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L’Educazione Finanziaria e la condivisione della “conoscenza”

E' possibile intervenire sul modello comportamentale, cioè sullo stile di vita di un individuo e sul suo modo di prendere decisioni importanti e delicate relative alle proprie spese correnti, all’indebitamento e alla previdenza complementare?

Per il quarto anno consecutivo ottobre è stato proclamato il mese dell’educazione finanziaria. Si tratta di un’iniziativa del Comitato per la Programmazione e il Coordinamento delle Attività di Educazione Finanziaria istituito nel 2017 dal Ministro dell’Economia di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con il Ministro dello Sviluppo Economico.

Obiettivo del Comitato è promuovere e accrescere le competenze finanziarie di tutta la popolazione, tramite iniziative su larga scala, realizzate direttamente o in collaborazione con istituzioni, enti privati e associazioni no profit. Si parte ovviamente dalle competenze in campo economico e dalle nozioni basilari di finanza personale, ma l’obiettivo finale del progetto è quello di intervenire sul modello comportamentale, cioè sullo stile di vita di un individuo e sul suo modo di prendere decisioni importanti e delicate relative alle proprie spese correnti, all’indebitamento e alla previdenza complementare.

La situazione ad oggi in Italia sull’Educazione Finanziaria

Negli ultimi anni sempre più persone hanno dovuto affrontare scelte “finanziarie” complesse. Il mutamento dei sistemi di welfare, ad esempio, ha spinto molte persone a scegliere un fondo di pensione privato e la scomparsa di investimenti a zero o a basso rischio, come i titoli di Stato o derivanti dal mercato immobiliare, ha indotto sempre più persone a scegliere prodotti finanziari ad alto rischio senza il supporto di un’adeguata conoscenza della materia.

Di fronte a tutto questo l’Italia si è trovata profondamente impreparata. I primi interventi sono stati fatti sul tema della trasparenza bancaria e finanziaria in recepimento delle Direttive Europee MiFID (Markets in Financial Instruments Directive) del 2004 (recepita in Italia solo nel 2007) e MiFID 2 del 2018.

Gli ormai conosciuti questionari MiFID, richiesti da ogni istituto bancario in materia di investimenti finanziari, hanno l’obiettivo di individuare il grado di competenza della propria clientela su questi prodotti, in modo che l’intermediario possa fornire, nella più completa trasparenza, tutte le informazioni necessarie dando supporto e tutela all’investitore finale.

Gli effetti ad oggi riscontrabili sul mercato sono purtroppo limitati e questo non solo perché i questionari non contemplano operazioni altrettanto importanti e delicate come prestiti, depositi o prodotti assicurativi, ma anche perché nella maggior parte dei casi vengono purtroppo trascurati dagli investitori o dagli intermediari stessi.  

Le Direttive, nonostante il nobile scopo di disciplinare a livello comunitario le attività poste a tutela degli investitori finanziari, non intervengono inoltre sul problema di fondo, cioè sul grado di cultura finanziaria dell’investitore “medio”.

Secondo le rilevazioni dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) del 2020 il nostro Paese si trova al penultimo posto tra i Paesi del G20, quindi molto più vicino in termini di conoscenza finanziaria di base, ai Paesi cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che a quelli del G7. L’Italia non è purtroppo nuova a questo tipo di “primato” quando si affrontano nello specifico questioni inerenti la cultura e l’alfabetizzazione di massa, non solo finanziaria.

Il nostro Paese è fondato su una forte economia industriale ad alto reddito ma anomala, perché caratterizzata, a confronto con le altre maggiori economie europee, da livelli di istruzione e competenze modesti e con un ritardo storico nell’istruzione rispetto ai paesi più avanzati.

Secondo il Rapporto ISTAT sulla Conoscenza del 2018, nonostante un aumento di 8 punti percentuali rispetto al decennio precedente, la quota di persone tra i 25 e i 64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore resta inferiore di 16,8 punti rispetto alla media europea. Analogamente, le persone tra i 25 e i 64 anni con un titolo di studio terziario sono il 17,7%, pari a poco più della metà del rispettivo valore europeo (30,7%).

La necessità di intervenire era quindi comprensibilmente urgente.

A che punto siamo?

Tanto si sta già facendo per colmare questo gap sull’educazione finanziaria cominciando dal rendere più efficaci le tante iniziative presenti nel nostro Paese. Sul tema dell’educazione finanziaria possiamo annoverare l’istituzione del portale ufficiale di educazione finanziaria del Governo, il portale di educazione finanziaria di Banca D’Italia, l’area delle raccolte tematiche del sito web di CONSOB dedicata all’educazione finanziaria e numerose altre iniziative in collaborazione con istituzioni e fondazioni bancarie, imprese ed enti No Profit.

