Il lavoro e tempo, un binomio che ha scandito il percorso di sviluppo sociale negli ultimi anni, dove “indeterminato”, “fisso”, “full time” sono state parole chiave che hanno forgiato generazioni e mentalità. Tali concetti, tuttavia, non sono adattabili “sempre e comunque”.
La pandemia legata al Covid 19 ha scardinato quelle che prima erano considerate delle incrollabili certezze e granitiche visioni su un univoco modo di approcciarsi al lavoro e alla società. Grazie alla startup TeamDifferent (i cui founder sono Lorenzo Tedeschi, Riccardo Ciciriello e Felice Paparusso), il benessere psicologico viene portato nelle aziende con l’obiettivo di consentire alle imprese di occuparsi della felicità delle persone, per cogliere la domanda sempre crescente di strumenti adeguati a contenere l’attuale allarme malessere psicologico tra i lavoratori. E per offrire mezzi con cui arginare le Grandi Dimissioni.
Nel Bel Paese i dati emersi non sono positivi. In Italia, infatti, solo il 4% degli intervistati si sente coinvolto nel proprio lavoro. Il 49% è fortemente stressato, il 45% è preoccupato e il 27% delle persone prova tristezza quando è a lavoro. La startup è in partnership con Social Innovation Teams (SIT), la community di imprese e imprenditori a impatto sociale e ambientale, con lo scopo di avere un impatto positivo sulla comunità.
E, in funzione di questo percorso, i ragazzi di TeamDifferent hanno organizzato un evento online, un’occasione per parlare di Benessere Psicologico al lavoro e per raccogliere le numerose storie differenti tra loro. L’evento ha avuto luogo ieri 20 ottobre 2022 alle ore 15:00, con la partecipazione di diversi partner accessibile on line.
Ci siamo confrontati con Lorenzo Tedeschi, Managing Director TeamDifferent per capirne di più su questo cambio di rotta.
Dopo la pandemia si è aperto il vaso di Pandora su un tema sempre analizzato, ma forse mai affrontato con gli strumenti adeguati: il benessere psicologico nel mondo del lavoro. Una consapevolezza maggiore che sta facendo leva sia sulle aziende sia sui dipendenti.
“La pandemia ha portato con sé un cambio di mentalità e ha indotto le persone, soprattutto i giovani, a rivalutare profondamente le loro priorità. Se prima erano prioritari un “posto fisso” e un contratto a tempo indeterminato, l’emergenza sanitaria ha portato Millennials e Generazione Z a rimettere al centro il proprio benessere. Famiglia, benessere psico-fisico, tempo libero. E sono criteri che utilizzano anche nell’avvicinarsi ad imprese con cui lavorare. Il benessere è assolutamente in primo piano“.
Generazioni a confronto. Siamo stati abituati ad abbassare la guardia e la testa per una mentalità lavorativa disposta ad ogni sacrificio. Le nuove generazioni hanno raggiunto una crescita interiore diversa o sono solo più disposti al cambiamento?
“Direi entrambe le cose. Per imprinting familiare ci portiamo dietro una cultura del lavoro tossica secondo cui qualsiasi sofferenza fisica e psicologica è ben accetta, purché sia ben pagata. Qualunque clima negativo e poco gratificante è concesso, purché dia la sicurezza con cui pagare mutuo e bollette. Il fatto è che questa cultura del lavoro, unita al clima di profonda incertezza che viviamo, ha portato i giovani a stare male. Vivono ansia e stress al lavoro quotidianamente, alcuni sfiorano il burnout, altri fanno il minimo indispensabile senza alcun coinvolgimento emotivo verso il loro impiego. Secondo un report Indeed del 2021, il 58% di Millennials e Generazione Z ha problemi di benessere psicologico dovuti al lavoro. I giovani non sono stati più coraggiosi, hanno capito che fosse il momento di dare una scossa al mondo del lavoro e hanno iniziato a dimettersi. Dunque adesso sono molto esigenti verso i datori di lavoro: il loro benessere psicologico al centro, sempre e comunque“.
Il lavoro è spesso categorizzato nel tempo e nella quantità. Il benessere può essere una nuova variabile per un miglioramento sociale e nell’impresa?
“Assolutamente sì, già lo è. Le imprese non sono più macchine da fatturato, hanno una responsabilità verso le persone e verso la comunità. Mai come in questo momento, le aziende sono chiamate ad avere un impatto sociale (oltre che ambientale), per questo parliamo sempre di più di CSR (Corporate Social Responsibility)“.
La vostra iniziativa sarà solo uno start per ciò che sicuramente diventerà un nuovo modus operandi. Gli esempi sono sempre il maggiore riscontro per la scia di cambiamento, ma quali saranno i vostri prossimi passi?
“Dietro TeamDifferent c’è il desiderio di ognuno di noi di avere un impatto reale sulle persone e sulle imprese. Portare la Salute Mentale al lavoro è diventata una necessità, perché persone infelici non saranno mai produttive. E delle aziende non produttive non hanno futuro. Il primo passo è stato sicuramente un evento online come Be Different, che ci permette di parlare di Benessere Psicologico con persone e organizzazioni che ogni giorno fanno la differenza. I prossimi saranno il rilascio a stretto giro (dopo un bel po’ di rinvii) del nostro primo prodotto tecnologico per le imprese che vogliono avere un ruolo in questa rivoluzione. Ma stiamo anche lavorando d iniziative che avranno un impatto sul territorio e sui partner di TeamDifferent“.
La sinergia tra imprese e specialisti, coadiuvato dagli enti e dalla conoscenza dei diritti potranno davvero permettere una maggiore “umanizzazione” del lavoro facendo leva sulla risorse e non solo sul profitto?
“Credo di sì. Certamente è fondamentale un lavoro culturale: serve parlare di Salute Mentale e farlo bene. Ma anche a livello normativo stiamo sempre più virando verso delle imprese che mettano davvero al centro le persone: c’è già un Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro e un Accordo Europeo del 2004 che sottolineano l’importanza di occuparsi del Benessere Mentale delle persone al lavoro.
Stiamo andando sempre più verso imprese più etiche e a misura di essere umano, ed era ora!“.