Sociale

Gender pay gap, l’11 febbraio è il giorno in cui le donne iniziano a “guadagnare”

"L’equivalente di 42 giorni senza retribuzione rispetto agli uomini è la misura di una vera e propria ingiustizia sociale che si perpetra ai danni delle donne nel nostro Paese".

A dispetto delle buone intenzioni sulla volontà di porre fine al gender pay gap, l’analisi dell’Osservatorio JobPricing e LHH recruitment solution lascia senza parole:

“È l’11 febbraio il D-Day delle donne. Solo da questa data – spiega Riccarda Zezza, ceo e fondatrice di Lifeed e autrice del libro “Maternity as a master”infatti le donne cominciano a guadagnare, sebbene lavorino dal primo giorno dell’anno. Un dato che mostra quanta strada deve ancora fare l’Italia. Il gap salariale (o gender pay gap) rispetto agli uomini si è ampliato nell’ultimo anno dello 0.9% e questa è una pessima notizia, non solo per le donne.

Le donne sono in media più istruite a tutti i livelli (59,4% di laureate sul totale), hanno performance scolastiche superiori (il 43% delle ragazze ottiene un voto d’esame superiore o uguale a 8, rispetto al 31,7% dei ragazzi) e abbandonano meno gli studi (10,5% delle ragazze contro il 14,8% dei ragazzi). Ma in azienda guadagnano meno”.

Le retribuzioni “lente” delle donne e il gender pay gap

Da dove nasce questa tendenza alle retribuzioni “lente”, che acuiscono il gender pay gap?

“Questo trend – spiega Zezza – è figlio sì di politiche salariali non aderenti al tempo, ma è anche frutto di percorsi individuali accidentati. Le donne sono quelle che hanno contratti di lavoro più instabili e fragili, quelle che scontano la maternità e quelle sulle cui spalle pesa la maggior parte del carico familiare in termini di cura”.

Ma allora, le donne, sono veramente svantaggiate o è una questione culturale?

“Paradossalmente – fa notare – questi elementi rendono invece le donne più forti e con competenze più utili nelle aziende: superare transizioni come il cambio di un lavoro rende più consapevoli (81% delle donne che ha fatto un percorso Lifeed si sente più consapevole grazie alle transizioni di vita), affrontare la maternità migliora la capacità di organizzazione (77 %), le competenze legate alla leadership (80 %), la gestione dello stress e il problem solving (83%).

Infine occuparsi di un parente malato o in generale avere ruoli di cura rende più consapevoli, affidabili, empatici (85%) e più motivati sul lavoro (77%) impiegando al meglio le risorse disponibili per raggiungere gli obiettivi. Sempre secondo i dati dell’Osservatorio Vita lavoro di Lifeed valorizzare la genitorialità consente di far emergere talenti che, per il 70% sono espressi solo nei ruoli personali”.

“Le persone che possono esprimere sul lavoro – dice – tutte le loro capacità si sentono più viste e più vicine ai valori della propria azienda, con un impatto positivo sulla retention e sulla reputazione, punti di forza per attrarre le nuove generazioni e i talenti, soprattutto femminili. Ma le aziende lo stanno scoprendo, anche se molto lentamente. I cambi di prospettiva sono processi lunghi, per molto tempo sotterranei”.

Le donne e il lavoro: un mondo complesso

Ma non è tutto sempre rose e fiori…

“Disincentivare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro – commenta Zezza – è un danno non solo per loro, ma anche per il Paese. E’ una situazione che impoverisce tutti ed è per questo che sono indispensabili misure che agiscano a 360 gradi, fare spazio a un principio di cura maggiormente condivisa tra entrambi i genitori, valorizzare il capitale umano delle donne anche in quanto mamme o caregiver e non ‘nonostante’ questi ruoli. Solo un radicale e prolungato cambio di prospettiva potrà eliminare il gender pay gap”.

“L’equivalente di 42 giorni senza retribuzione rispetto agli uomini – sottolinea Luca Semeraro, amministratore delegato di Lhh recruitment Solutions Sud Europa – è la misura di una vera e propria ingiustizia sociale che si perpetra ai danni delle donne nel nostro Paese. Una folta schiera di concause alla base: una percezione di minor disponibilità, un carico familiare che invece di essere condiviso e finanche valorizzato come opportunità diventa ostacolo, il cosiddetto ‘buco nero’ della maternità nei percorsi di carriera dal quale molte donne non riescono ad uscire”.

“Tutti gli elementi culturali e sociali alla base di un diverso trattamento economico delle donne – osserva – sono oggetto di profondi ma lenti cambiamenti. Anche evoluzioni normative che riguardano gli uomini possono contribuire a ridurre il gender gap: penso ad esempio al congedo parentale per i papà esteso che può consentire alle neomamme di riprendere più serenamente le attività lavorative. Ma ancor di più servirebbe da parte delle stesse donne una presa di posizione, una maggiore consapevolezza”.

“Da osservatorio privilegiato di molte contrattazioni salariali in ambito executive e middle management – continua come Lhh abbiamo notato una minore propensione alla trattativa economica delle donne come se pesasse anche su di loro il retaggio culturale che le vede penalizzate. Uscire da questo circolo vizioso si può se a scardinare il meccanismo saranno le stesse donne”.

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button