Comunicare con un computer non è una cosa semplice, come sa ogni programmatore. Dargli istruzioni su cosa fare diventa particolarmente complicato quando, invece di un semplice pc, ci si trova davanti a un computer quantistico. Entriamo qui nel campo della fisica quantistica e la particolarità di queste macchine è che non usano i bit (che adoperano un sistema binario fatto di zero e uno), ma i qu-bit che possono essere in entrambi gli stati (zero e uno contemporaneamente).
Il risultato è una potenza di calcolo esponenzialmente maggiore rispetto al miglior pc in commercio. La novità è che un gruppo di ricercatori italiani ha realizzato, grazie al machine learning, un compilatore per computer quantistici, ovvero un “traduttore” di istruzioni complesse in linguaggio macchina, che supera per prestazioni quello ideato da Google. Il progetto è stato realizzato dal CNR di Milano e dall’Università Statale. Con il professor Matteo Paris, docente di Fisica della Materia dell’ateneo meneghino, parliamo di questa innovazione Made in Italy.
Professore, innanzitutto cosa ha di particolare il vostro compilatore?
“Rispetto al modello di Google, il nostro compilatore si è dimostrato più efficace, ovvero traduce meglio in linguaggio quantum macchina, e dunque velocizza i calcoli più complicati. Ciò che è successo è questo: attualmente, in linea teorica, sappiamo che possiamo istruire un computer quantistico spezzettando le informazioni e cercando di essere quanto più precisi nell’approssimazione delle porte logiche. Ma non siamo ancora in grado di “spezzettare” tutte le informazioni dato un set limitato di gates. Così abbiamo usato l’intelligenza artificiale e il machine learning. Abbiamo dato alla macchina tutta una serie di esempi che sapevamo già dividere in piccoli pacchetti e gli abbiamo “insegnato” come farlo. A un certo punto gli abbiamo fornito programmi che non sapevamo come decomporre. E l’intelligenza artificiale lo ha fatto. In tempi brevi è riuscita a decomporre un programma quantistico in calcoli elementari”.
In termini pratici questo cosa comporterà?
“Semplificherà il lavoro dei ricercatori e renderà più semplice progettare computer quantistici reali”
I cosiddetti super computer sono però ancora molto instabili?
“Più che instabili direi che se interagiscono con l’esterno non funzionano più come dovrebbero e non esprimono la loro grande potenza di calcolo. Attualmente devono stare a una determinata temperatura e in un ambiente controllato. La grande sfida è quella di renderli più resistenti e funzionanti in condizioni ‘umane’”.
Quindi in un prossimo futuro non avremo super computer sulla nostra scrivania?
“Beh, qui andiamo nel campo delle ipotesi e delle opinioni. La mia è che per i prossimi 10-15 anni non ci saranno quantum personal computer. Certo le grandissime aziende che lavorano con i big data cominceranno sempre più a usare dispositivi quantum, ma questo non riguarderà direttamente il grande pubblico. Penso ad esempio ai Bitcoin. Attualmente produrli costa tanto perché c’è bisogno di una grande potenza di calcolo. I computer quantistici in questo potrebbero rappresentare un cambio di paradigma”.
La ricerca italiana batte Google sui super computer. C’è un futuro per l’Italia nel campo?
“Per quel che concerne strettamente il computing, non penso, ma per la quantum economy in generale sì. Per il computing l’Italia paga il prezzo di non avere grandissime aziende, come Google per esempio. Quando si dice che in Italia si fa poca ricerca, ci si riferisce ai privati perché lo Stato in verità investe come gli altri Paesi, anche se poi non sfrutta economicamente i risultati. I privati italiani, per una questione di dimensioni, non possono competere in questo campo. Ma nella quantum economy in generale non c’è solo il computing. Ci sono la comunicazione e la sensoristica. In questi campi il nostro Paese è molto avanti, sia dal punto di vista teorico, sia da quello sperimentale e ingegneristico. In Europa abbiamo un ruolo importante e se c’è una flagship dell’Unione al riguardo è in parte considerevole grazie agli italiani”.