Si può essere una buona madre, una donna realizzata e un’imprenditrice di successo? La risposta, che per noi è certamente positiva, non è sempre così scontata: sul ruolo delle donne nella società pesano stigmi culturali e pregiudizi di vario genere, ancor di più nel momento in cui sono al tempo stesso madri e manager.
Si veda, non ultimo, il caso di Elisabetta Franchi che ha dichiarato apertamente (per poi scusarsi) ciò che molti fanno e pensano direttamente: preferisce assumere donne over “anta” che, a detta sua, hanno già preso decisioni importanti nella vita (come, ad esempio, fare un figlio) e possono dedicarsi al lavoro h24.
Ma non solo. Le pagine di cronaca e i social network sono piene zeppi di esempi di come una madre lavoratrice o, ancor peggio, una madre-imprenditrice venga stigmatizzata come “non amante della famiglia” o di “non fare abbastanza per i propri figli“. E’ successo perfino a Chiara Ferragni, l’influencer-imprenditrice, e a Samantha Cristoforetti, l’astronauta orgoglio dell’Italia: sono state subissate di critiche, sebbene in modo diverso, per “aver lasciato i figli a casa mentre sono altrove o alle cure del papà“. Come se poi, per fare un figlio, non si fosse in due.
Al netto delle ideologie e delle correnti di pensiero contrapposte, il problema resta sempre lo stesso: lo “spietato” mondo del lavoro che, spesso, non è accogliente nei confronti delle donne, delle madri e delle imprenditrici. E, per approfondire la questione, abbiamo chiesto a Maria Cesaria Giordano (in foto), co-founder della startup HRCoffee, di parlarci della sua esperienza. E di quanto sia importante, come accade nella sua azienda, venire incontro ai bisogni delle persone.
Dr.ssa Giordano, partiamo dalla sua esperienza diretta: quanto è complicato oggi essere donna, imprenditrice e madre? Quali sono gli ostacoli maggiori – sociali, culturali, economici – con cui lei si scontra o si è scontrata?
“Oggi noi donne, imprenditrici e mamme stiamo superando pregiudizi e sfidando il temuto soffitto di cristallo, ovvero “il senso di colpa”. Sono cresciuta in una famiglia dove la mamma è la donna di casa che deve accudire i figli e gestire le faccende domestiche. Il papà è l’uomo/il lavoratore che porta a casa i soldi al fine di fare investimenti per i propri figli e dare la possibilità alla mamma di gestire tutte le attività di casa. Un compromesso tra i due che piaceva e piace ancora oggi. Io, al contrario, ho sempre sentito l’esigenza di superare questa visione dei ruoli ma senza che nessuno me lo facesse pesare. Ho sempre pensato che grazie allo studio sarei stata una donna libera di scegliere la mia strada”.
HRCoffee, la startup di cui lei è co-fondatrice, ha ricevuto da poco la certificazione Family Audit. Cosa rappresenta questo traguardo per voi?
“Siamo genitori e sappiamo quanto sia difficile conciliare il lavoro e gli impegni familiari. Per questo motivo abbiamo deciso di lavorare, grazie anche alla misura Regionale Puglia, a questa certificazione, per offrire ai nostri collaboratori che sono o saranno genitori, delle agevolazioni che vanno in questa direzione, prima tra tutte la possibilità di poter usufruire di un servizio di babysitting nei giorni festivi lavorativi in modo da alleggerire la famiglia dall’incombenza economica. Ci piacerebbe anche introdurre misure di gestione del tempo rivolto ai neogenitori e pensare ad un rientro della mamma a lavoro in loco a partire dai 9 mesi piuttosto che dai 3 o 5 mesi, mettendo a disposizione lo smart working. Questo importante traguardo testimonia non solo l’attenzione che abbiamo nei confronti delle famiglie ma certifica il nostro impegno per implementare politiche di conciliazione vita-lavoro che migliorino in generale il benessere individuale dei nostri collaboratori.”
La vostra mission è quella di “dare voce ai dipendenti“. Quanto conta in un’azienda la soddisfazione delle risorse umane e perché?
“Mettere al centro le persone per HRCOFFEE non è solo il core business, ma un impegno costante e quotidiano. Il benessere e la soddisfazione delle risorse umane sono elementi cruciali per il raggiungimento degli obiettivi aziendali perché un dipendente felice e coinvolto sarà anche più produttivo e stimolato nella crescita in azienda.”
Crede che nelle aziende ci sia bisogno di un’attenzione maggiore verso il welfare familiare e a sostegno di una genitorialità paritaria?
“È necessario puntare sulla diffusione di una nuova cultura sulla genitorialità paritaria in modo da superare convinzioni e stereotipi e successivamente introdurre misure in linea con le esigenze dei propri dipendenti.”
Secondo la sua esperienza, ritiene che nel mondo del lavoro esistano forme di “discriminazione” anche per le donne che non hanno figli? (a titolo puramente esemplificativo, le mancate assunzioni in età “fertile”, la “pretesa” per lo più culturale di assegnare turni nei giorni di festa alle donne che non hanno figli e così via)
“Purtroppo sì. Una donna con uno o più figli avrà sicuramente esigenze diverse rispetto a un uomo o una donna senza figli, ma ciò non toglie che queste persone possano avere altri tipi di problemi relativi a genitori, attività di volontariato o altro. A mio parere, manca una visione di cooperazione e sensibilità per poter comprendere le esigenze gli uni degli altri in modo da raggiungere gli obiettivi di team in serenità. L’egoismo porta alla chiusura mentale e non ci permette di capire che la “virtù sta nel mezzo””.