Nice2me, il social network italiano che crea vere amicizie. L’intervista
Nice2me è il nuovo social network italiano nato con l’idea di far incontrare dal vivo le persone che vivono nelle stesse aree, condividono gli stessi interessi, ma non lo sanno
Quante volte alla classica partita di calcetto tra amici qualcuno ha dato forfait all’ultimo e avete giocato con un uomo in meno? Eppure nel raggio di pochi metri c’era probabilmente qualcuno che sarebbe sceso in campo ben volentieri, ma voi non potevate saperlo. Almeno fino ad adesso. Perché Nice2me potrebbe risolvere anche questo problema. Si tratta di un social network, o meglio di un live connection network, nato proprio con l’idea di far incontrare dal vivo le persone che vivono nelle stesse aree, condividono gli stessi interessi, ma non lo sanno.
Ne parliamo con i due fondatori Stefano Esposto e Filippo Zavagnini.
Come funziona Nice2me?
“La nostra app – spiega Esposto – permette di inserire i propri interessi. Dopodiché ha due modalità per far incontrare le persone: un proximity alert che se attivato segnala automaticamente chi, in quel momento, nel raggio di 500 metri ha i tuoi stessi interessi; e una modalità di ricerca off-line che ti permette di arrivare a un raggio di 10 km. Il tutto – aggiunge Zavagnini – è supportato da stanze monotematiche virtuali, su base provinciale, dove si possono creare eventi a cui partecipare di persona”.
Qual è lo scopo?
“Nei social network classici – continua Esposto – abbiamo un’infinità di “amici”, ma in realtà molti di questi non li conosciamo, né li frequentiamo. Con Nice2me, invece, l’obiettivo è di creare amici veri, persone che vivono intorno a te, con cui hai molte cose in comune, ma non lo sai. Con questa app le potrai incontrare dal vivo. Inoltre, adesso si stanno verificando non pochi problemi con i social classici, come episodi di dipendenza, di perdita delle relazioni sociali, senza contare le fake-news e l’hate speech sempre più diffusi. In qualche modo noi siamo l’alternativa a tutto questo”.
Con Nice2me quindi scompaiono fake news e hate speech?
“Sicuramente nelle community basate sugli interessi e con un raggio d’azione provinciale – spiega Zavagnini – il rischio che qualcuno da un’altra parte del paese si inserisca e pubblichi cose non pertinenti è decisamente minore. Tuttavia ci stiamo già attrezzando con un gruppo di moderatori per le chat. Inoltre la app prevede la possibilità di segnalare abusi e, anche negli incontri one to one, gli utenti possono bloccare gli altri e non comparire per determinate persone, se lo desiderano”.
Per il momento siete presenti a Pesaro, dove volete arrivare come copertura?
“Non ci poniamo limiti geografici – spiega Esposto – A breve testeremo la app in una città medio grande come Firenze. Abbiamo ricevuto l’interesse di 11 università e da lì partiremo per allargare il servizio a tutto il paese. Ma stiamo già guardando all’estero – gli fa eco Zavagnini -. Un certo interesse è nato negli Stati Uniti e, appena la situazione del Covid ce lo permetterà, faremo un viaggio di lavoro in America per provare ad allargare il nostro campo d’azione”.
Quanto è difficile fare un social network in Italia?
“La prima difficoltà riguarda il bacino di utenza – spiega Esposto . Noi siamo nati a Pesaro. Qui quasi tutti già si conoscono. Il nostro progetto è stato comunque utile, perché ha fatto scoprire a tanti cittadini che in qualche modo erano già in contatto che avevano anche interessi in comune. Tuttavia, essendo la popolazione italiana inferiore rispetto a quella americana o cinese è più difficile creare delle economie di scala”.
Ci sono problemi nel trovare competenze e una legislazione adatta per una start up italiana?
“Le competenze stanno migliorando – continua Esposto -. Ci sono anche diverse eccellenze. Sulla legislazione invece siamo all’anno zero. Nelle settimane scorse abbiamo fatto un enorme passo indietro, quando il Consiglio di Stato ha stabilito che per aprire una start up ci vuole un notaio. Questo significa caricare di costi un’impresa che non è ancora nata e che essendo particolarmente innovativa ha già un rischio di impresa molto alto di suo”.
E per gli incentivi?
“Anche qui dobbiamo fare molto – risponde Zavagnini -. I bandi ci sono, ma le tempistiche italiane per una start up sono troppo lunghe. Magari vinci un bando, ma poi devi aspettare mesi per ricevere la liquidità. Il tempo per imprese come le nostre è essenziale. Siamo aziende veloci e ci vorrebbe una burocrazia che tenga il nostro passo. In Italia inoltre venture capital e business angel sono ancora pochi e hanno disponibilità inferiori rispetto a paesi come gli Stati Uniti. Insomma su questo dobbiamo molto migliorare, perché facendolo bloccheremo anche la fuga di cervelli di cui tanto si parla”.