Si sta puntando alle basi della società a cominciare dalle scuole, promuovendo i principi di educazione finanziaria innanzitutto ai giovani e affiancando ad attività di didattica tradizionale modelli innovativi come l’edugaming.

Nonostante tutto, da un certo punto di vista, la strada da percorrere è ancora lunga. Se trasmettere nozioni è “relativamente” semplice, più complesso è influenzare propositivamente i comportamenti delle persone incentivando una reale propensione al risparmio e l’attenzione alla previdenza integrativa.

I limiti del processo di istruzione in generale (e quello dell’educazione finanziaria non fa eccezione) risiedono nel fatto di non poter trasferire sempre efficacemente un tipo di conoscenza pratica (procedurale) che si acquisisce solo con l’esperienza operativa. Senza in alcun modo sminuire il fondamentale e necessario ruolo dell’apprendimento teorico dei principi e delle regole fondamentali di educazione finanziaria, occorre intervenire incentivando e monitorando anche modelli di condivisione e distribuzione della conoscenza focalizzati su questa disciplina.

Conoscenza è esperienza. Il resto è solo informazione. (Albert Einstein)

Nati come skills in ambito strettamente professionale, con l’avvento della digital transformation e dei nuovi modelli di online community e social networking, il Knowledge Networking e Knowledge Sharing sono diventati un vero e proprio fenomeno culturale che attraverso reti e comunità virtuali consente di condividere con chiunque un patrimonio di conoscenze negli ambiti più disparati: dalla tecnologia all’economia, dalla filosofia alla matematica, portando alla comunità opinioni ed esperienze concrete.

I canali di knowledge Networking si sviluppano come strumenti di trasmissione informale della conoscenza e la quantità di nozioni trasferibili, nonché la velocità con cui è possibile trasferirle è davvero impressionante. Il principio di funzionamento si basa su quella che viene non a caso definita “spirale della conoscenza”: l’obiettivo è creare conoscenza empirica (procedurale) trasformando la conoscenza tacita (cioè quella radicata nelle capacità di un individuo di svolgere un compito o un’azione) in conoscenza esplicita (disponibile all’intera collettività).

Questa conoscenza, resa disponibile e facilmente fruibile a tutti, può essere interiorizzata attraverso l’apprendimento da altri individui, trasformandola in conoscenza tacita nuovamente condivisibile. Stiamo parlando ovviamente di questioni e argomenti molto delicati, come quelli della finanza e della previdenza individuale, ma se correttamente promossi e incentivati dagli stessi “addetti ai lavori” questi canali potrebbero rendere immediatamente più accessibili concetti considerati dalla maggior parte delle persone troppo complessi al punto da evitarne anche il solo approccio.

Non dimentichiamo le imprese

Anche se si pensa all’educazione finanziaria come qualcosa che riguardi il singolo individuo non dobbiamo invece dimenticare che il sistema imprenditoriale riveste un ruolo cruciale quando si parla di cultura finanziaria. Questo vale innanzitutto per il mondo della micro e media impresa italiana: si tratta spesso di attività a conduzione familiare in cui una migliore cultura finanziaria potrebbe essere la condizione principale per una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento e potrebbe ridurre la troppo frequente asimmetria culturale e informativa nel Rapporto Banca-Impresa.

La questione interesserebbe in misura anche maggiore le imprese di più grandi dimensioni il cui ruolo sociale in tema di educazione finanziaria diverrebbe fondamentale per il contributo che esse potrebbero garantire in termini di diffusione e condivisione della conoscenza, in primis attraverso interventi diretti di promozione della cultura finanziaria verso i propri dipendenti. La salute finanziaria e la programmazione previdenziale creano un indiscutibile benessere personale e indirettamente questo va a beneficio anche della realtà aziendale di appartenenza o, in senso più allargato, dell’intera collettività.

Il supporto del mondo imprenditoriale alla diffusione della cultura finanziaria diverrebbe ancora più significativo se attuato da quelle realtà più strutturate che hanno investito su persone, processi e tecnologie di Knowlegde Management, facendo della condivisione della conoscenza una pratica gestionale a supporto delle strategie aziendali. La questione interessa trasversalmente l’area nevralgica di gestione delle risorse umane, ma con opportuni e mirati stimoli, questo modello nato per la valorizzazione del sapere (Know-How) in termini di sviluppo aziendale e competitività del business, potrebbe trasformarsi in un importante catalizzatore della conoscenza anche a supporto del complesso e poco conosciuto mondo dell’educazione finanziaria.

Redazione

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