L’ascensore sociale è bloccato a oltre mezzo secolo fa

Preoccupano i dati INAPP: nonostante l'accesso agli studi universitari sia ora più semplice resta enorme disparita di numeri tra chi riesce a laurearsi e chi non, partendo dalla situazione famigliare di base.

Si racconta che il compianto Paolo Pietrangeli, nel buttar giù la canzone “Contessa” che fece da colonna sonora al ’68 italiano, si ispirò a una conversazione reale che lo stesso intercettò in un bar della Roma bene. E del resto, la “cara contessa”, di cosa poteva stupirsi più, dopo aver appreso che “anche l’operaio vuole il figlio dottore“? Ecco, oggi scopriamo che quell’operaio che vuole il figlio dottore deve arrendersi a distanza di anni a vederlo ancora operaio a sua volta.

I dati INAPP

La rilevazione è contenuta nel Rapporto Plus 2022 targato INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, ed è stata menzionata durante un evento a Benevento nelle scorse ore.

Cosa dice questo report? In sintesi, INAPP rileva che il figlio di un padre laureato ha oltre il triplo delle possibilità di laurearsi rispetto al figlio di chi ha conseguito la terza media. Più nello specifico, facendo riferimento alla fascia d’età 30-39 anni (la più giovane tra quelle considerate), la probabilità di laurearsi per il figlio di un laureato è del 61%, ma a lasciare interdetti è che questa percentuale è più che dimezzata toccando il 30% per il figlio di un diplomato, fino a toccare il 18% per chi ha il padre con al massimo la licenza media.

I numeri sembrano dire, insomma, che il dottore avrà ancora il figlio dottore e l’operaio ancora il figlio operaio nella stragrande maggioranza dei casi (con buona pace di Pietrangeli e della lotta di classe del ’68). Sebbene antipatico il termine (lavorare è sempre dignitoso) è chiaro che quel famoso ascensore sociale stando ai dati INAPP è completamente bloccato. Il ché si traduce – comunque – in una mancanza di possibilità per alcuni a scapito di altri, per i motivi economici e sociali più disparati.

Il presidente INAPP Sebastiano Fadda durante l’evento ‘Giovani verso il futuro. Formazione e lavoro nella società in trasformazione’, organizzato da Inapp in collaborazione con la Regione Campania e la Provincia di Benevento. È stata l’occasione per raccontare di come l’ascensore sociale sia bloccato, stando ai dati dell’Istituto (foto: pagina ufficiale INAPP su Facebook).

“Una società giusta ed equa – spiega il presidente INAPP Sebastiano Fadda – implica che sia l’impegno, e non le posizioni iniziali o il contesto famigliare, a determinare lo status socioeconomico dell’individuo. Il sistema educativo dovrebbe garantire a tutti i ragazzi e le ragazze l’opportunità di partecipare a processi di apprendimento efficaci, in grado di sviluppare le loro potenzialità e il loro talento separando così le loro prospettive da quelle della famiglia d’origine. E ciò può avvenire sviluppando non soltanto i percorsi universitari ma anche gli altri percorsi di formazione professionale fino al livello terziario e garantendo processi continui di aggiornamento delle competenze per soddisfare i bisogni emergenti dalle trasformazioni strutturali in atto”.

Italiani fanalino d’Europa sull’istruzione

Bisogna poi contestualizzare tale dato. Secondo i dati ormai ricorrenti di Istat l’Italia avrebbe un enorme problema con l’istruzione, soprattutto se paragonata ai cugini europei. Nell’Europa dei 27 (dati aggiornati ad ottobre 2021) in Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro il 32,8% nell’UE. E se è vero che le percentuali aumentano, come fatto notare da INAPP è altrettanto importante constatare che gli insiemi di riferimento si restringono finendo per avere valori assoluti sempre simili negli anni.

Le quote di laureati sono più alte al Nord (21,3%) e al Centro (24,2%) rispetto al Mezzogiorno (16,2%) ma comunque lontane dai valori europei. Ampia distanza dagli altri Paesi europei anche nella quota di popolazione con almeno un diploma (62,9% contro 79,0% nell’UE dei 27).

Il rapporto OCSE “Education at a glance 2022” conferma in qualche modo tali numeri, e ricorda che l’Italia è tra i pochi Paesi osservati in cui “la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso” nella fascia d’età 25-34 anni e che, nonostante un +18% di laureati tra 2000 e 2021 (dal 10 al 28 percento), la crescita è sotto la media OCSE del 21%.

Laurearsi conviene?

Non siamo in questa sede a discutere sull’importanza di una istruzione di buon livello per la crescita globale, per una vita migliore e per una partecipazione attiva e consapevole alla collettività, a prescindere dalla posizione lavorativa ricoperta.

Ma anche volendone fare una mera questione di reddito l’Italia registerebbe un ulteriore gap. Perché se è pur vero che laurearsi continua a concorrere al raggiungimento di stipendi migliori, è altrettanto vero che mediamente nei 38 Paesi OCSE un laureato guadagna il doppio di un diplomato mentre in Italia solo il 76% in più.

“Oggi – spiegano da INAPP durante l’evento ‘Giovani verso il futuro. Formazione e lavoro nella società in trasformazione’ – il titolo di studio non è più percepito dalle famiglie meno istruite come una chiave per l’affermazione lavorativa e ciò può indurre i genitori a non investire nell’istruzione del proprio figlio, anche perché effettivamente in Italia i rendimenti dell’istruzione sono più bassi di quelli registrati in altri paesi OCSE”.

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