Economia

Criptovalute: classifica dei regimi fiscali. Italia tra i Paesi più severi

Negli ultimi anni sono cresciuti gli investimenti in asset digitali e criptovalute. I ricavi da moneta virtuale però, sono sottoposti a regole fiscali, che cambiano a seconda del Paese. El Salvador e la Bielorussia i più morbidi. Italia, Francia, Finlandia i più severi. 

Lo spiega un’indagine redatta da Sape Cons Ltd, studio legale esperto in criptovalute.

Perché l’Italia è uno dei Paesi più severi sulle criptovalute

“Pochi sanno che in Italia, diverse pronunce dell’Agenzia delle Entrate e varie sentenze di giurisdizionali hanno sottoposto i ricavi da moneta virtuale alle regole fiscali contenute nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (il TUIR) e nel Decreto sull’istituzione e disciplina dell’Iva”, afferma l’avvocato Oreste Maria Petrillo
Quindi le plusvalenze vengono tassate separatamente, mentre per Ires, Irap e Irpef vengono applicati gli scaglioni previsti per legge.

 “In particolare – dice l’avvocato Fabio Santoro – sono assoggettate all’Imposta sul reddito delle persone fisiche i ricavi realizzati sulla vendita di valuta estera rivenienti da depositi e conti correnti a condizione che, nel periodo d’imposta in cui la vendita avviene, il saldo di tali conti ecceda di 51.645,69 Euro per sette giorni lavorativi consecutivi”.

Da qui l’idea di studiare le legislazioni di quasi 50 Paesi e stilare una classifica delle nazioni: tra le più permissive El Salvador è al primo posto, dove il Bitcoin è assunto al rango di moneta legale, e la Capital gain tax è tassata al 10%. Segue la Bielorussia che ha sancito la creazione di un perimetro territoriale all’interno dello Stato con lo scopo di incentivare la tecnologia digitale. Questa zona, gode di un trattamento fiscale preferenziale. Le compagnie pagano lì 1% del reddito come tassa di residenza.

La Finlandia è di tutt’altro segno. I cripto-asset sono considerati delle proprietà e soggette alle regole fiscali relative alla Capital gain quando vengono alienate. Viene applicata un’aliquota secca del 30% (fino a 30.000 euro) o del 34% (oltre 30.000 euro).

“Discorso ancora diverso – spiegano da Sape Cons Ltd – in Francia, dove le criptovalute sono considerate una rappresentazione digitale di valore, la cui tassazione si basa differentemente sulla distinzione tra business e non business. La Income tax, l’imposta sul reddito, è a scaglioni e può arrivare al 45%, mentre la Capital gain tax è secca 30%. Dal primo gennaio, la Corporation tax, la tassa sulle società, è fissata al 25%”.

Ma cosa si rischia se non si dichiarano?

Ne avevamo già parlato: se si possiedono criptovalute si è obbligati a fare il cosiddetto monitoraggio fiscale, cioè comunicare all’amministrazione finanziaria che si è in possesso di attività estere o di natura estera, come le criptovalute, suscettibili di produrre un reddito imponibile.

Il discorso vale anche se in quel momento specifico le monete virtuali non generano ricchezza, quindi si è in una situazione di plusvalenza latente. Attenzione: il monitoraggio fiscale non comporta automaticamente il pagamento di alcuna imposta.

La Guardia di Finanza ha già iniziato un’attività di controllo volta principalmente a contrastare fenomeni di riciclaggio, cioè il reimpiego di redditi non dichiarati in attività finanziarie. Verificando che gli investimenti in moneta virtuale siano realmente presenti nella dichiarazione dei redditi del contribuente.

Redazione

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