Nelle scorse ore un giudice del lavoro di Bologna ha di fatto sancito che la Betty Blue, l’azienda di Elisabetta Franchi, ha assunto una condotta “antisindacale”. Proviamo a spiegare meglio cosa è accaduto: già negli scorsi mesi la Filcams Cgil si era rivolta alla Giustizia perché nell’azienda già vi era uno stato di palpabile tensione. Il tutto sembra essere legato al ricorso allo straordinario obbligatorio dei dipendenti, senza preventivo accordo né con lo stesso dipendente né con le rappresentanze sindacali.
Per quello che ci è dato comprendere dalle carte e dalla pronuncia del giudice Chiara Zompi, la situazione è più o meno la seguente:
- l’azienda ricorreva allo straordinario non concordato*,
- i dipendenti rifiutavano (?),
- l’azienda inviava formali contestazioni disciplinari,
- i dipendenti proclamano nel novembre 2021 uno sciopero (legittimo, lo dice anche il giudice),
- l’azienda continua a inviare contestazioni disciplinari.
Questo ultimo punto, stando a quanto ha stabilito il giudice, rappresenta “di per sé comportamento intimidatorio ed evidentemente finalizzato a scoraggiare l’adesione dei dipendenti allo sciopero dello straordinario”.
Tutto questo accadeva prima che PwC Italy e Il Foglio ospitassero l’intervento dell’imprenditrice Elisabetta Franchi.
Quindi, ricapitolando: nella Betty Blue, a prescindere da chi ha ragione e chi ha torto, non si respirava una bella aria già da qualche mese. E il fulcro del problema, quello che emerge indiscutibilmente dalle carte, è legato a come la Betty Blue disponesse del tempo dei suoi dipendenti.
Fa sorridere quindi rileggere oggi le parole di Elisabetta Franchi, quelle sul lavoro H24 e sulla necessità di assumere personale femminile già sposato, figliato ed eventualmente divorziato. Fa sorridere (amaramente) perché non si tratta solo di una serie di frasi fuori tempo, luogo, contesto e buon senso che poi sarebbe stato il pubblico ad avere frainteso (come nel più classico dei casi virali). Sembrerebbe, invece, quasi più un filotto di frasi piccate rispetto a quanto accaduto in queste ore e in questi mesi a casa sua.
Sicuramente, questa notizia dovrebbe creare più di qualche imbarazzo a quanti, specialmente su LinkedIn, nel tentativo di distinguersi – o peggio di giustificare l’ingiustificabile – hanno cercato di “trovare altre chiavi di lettura” (per usare un eufemismo carino) alle parole di Elisabetta Franchi.
Ma, ancor di più, dovrebbe crearli a chi ha deciso che Elisabetta Franchi in questo momento – e questo a prescindere dalla caratura della persona – potesse essere speaker e portare una testimonianza di valore e “illuminata” su come fare impresa in Italia.
Non vogliamo sostituirci a chi ha sicuramente fatto le sue valutazioni nel pieno rispetto delle proprie convinzioni. Ma sarebbe ipocrita non sottolineare che, in un mondo in cui questo tipo di eventi proliferano senza interruzioni, spesso gli organizzatori ritengono che a rendere virtuoso un imprenditore sia il blasone o il fatturato. O, più semplicemente (e maliziosamente), tendono inconsapevolmente ad invitare a parlare chi conviene per i più disparati motivi (anche di visibilità).
In un Paese alla perenne ricerca di eroi come l’Italia, ma che come l’Italia poi diventa grottesco perché a tutti questi eroi non corrispondono tutte queste imprese eroiche (nei numeri, e quelli dell’occupazione lo dimostrano), rischiamo poi, per disattenzione o tornaconto, che una imprenditrice la cui azienda è in Tribunale per condotte antisindacali (confermate in parte dalla pronuncia di ieri) sia ritenuta atta a spiegare a una platea come si fa impresa in Italia con la sua testimonianza.
Nel 2021 Elisabetta Franchi riceveva il premio EY (destinato alle aziende sopra ai 25 milioni di fatturato) come imprenditrice dell’anno, e nel ringraziare usava queste parole:
“Questo traguardo conferma come la moda Made in Italy, combinata con una visione internazionale in ottica etica e sostenibile, rappresentino valori chiave del nostro brand”.
* per dovere di cronaca, è necessario anche sottolineare che stando al giudice non si ravvedono comportamenti antisindacali nelle richieste di straordinario non concordato entro le 250 ore annue.