Economia

Livolsi & Partner: senza quotazione in Borsa le PMI perdono occasione di crescita

Le PMI italiane non si quotano in borsa: ecco il perchè secondo l'indagine di Livolsi & Partner

Quanto emerge dal report della Livolsi & Partner, azienda milanese di consulenza finanziaria, fa riflettere molto. Dalla survey condotta su un campione rappresentativo di quaranta aziende con un fatturato annuale registrato nel range che va dai 10 ai 900 milioni, emerge che le PMI italiane non si quotano in borsa e, di fatto, perdono una grande occasione di crescita e di sviluppo economico-finanziario.

Secondo i dati della Livolsi & Partner, le PMI non vogliono quotarsi in borsa per motivi riconducibili a:

Trasparenza: il 35% ha paura di rendere pubblici i propri report finanziari;

Confronto: il 30% delle PMI ammette la scarsa predisposizione a condividere obiettivi e risultati, ossia di avere periodici confronti con gli investitori (il mercato) e rappresentanti terzi nei cda;

Management interno: il 25% delle aziende registra nei ruoli apicali la presenza di una figura interna e non esterna, dato che inciderebbe verso una visione più conservativa del management;

Spese e oneri di quotazione: per il restante 10% le spese di quotazione risultano gravose, perché mediamente assorbono tra il 5% e il 15% del controvalore dell’offerta.

L’indagine di Livolsi & Partner

“Le nostre aziende – afferma il responsabile delle operazioni di finanza straordinaria – sono abituate a risolvere i loro problemi finanziari tramite l’indebitamento bancario. Una situazione destinata a cambiare grazie ai processi di m&a (mergers and acquisitions), ai fondi di private equity, a tutti quegli strumenti come mini-bond, private debt, pir (piani individuali risparmio) e in prima istanza alla quotazione in Borsa. L’imprenditore deve essere il primo a capitalizzare la propria azienda se vuole che gli altri investitori, pubblici e privati, e le banche lo seguano nel suo progetto. Bisogna anche dire che il ricorso all’indebitamento da parte delle imprese è diminuito anche a seguito delle fusioni e concentrazioni avvenute nel settore bancario”.

Massimo Bersani managing partner della Livolsi & Partners

Secondo Livolsi & Partner, quindi, vi è una generale tendenza a non aprirsi sul mercato in favore di una gestione “privata” affidata agli strumenti di credito delle banche. Ma questo rappresenta un limite enorme per un Paese che vede nelle fila imprenditoriali una quota consistente di PMI: la quotazione in borsa, infatti, cambia lo status dell’impresa non solo per la visibilità che ne consegue ma anche per la credibilità diversa che ne deriva.

Un’azienda che si impegna a quotarsi in borsa, in altre parole, cambia il suo asset societario in favore di quello del mercato: il consiglio di amministrazione e il management dovrà per forza di cose assumere una struttura qualificata e qualificante, per adeguarsi ad affrontare le sfide di mercato che non sono solo finanziarie. Quotarsi in Borsa, infatti, significa rispettare i requisiti della trasparenza e della reportistica, di politiche interne, di controlli e di documentazione che creano un plusvalore riconosciuto in termini di appetibilità e stabilità economica.

Per la Banca d’Italia, sarebbero almeno 2000 le piccole e medie imprese italiane che potrebbero affrontare la sfida della quotazione in borsa, ma che non hanno ancora gli strumenti manageriali per farlo.

Come vincere la sfida

L’indagine riflette i dati di Borsa Italiana, in base a cui a fine 2020, la capitalizzazione complessiva delle società quotate a Piazza Affari è scesa a 607 miliardi di euro contro i 651 miliardi di euro dell’anno precedente. All’opposto Wall Street ha registrato un 2020 record, col valore delle ipo (initial public offering) pari a 435 miliardi di dollari. Eppure, anche in un mercato non molto liquido come l’AIM (alternative investment market) Italia, negli ultimi due anni la capitalizzazione delle aziende che si sono quotate è cresciuta di oltre il 70%. Inoltre, a fine 2019 il rapporto tra capitalizzazione di mercato e pil risultava pari solo al 36% in Italia, lontano dall’oltre 50% di Germania e ancor più dal 100% di Francia e Regno Unito.

Secondo Livolsi & Partner per vincere la sfida e convincere le PMI a quotarsi in borsa è necessario offrire alle aziende un sistema di incentivi fiscali, e magari di percorsi di consulenza, per superare le ataviche resistenze. Una soluzione potrebbe essere “un ‘fondo dei fondi’, un fondo di private equity, pubblico/privato (50% ciascuno), col coinvolgimento di cdp (cassa depositi e prestiti), dove per attrarre i risparmiatori si possa prefigurare una liquidation preference ai privati rispetto alle istituzioni finanziarie”.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button