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Parità salariale, l’Europa rilancia: obbligo trasparenza (altrimenti ci arrabbiamo)

L'UE imporrà alle aziende la trasparenza salariale e l'adeguamento della parità fra uomini e donne. Ma nonostante le buone intenzioni di una lotta (giusta) di civiltà, le falle della burocrazia rischiano di svilire iniziative volte al superamento del gender pay gap

Un nuovo passo in avanti, sempre più deciso, da parte del Consiglio Europeo sul tema della parità salariale e della trasparenza nelle retribuzioni fra uomo e donna all’interno delle aziende. Una posizione che non è del tutto inedita: come già anticipato con il via libera dal Parlamento Europeo alla direttiva che contrasterà il gender pay gap, solo un mese fa sono state introdotte nuove regole vincolanti per gli Stati membri volte alla trasparenza e alla parità in termini di retribuzione.

Ma andiamo con ordine.

Parità salariale, la nuova sfida dell’Europa dei Diritti

La parità salariale si attesta, quindi, a pieno titolo come nuova sfida dell’Europa dei Diritti: come scrivevamo in premessa, solo quattro settimane fa il Parlamento Europeo ha stabilito una serie di regole e direttive cui gli Stati membri dell’Eurozona dovranno conformarsi in termine di parità salariale, per il superamento del gender pay gap.

In estrema sintesi, per garantire la parità salariale fra dipendenti uomini e donne – le quali, risultano ancor enormemente sfavorite nel mercato del lavoro, seppur con punte di ottimismo in merito ai dati dei singoli Paesi europei – l’Europa aveva introdotto nuove regole vincolanti che impongono un mutamento nei criteri di assegnazione della retribuzione, della descrizione della figura professionale la quale dovrà essere neutrale rispetto al genere, sia nel settore pubblico che in quello privato, e l’eliminazione del segreto salariale (non sarà più consentito di non poter accedere alle informazioni salariali dei propri colleghi).

Cosa accade, dunque, con il regolamento appena adottato dalla Commissione Europea in termini di parità salariale? L’obiettivo è quello di rendere palese l’attuazione della trasparenza salariale, dato che imporrà alle imprese dei Paesi membri dell’Unione di effettuare una valutazione insieme ai lavoratori e ai loro rappresentanti se le analisi sulle retribuzioni dovessero mostrare un divario di genere di almeno il 5%. La misura punta a ridurre il divario di stipendio fra lavoratori e lavoratrici che attualmente si attesta al 13%.

Parità salariale e trasparenza, i passi in avanti

Dunque: abbiamo capito che la lotta per la parità salariale è in salita ed è appena iniziata. E ci siamo chiesti, nel concreto: cosa cambia con il regolamento sulla parità salariale in Europa?

Cercando di semplificare il complesso dedalo di vincoli e atti burocratici, occorre sapere che per le imprese che non si adegueranno alle norme – che prevedono, fra l’altro, un tasso “accettabile” per il divario economico di genere inferiore al 5% – ogni Stato membro dovrà prevedere un sistema di certificazione e di sanzioni da applicare nei confronti dei datori di lavoro che non rispettano le regole.

La nuova legislazione richiederà alle aziende dell’Unione, inoltre, di divulgare informazioni che rendano più facile per i dipendenti confrontare le retribuzioni ed esporre in modo trasparente i divari retributivi di genere esistenti, ponendo fine alla segretezza salariale.

A questo punto, ci arrabbiamo se le regole sulla parità salariale non verranno rispettate: gli Stati membri devono stabilire sanzioni per i datori di lavoro che violano le regole, mentre il lavoratore che ha subìto un danno a causa di una violazione avrà diritto a chiedere un risarcimento. Nei casi in cui un lavoratore ritenga che il principio della parità di retribuzione non sia stato applicato e porta il caso in tribunale, il diritto nazionale dovrebbe obbligare il datore di lavoro a dimostrare che non vi è stata discriminazione e non il contrario.

Inoltre, per la prima volta, la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie sono stati inclusi nell’ambito di queste nuove regole. La direttiva sulla trasparenza salariale entrerà in vigore dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea e i Paesi dell’Eurozona avranno fino a tre anni per adeguare le loro leggi nazionali per tener conto delle nuove regole.

Dubbi e perplessità su una regola giusta

Sia chiaro: chi scrive (si può attestare facilmente ricercando nella cronologia degli articoli dedicati al tema) è assolutamente d’accordo che un organismo sovranazionale come l’Unione Europea lotti per garantire la dignità delle lavoratrici e che venga superato il gender pay gap.

Ma come tutti i regolamenti e le leggi, la burocrazia lascia sempre qualche falla: infatti, il regolamento sulla parità salariale prevede che inizialmente l’obbligo di trasparenza possa essere applicato – oltre i tre anni di tempo per adeguarsi alla normativa, che sono ere geologiche nel mondo del lavoro – solo alle aziende con 150 o più dipendenti, anche se due anni dopo la scadenza del recepimento, l’obbligo di rendicontazione ogni tre anni sarà esteso alle aziende con più di 100 dipendenti.

Il problema che presenta il regolamento sulla parità salariale – al momento – è proprio questo: non include aziende di minori dimensioni e, noi donne italiane, soprattutto del Sud Italia, sappiamo benissimo cosa vuol dire. In un’ecosistema economico basato su imprese familiari o micro, piccole e medie – quindi ben al di sotto dei 100 dipendenti – un’iniziativa del genere rischia di restare nel dimenticatoio.

Invece, diversi studi hanno dimostrato che intervenire sulla parità salariale e dunque contrastare sia la scarsa presenza femminile nelle posizioni di leadership aziendali che la mancanza di equità salariale, può avere un impatto positivo sulla crescita socio-economica del Paese, sulla rappresentatività di genere all’interno del mondo degli affari e positivamente sulla motivazione e sull’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici.

Messa in altri termini, maggiori diritti – anche a proposito della parità salariale, che si attesta come battaglia di civiltà – significa maggiore ricchezza per tutti. E questo si traduce in una società sana, prolifera, dedita a far crescere economie e famiglie. Magari il Governo Meloni ne prenderà spunto, ma non possiamo più permetterci di “lasciare indietro” l’altra metà del cielo.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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