta, a discapito di altro. Si parla da anni di un rinnovo del contratto che riporti lustro al nostro compito, come accade in molti altri Paesi europei in cui lo status del docente è ben più elevato. Se ne parla e basta, appunto”.

La scuola diventa, ancora una volta, la Cenerentola del Paese: la riforma si tradurrebbe in un segno negativo, in un “meno” che pesa sulla vita di insegnanti e studenti.

“Come è possibile – continua la professoressa Cudemo – che al netto delle trattenute una contrattazione seria possa portare a casa come risultato 40 euro al mese netti circa di aumento? Come è possibile che la centralità della scuola tanto sbandierata durante la pandemia venga tradotta in una serie di misure proposte da un decreto legge che hanno il sapore di una beffa? A chi interessano davvero le sorti della scuola? Difficile dirlo.

Chi ama il proprio lavoro lo porta avanti, seppur tra mille difficoltà e umiliazioni. Accendere la scintilla della curiosità nei ragazzi ripaga di tante difficoltà, certo, ma l’insegnante missionario è una figura anacronistica e inaccettabile. La qualità della scuola e la motivazione del personale che la rende il motore culturale, la fucina delle generazioni future dovrebbe essere la priorità di un Paese civile. Accettare supinamente tutto diventa un atto di autolesionismo. Scioperare oggi è stato l’esercizio di un diritto e la necessità di sentirsi meno complici. Chi non fa sentire la propria voce ha meno titolo di lamentarsi. Ci stiamo provando, pagando anche la nostra protesta”.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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