Economia

Criptovalute, attenzione alla dichiarazione dei redditi: come inserirle ora

Anche le criptovalute sono da inserire nella dichiarazione dei redditi: ecco come farlo a posteriori

C’è un dubbio che attanaglia molti utenti: le criptovalute vanno inserite o no nella dichiarazione dei redditi? Ebbene, la risposta è si, perché rappresentano comunque un valore monetario in nostro possesso. Malgrado i termini per presentare la dichiarazione dei redditi siano ormai scaduti, però, si può sempre rimediare.

Si prenda ad esempio un caso-tipo: l’Istante, persona fisica residente in Italia, pone un quesito in merito al
trattamento fiscale delle valute virtuali detenute, in alcuni digital wallet, per un lungo periodo di tempo (superiore a cinque anni), senza che le stesse siano cedute o convertite in euro (cd. “strategia di detenzione in holding”).

L’Istante ha chiarito che le valute virtuali sono state acquistate a titolo oneroso, che per la “strategia di detenzione in holding” non è riconosciuto alcun compenso e che alcune valute virtuali sono detenute su wallet presso un exchange estero mentre altre sono in un “hardware wallet” e in un “desktop wallet” con disponibilità diretta di chiave privata.

Criptovalute e redditi, cosa dice l’AdE

Sebbene manchi una vera e propria regolamentazione per le valute virtuali, l’Agenzia delle Entrate a chiarire, con l’interposto numero 788 del 24 novembre 2021, in che modo è necessario dichiarare le criptovalute nella dichiarazione dei redditi:

Il trattamento fiscale applicabile alla detenzione di valute virtuali in capo a persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di arte, professione o impresa, è stato oggetto di chiarimenti nella risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E, con particolare riferimento ai bitcoin. Con tale documento è stato precisato che la moneta “virtuale” è utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale ed emessa dall’Autorità monetaria, la cui circolazione si fonda su un principio di accettazione volontaria da parte degli operatori che decidono di utilizzarla.

Tecnicamente, le “valute virtuali” sono stringhe di codici digitali opportunamente criptati, generati in via informatica mediante complessi algoritmi matematici. Lo scambio di tali codici criptati tra gli utenti avviene attraverso applicazioni software specifiche. Pertanto, tali “valute” hanno natura esclusivamente ” digitale” essendo create, memorizzate e utilizzate attraverso dispositivi elettronici (ad esempio pc e smartphone) e sono conservate, generalmente, in “portafogli elettronici” (c.d. wallet).

I wallet sono classificati in base a criteri diversi tra i quali quelli più rilevanti si basano sulla tecnologica del mezzo di conservazione (i.e. paper, hardware, desktop, mobile, web), sulla connettività alla rete dell’ambiente in cui sono archiviate le chiavi (i.e. hot wallet e cold wallet) e sul controllo o meno della chiave privata da parte dell’utente (custodial/non custodial wallet).

In sostanza, i wallet consistono in una coppia di chiavi crittografiche di cui:
(i) la chiave pubblica, comunicata agli altri utenti, rappresenta l’indirizzo a cui associare la titolarità delle valute virtuali ricevute;
(ii) la chiave privata, mantenuta segreta per garantire la sicurezza delle valute associate, consente di trasferire valute virtuali ad altri portafogli.
Il mercato delle valute virtuali è un mercato estremamente volatile che presenta, quindi, forti oscillazioni al rialzo o al ribasso. Approfittando di tale volatilità può essere realizzata un’attività speculativa a breve termine.

Pertanto, si ritiene che, ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche che detengono valute virtuali al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni in valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni
aventi ad oggetto valute tradizionali. In altre parole, ci si rifà alla disciplina delle plusvalenze (articolo 67 del DPR n. 917/86):

costituiscono redditi diversi di natura finanziaria le plusvalenze […] realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente“;

le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a € 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui”.

Quindi, se ci si trova nella situazione indicata dal DPR 917/86, occorre indicare le criptovalute in possesso nel Quadro RW, lo spazio dedicato agli investimenti in criptovalute. Occorrerà, pertanto, inserire:

  • il codice 14 nella colonna 3 alla voce “Codice individuazione bene“;
  • non compilare la colonna 4 alla voce “Codice Paese estero“;
  • inserire il valore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo fiscale di riferimento facendo attenzione a indicare il valore di cambio al momento dell’acquisto.

Redazione

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