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Il rapporto Banca-Impresa: negoziazione consapevole e miglioramento del rating

Il rapporto Banca-Impresa ha subito radicali cambiamenti negli ultimi decenni così come è gradualmente cambiato il ruolo che le Banche hanno avuto nell’economia reale del nostro Paese.

La Banca di oggi è molto lontana dal suo ruolo esclusivo di intermediazione tra la raccolta del risparmio e la concessione del credito e svolge una serie di servizi correlati che vanno dalla gestione dei pagamenti ai servizi di rendicontazione, dalla consulenza a famiglie ed imprese fino ad operazioni complesse sui mercati finanziari globali. Le motivazioni alla base di questa evoluzione sono legate principalmente a logiche di profitto.

L’andamento dello scenario macroeconomico degli ultimi decenni è stato caratterizzato da un inesorabile abbassamento dei tassi di interesse e la ricerca del profitto degli istituti di credito si è inevitabilmente spostata su quei margini derivanti da commissioni su servizi a fronte di interessi passivi sempre più bassi.

Come si compone il profitto di una Banca

Il guadagno che la banca ottiene dalle sue attività, genericamente definito come Margine di Intermediazione è composto da tre distinte sotto aree: Margine di Interesse, dato dalla la differenza tra interessi attivi maturati dalla concessione di credito e quelli passivi sostenuti per la raccolta del risparmio; Commissioni Nette, come differenza tra commissioni attive su servizi erogati al netto di quelle pagate per i servizi ricevuti; Altri Ricavi Netti, che comprende tutta una serie di ricavi derivanti da attività extra-creditizie, di trading finanziario o assicurative.

Uno studio della CGIA di Mestre del 2016 ha messo a nudo i conti economici delle banche evidenziando che, nonostante i periodi di crisi che abbiamo attraversato, i margini di intermediazione delle banche tra il 2008 e il 2015 è cresciuto mediamente del 3.7%. Il dato più interessante è quello relativo alla composizione della crescita: a fronte di un calo dei margini sugli interessi del 25%, le commissioni bancarie sono invece aumentate di 2,8 miliardi (+11,5%), mentre gli altri ricavi sono saliti a 9,4 miliardi (+474%).

Queste voci di conto economico, che rappresentano il profitto crescente del modello “imprenditoriale” Banca, incidono specularmente e proporzionalmente nei bilanci delle imprese italiane che sempre più si avvalgono dei servizi offerti dal sistema bancario e che proprio in questi periodi di crisi necessitano di soddisfare il loro crescente fabbisogno finanziario.

La natura di queste voci di costo differisce però per logiche di calcolo e applicabilità.

Mentre le commissioni derivanti da servizi bancari si prestano alla negoziazione tra le parti secondo le naturali logiche di mercato, la concessione di credito bancario comporta l’applicazione di oneri (come il tasso di interesse – o lo spread in caso di tassi indicizzati a parametri di mercato – e le commissioni sull’affidato) che dipendono anche e soprattutto dal rating attribuito dalla banca al cliente.

Perché viene calcolato il rating

In considerazione del delicato ruolo sociale ed economico che le banche rivestono nella concessione di credito a famiglie e imprese, l’Autorità Bancaria Europea, in un excursus normativo che ha interessato gli ultimi 30 anni della storia bancaria Europea, ha obbligato in modo sempre più sottile e stringente gli istituti bancari ad accantonare, a tutela dei risparmiatori e dell’intero sistema creditizio, una percentuale di patrimonio (Patrimonio di Vigilanza) proporzionata al rischio di ciascun impiego.

Il rating è quindi un giudizio sintetico che la banca deve elaborare al fine di attribuire alla controparte un coefficiente di rischio, una probabilità di default in base alla quale il contraente potrebbe non restituire il capitale contratto a debito. Migliore sarà il rating della controparte, minore sarà il patrimonio che la banca sarà costretta ad accantonare a fronte di quell’attività.

Se quindi rischio e accantonamenti di capitale rappresentano rispettivamente costi impliciti e palesi che la banca sostiene nei suoi impieghi di capitale, è intuibile che questi costi saranno ribaltati alle controparti nella determinazione delle condizioni economiche applicate a prestiti e affidamenti e che l’entità di questi ribaltamenti sarà strettamente correlata al livello di rischiosità attribuibile a ciascuna attività.

