“Incubatori di imprese? Buoni risultati ma occorre fare sistema”. Intervista a Mario Raffa
"Essenziale è creare l’humus per far crescere queste aziende che, altrimenti, lasceranno il Sud. Per creare il giusto habitat non bastano gli incubatori".
Mario Raffa, già professore ordinario dell’Università Federico II, è stato uno dei fondatori dell’ingegneria gestionale in Italia. Intuì insieme ad altri, oramai più di trent’anni fa, che nelle organizzazioni, sia pubbliche che private, non bastavano le conoscenze tecniche per farle funzionare. Ma occorreva un mix di conoscenze scientifiche e umanistiche. Da lì è nato il suo impegno per l’innovazione, la nascita di nuove imprese innovative e anche per gli incubatori di imprese, un’altra materia in cui può definirsi un decano e dove centrale è un altro mix: quello pubblico – privato. Oggi siede nel consiglio direttivo del PNICube, l’associazione che raccoglie 50 enti tra Università e incubatori accademici con l’obiettivo di stimolare la nascita e accompagnare al mercato nuove imprese innovative provenienti dalle università.
Professore, quando si parla di start up innovative il primo dato che viene in mente è che solo l’1% diventa un unicorno (cioè riescono poi a superare un valore di mercato di oltre 1 miliardo di dollari). Non è un dato confortante…
“Le rispondo con una domanda: l’1% le sembra poco? Quando abbiamo iniziato più di 20 anni fa con gli incubatori ci siamo detti: ‘Se in Italia una start up su mille diventa una grossa azienda, con una popolazione di 60 milioni di abitanti, abbiamo cambiato il paese’. E devo dirle che il paese sta cambiando anche solo con l’1% a cui si riferisce lei. Oggi il 39% dei dottoranti e degli studenti dei master dichiara di voler fare impresa. E questo è un enorme cambio di prospettiva perché sta cambiando la mentalità, gli studenti ragionano per risultati e così si cambia il mondo. Lo dico da uomo del Sud: se passiamo, come sta avvenendo, da una mentalità ‘da posto fisso’ a una mentalità imprenditoriale abbiamo fatto una rivoluzione”.
Si può però fare di più, cosa manca?
“Certo che si può fare di più e credo che si possa arrivare al 2-3% di unicorni, ma per farlo bisogna creare sempre di più quello che viene chiamato un “ecosistema di supporto all’innovazione”. Vediamolo con un esempio”.
Prego.
“Quando ero Assessore allo Sviluppo del Comune di Napoli, abbiamo creato insieme agli imprenditori orafi di Napoli un incubatore per le imprese artigianali del settore nel centro della città. Ogni volta che li incontro si ricordano di me per il successo assicurato al consorzio Antico Borgo Orefici, ma anche per un particolare, sa quale? I bagni”.
Dice sul serio?
“Certo. Perché il Comune ai tempi creò le infrastrutture e i servizi per cambiare il volto del quartiere tra cui anche 6 bagni al pianoterra dell’incubatore, che i turisti e i crocieristi possono utilizzare quando vengono a visitare il Borgo Orefici e le zone limitrofe. Poi però si sono innestati sul progetto i privati che l’hanno portato avanti fino ad oggi (l’incubatore è nato nel 2010 e la gestione dell’incubatore “La Bulla” è assicurata dal consorzio dei privati che curano la gestione ordinaria e a cui aderiscono più di 100 aziende del settore ndr). L’incubatore forma anche i giovani del quartiere che poi trovano lavoro nel settore. Non è un caso che l’incubatore e le sue opere vengano protette dal quartiere. Attenzione, però, il Borgo Orefici è di successo perché aveva anche una tradizione orafa secolare alle spalle, l’incubatore gli ha dato la spinta nel nuovo millennio. Perché lo sviluppo deve mirare a una trasformazione dei territori e a fornirgli i servizi necessari, ma basarsi sulle sue vocazioni. Alcune cose le puoi fare solo nella Silicon Valley, ma altre solo a Scampia”.
Come è stato fatto a Milano per l’Expo?
“Esatto. Ho passato ore a discutere con amici e colleghi che contestavano l’evento. Sostenevo che non dovevano guardare solo all’Expo, ma a quello che stava portando e avrebbe portato alla città. Infatti a Milano prima hanno realizzato i servizi, come l’alta velocità a Rho, e poi hanno fatto un evento che ha rilanciato la città agli occhi del mondo”.
Milano e Napoli. In Lombardia ci sono 8 incubatori di impresa riconosciuti. In Campania solo 2. Come si recupera il gap?
“La verità è che, secondo i dati ufficiali, la Campania e Napoli si posizionano al momento al terzo posto come regione e città per nascita di imprese innovative, occupando la prima posizione nel Mezzogiorno. Non è un cattivo risultato, ma anche qui si può migliorare accorciando il tempo tra i risultati della ricerca e l’arrivo sul mercato dei risultati di queste ricerche con le start up. Al tempo stesso, e anche questo sta migliorando, dobbiamo trovare nuovi investitori, imprenditori innovativi, venture capitalist e business angels che si impegnino a supportare queste nuove imprese, sia nel lungo che nel breve periodo. Essenziale è creare l’humus per far crescere queste aziende che, altrimenti, lasceranno il Sud. Per creare il giusto habitat non bastano gli incubatori. Perché le eccellenze sono importanti ma da sole non fanno sistema. Quello bisogna crearlo. In poche parole bisogna sforzarsi di realizzare una politica industriale adatta ai tempi della società della conoscenza che unisca enti, istituzioni, imprese e persone in una logica di sviluppo sostenibile con risultati misurabili e con un fine pubblico”.