Economia

La semina contro il caro prezzi: gli italiani tornano a prodursi da sé soia, mais e girasole

Gli agricoltori italiani - recita una ricerca Coldiretti - spingono sulle produzioni di soia, mais e girasole per fare fronte al caro prezzi dovuto allo stravolgimento del mercato dopo l'esplosione del conflitto in Ucraina

Gli agricoltori italiani piantano più soia, mais e girasole: questi i dati della semina di quest’anno riportati da Coldiretti. L’associazione dei coltivatori, maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, analizza e traduce così l’analisi “Short term outlook” della Commissione europea sui mercati agricoli nel 2022, contestualizzandola al nostro territorio.

Alla ricerca di indipendenza

Secondo le proiezioni dell’Unione europea il raccolto italiano di soia, destinata all’alimentazione degli animali, dovrebbe superare il milione di tonnellate su oltre 290mila ettari coltivati, quello di girasole sfiorerà le 300mila tonnellate su 122mila ettari mentre la produzione di mais sarà di oltre 6,1 milioni di tonnellate su più di 600mila ettari a livello nazionale, nonostante l’emergenza siccità che continua ad interessare importanti aree del Paese a partire dalla pianura padana. Con il 16% in più di soia, il 5% di girasole e l’1% di mais seminati si cristallizza in pratica la volontà di dipendere meno dall’estero. Da Russia e Ucraina, coinvolte in un conflitto che ha di fatto sconvolto i mercati, arrivavano complessivamente in Italia il 13% delle importazioni di mais e il 4,2% di quelle di grano e ben il 60% dell’olio di girasole, ricorda Coldiretti citando il centro studi Divulga. In pratica, sembra emergere la volontà degli agricoltori italiani di tornare a produrre in casa quello che prima gli italiani erano ormai abituati a importare massicciamente dall’estero.

Del resto, Coldiretti afferma: “La semina è un momento importante per contrastare gli sconvolgimenti in atto sui mercati mondiali con l’aumento congiunturale record dei prezzi dei prodotti agricoli del 12,6% rilevato dal paniere della FAO ma anche la preoccupante carenza di forniture provenienti da Russia e Ucraina”.

Nell’ultimo decennio scomparso un campo di grano su cinque

Nonostante l’impennata dei costi a causa dei rincari di sementi, fertilizzanti e gasolio necessari per le operazioni colturali, la ripresa delle coltivazioni c’è. “Un trend favorito – secondo la Coldiretti – anche dal via libera dell’Unione europea alla semina in Italia di altri 200mila ettari di terreno per una produzione aggiuntiva di circa 15 milioni di quintali di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, in modo da ridurre la dipendenza dalle importazioni dei principali prodotti agricoli in Italia e nell’Unione europea”. Va anche tristemente fatto notare, però, che il 30% delle aziende italiane del settore (quasi una su tre) sta lavorando attualmente in passivo.

“L’Italia – evidenzia Coldiretti – è diventata deficitaria in molte materie prime e produce appena il 36% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 53% del mais per l’alimentazione delle stalle, il 56% del grano duro per la pasta e il 73% dell’orzo. L’Italia in particolare è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati”.

Enrico Parolisi

Giornalista, addetto stampa ed esperto di comunicazione digitale, si occupa di strategie integrate di comunicazione. Insegna giornalismo e nuovi media alla Scuola di Giornalismo dell'Università Suor Orsola Benincasa. Aspirante re dei pirati nel tempo libero.

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