Quali sono quindi le strategie che un imprenditore, indipendentemente dalla dimensione e dal settore della propria azienda, deve attuare a tutela dei propri interessi e quali le azioni da intraprendere per monitorare e ridurre spese bancarie e oneri finanziari?

Saper negoziare con il “Fornitore-Banca”

I necessari interventi partono innanzitutto dal migliorare la propria capacità negoziale con il “Fornitore-Banca”. Migliorare la negoziazione delle condizioni economiche applicate dagli istituti bancari vuol dire avviare un processo di costante monitoraggio di questi elementi che possa garantire una visione consapevole di insieme del rapporto con la propria banca. Il confronto delle condizioni economiche “nominali” reperibili da contratti di finanziamento o documenti di sintesi costituisce solo l’inizio di questo percorso.

La capacità negoziale, seppur fondamentale, non è tra l’altro sufficiente per quella componente di oneri che dipende in buona parte dallo standing creditizio del debitore (o potenziale debitore).

In un recente articolo dedicato a Machine Learning e Analisi del Rischio abbiamo descritto i fattori quantitativi, andamentali e qualitativi che condizionano il giudizio sintetico di un istituto bancario verso la sua controparte e di come le moderne tecniche di apprendimento automatico stiano lentamente sostituendo l’intervento umano rendendo questo tipo di analisi tanto complessa e altrettanto delicata. Gli elementi in gioco sono numerosi e, nonostante una discreta aleatorietà di alcuni di questi, è possibile comunque intervenire su vari fronti definendo strategie e azioni differenziate.

Come migliorare lo “standing” creditizio

Definire una struttura di indicatori chiave che siano calcolati non solo su dati storici (backward-looking) ma anche e soprattutto su dati prospettici (forward-looking) rinvenibili attraverso un accurato processo interno di pianificazione economica, patrimoniale e finanziaria. La necessità di cambiare prospettiva viene tra l’altro ufficialmente stimolata su più fronti: la nuova normativa sulla crisi d’impresa (al momento rinviata al 2022 causa emergenza pandemica) e le linee guida emanate quest’anno dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti sull’informativa finanziaria aziendale sono solo tra gli esempi più autorevoli che possiamo riportare.

Richiedere e monitorare periodicamente la Centrale Rischi di Banca D’Italia, l’unica centrale rischi pubblica e a segnalazione obbligatoria che consente di verificare come le banche ci stanno valutando. L’analisi approfondita di questo documento consente di evitare errori e modificare alcuni comportamenti al fine di risolvere criticità o anche solo per migliorare la propria esposizione. Allo stesso scopo andrebbe ovviamente migliorata la capacità di gestire previsionalmente la propria liquidità in un orizzonte di breve periodo focalizzando quotidianamente sui saldi dei singoli rapporti bancari e implementando processi e strumenti di gestione anticipata della tesoreria aziendale.

Intervenire infine sulla reputazione del soggetto Azienda nei confronti del mondo esterno su aspetti anche non necessariamente correlati alla gestione economica e finanziaria dell’azienda. Le aziende sul piano operativo devono innanzitutto adottare procedure e strumenti interni per il monitoraggio, la prevenzione e la gestione proattiva dei rischi al fine di assicurare la necessaria trasparenza e affidabilità dell’informazione finanziaria aziendale.

Capacità di negoziare e saper migliorare la propria “bancabilità” sono entrambi riflesso di una presa di coscienza che deve interessare tutte le Imprese senza alcuna distinzione. Non si tratta di sopperire ad un’esigenza sopraggiunta, ma di aprire l’Impresa ad un vero e proprio cambiamento culturale che, attraverso i principi fondamentali dell’educazione finanziaria, consenta di affiancare alle consuete logiche della marginalità e del profitto una costante e attenta analisi degli equilibri e della sostenibilità finanziaria nel breve e lungo periodo. I risvolti saranno anche profondamente sociali perché un tale modello economico consente di salvaguardare non solo gli interessi economici dell’imprenditore, ma di tutte le parti, interne ed esterne, coinvolte nella sua Impresa.

Redazione

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