Di Giovanni (FIMO): “Senza aiuti, il commercio rischia una catastrofe economica”
Le cicatrici del Covid si fanno ancora sentire. La federazione con sede in Sicilia afferma attraverso il suo presidente: "Necessaria una nuova moratoria sugli effetti del mancato pagamento dei titoli di credito".
Le cicatrici del Covid bruciano ancora per un intero settore che, senza aiuti, rischia “una catastrofe economica“. Quel settore è il commercio al dettaglio (i negozi, per intenderci), quelli no-food e in particolar modo l’abbigliamento.
L’allarme viene da Marco Di Giovanni, presidente di FIMO (Federazione Italiana Moda) Assoimpresa, associazione di categoria autogestita in seno a Assoimpresa che dalla Sicilia afferma: “Stiamo attraversando un periodo drammatico, serve un immediato aiuto da parte del governo perché si rischia una catastrofe economica”.
Del resto, l’allarme di FIMO richiama quello di qualche mese fa di Confesercenti che, a inizio anno, affermava che “i sostegni decisi dal Governo per le imprese sono un riconoscimento della profonda crisi che colpisce le attività economiche, soprattutto nei settori del commercio e del turismo. Ma le risorse messe in campo rischiano di non essere sufficienti, e su lavoro e credito si deve fare di più” (parole della Presidente di Confesercenti Patrizia De Luise al DPCM dello scorso gennaio). E a tutte le latitudini e per tutti i settori specifici le cronache sono piene di gridi d’allarme.
Insomma, i commercianti si aspettano altro a livello centrale per supportarli nella ripartenza. La richiesta di Di Giovanni è quella di “una nuova moratoria sugli effetti negativi derivanti dal mancato pagamento dei titoli di credito ovvero gli assegni o le cambiali”. “Le imprese – continua Di Giovanni – si trovano nuovamente in difficoltà a causa delle mancate vendite dovute al periodo Covid, pertanto sono state iscritte in centrale rischi ovvero in CAI e non possono emettere assegni per sei mesi. L’ultima moratoria è scaduta il 28 febbraio e le aziende, non potendo emettere assegni, non possono ritirare i prodotti”.
Meno prodotti vuol dire negozi aperti ma con pochissima merce e quindi, secondo il leader di FIMO Assoimpresa, è inevitabile “la chiusura”. “Un problema economico – ricorda Di Giovanni – che si trasformerebbe in un problema sociale dati che negozi che chiudono significherebbe personale licenziato”.