Il fisco italiano potrebbe essere vicino al suo crac, con appena la metà dei cittadini che versa almeno un euro di Irpef. I dati, elaborati da Itinerari Previdenziali, disegnano una situazione quanto meno allarmistica in un ottica di sostenibilità e autoconservazione del Paese, sicuramente da non sottovalutare in vista della futura riforma della materia fiscale che metterà in atto l’attuale Governo Meloni.
Da quello che emerge dai dati contributivi, infatti, l’Italia assomiglierebbe più ad un Paese da Terzo Mondo che ad un membro del G7, trovandosi quasi alla soglia della povertà: il dato sulle spese correnti e sui consumi (bar, ristoranti, vacanze, svago e quant’altro), però, sembrerebbe smentire questa drammatica fotografia, allungando e allargando l’ombra dell’evasione fiscale. Ma andiamo con ordine.
L’allarme sul fisco italiano: i dati
Secondo il dati mostrati da Itinerari Previdenziali – che già qualche mese fa denunciò come non potesse essere credibile che, dati fiscali alla mano, il 57% degli italiani vivesse con meno di diecimila euro all’anno – su 59.641.488 cittadini residenti in Italia all’1 gennaio 2020 sono stati 41.180.529 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2021 (con riferimento all’anno di imposta precedente).
A versare almeno 1 euro di Irpef sono stati però solo 30.327.388 residenti, vale a dire poco più della metà degli italiani: a ogni contribuente corrispondono quindi 1,448 abitanti.
E’ un dato sul fisco italiano impressionante: una fotografia, spiegano dall’Osservatorio dedicato a entrate fiscali e finanziamento del sistema di protezione sociale realizzato da Itinerari previdenziali con il sostegno di Cida, che sembrerebbe essere poco veritiera guardando invece a consumi e abitudini di spesa.
Ma allora, l’Italia, è più vicina ad un Paese povero o ad uno stato ricco? Tornando ai dati sul fisco italiano, il 79,2% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro e corrisponde solo il 27,57% di tutta l’Irpef, e quindi un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di welfare.
Non solo. Se si analizza il dettaglio,
- da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 9.209.590 soggetti, il 22,36% del totale, che pagano in media 22 euro di IRPEF l’anno;
- i contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono 8.052.960: in questo caso, al netto del bonus Renzi e del TIR, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 367 euro (253 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di circa 2.060 euro;
- tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato (17.500 euro la mediana) si trovano 5,570 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.852 euro, che si riduce a 1.278 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 8.707.798 contribuenti versanti.
Ne consegue, inevitabilmente, che se si sommano tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro il 79,20% dei contribuenti italiani versa soltanto il 27,57% di tutta l’IRPEF, e probabilmente una percentuale ancora minore delle altre imposte.
Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 3.217.343 contribuenti pari a 4.659.657 abitanti: questi contribuenti versanti, il 7,81%, pagano un’imposta media annua di 6.377 euro, che si riduce a 4.403 euro per singolo abitante, e versano complessivamente il 12,48% delle imposte.
A salire, la scomposizione sul fisco italiano mostra invece quei poco più di 5 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro che, nella sostanza, sostengono il peso del finanziamento del nostro welfare state. Una situazione inaccettabile sul lungo periodo per il benessere stesso del Paese e per la sopravvivenza dello Stato sociale.
Un Paese squilibrato: c’è qualcosa da sanare
Che sia colpa dell’evasione fiscale, di controlli non incrociati fra reddito e acquisti, che non vi sia un sistema premiale (in termini di servizi) per chi paga invece tutte le tasse è qualcosa di evidente ai più, che si riscontra nel quotidiano di coloro che, le tasse, le pagano.
Esaminando le dichiarazioni a partire dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 100mila euro, l’Osservatorio individua infatti solo l’1,21% dei contribuenti che, tuttavia, versa il 19,91% delle imposte. Sommando a questi contribuenti anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro (che sono 1.385.974, il 3,37% del totale, e pagano il 18,14% del totale delle imposte), si ottiene che il 4,58% paga il 38,05% dell’IRPEF.
Includendo infine anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta infine che il 12,99% paga il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.
Sul punto, l’economista e presidente del centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla, spiega: sono
“Numeri su cui riflettere, che rilevano una differenza tra le diversi classi troppo marcata e destinata ad acuirsi per effetto dei recenti provvedimenti che aumentano importo e platea dei destinatari di bonus e agevolazioni varie. Giusto aiutare chi ha bisogno ma i nostri decisori politici tendono a trascurare come queste percentuali dipendano in buona parte da economia sommersa, evasione fiscale e assenza di controlli adeguati, per le quali primeggiamo in Europa: è davvero credibile che oltre la metà degli italiani viva con meno di 10mila euro lordi l’anno?”.
Secondo Brambilla, infatti, tra i falsi miti sul fisco italiano sfatati dalla pubblicazione c’è di riflesso anche quello dell’oppressione fiscale, che vuole (tutti) i cittadini tartassati dal fisco e penalizzati delle eccessive imposte. Solo per pagare la spesa sanitaria, per i primi 2 scaglioni di reddito fino a 15mila euro, la differenza tra l’Irpef versata e il costo della sanità ammonta a 51,817 miliardi; la differenza sale a 58,2 miliardi sommando i redditi da 15 a 20mila euro.
In altre parole, se si considera la spesa assistenziale e welfare degli enti locali, la redistribuzione totale è pari a 219 miliardi su circa 555 di entrate, al netto dei contributi sociali. In pratica, viene redistribuito il 40% di tutte le entrate e quasi il 100% delle imposte dirette, che va totalmente a beneficio del 58,06% di popolazione (corrispondente a quanti dichiarano fino 20mila euro) e, in parte, al restante 28,96% (corrispondente ai dichiaranti tra i 20 e i 35mila euro); poco nulla al 12,99% dei paganti.
“Un costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti di cui quest’enorme platea di beneficiari non si rende neppure conto – puntualizza Brambilla- davanti alle ripetute promesse di nuove elargizioni da parte della politica e alla continua minaccia di abolizione delle tax expenditures per i redditi da 35mila euro in su, trascurati persino dal virtuoso governo Draghi”.
Redditi, peraltro lordi, e non certo da ‘ricchi’ che scontano però, secondo l’Osservatorio, “l’italico paradosso secondo il quale più tasse si pagano e meno servizi si ricevono: una progressività occulta e pericolosa, che penalizza quanti contribuiscono regolarmente e incentiva i cittadini a evadere o dichiarare meno così da non rinunciare a prestazioni sociali o altre agevolazioni da parte di Stato, Regioni e comuni”.