Il congedo mestruale non è una battaglia femminile, ma di pari opportunità

Una misura che riguarda la metà dei cittadini italiani e che rappresenta una questione (non banale) di pari opportunità: sarebbe ora di superare i pregiudizi e iniziare a parlarne

Il congedo mestruale in Italia è ancora un tabù e a pagarne le spese sono le dipendenti, nel vero senso della parola. In un Paese in cui si parla spesso (e talvolta, a sproposito) di empowerment femminile e pari opportunità – nella forma concettuale dell’uguaglianza giuridica e sociale fra uomini e donne, al fine di rivendicare la propria differenza di genere e di stabilire un giusto rapporto fra i sessi – quello che resta fuori dal dibattito e dalle azioni di Governo sono quelle misure che riguardano letteralmente l’universo femminile, come il congedo mestruale e la tassa sugli assorbenti (considerati attualmente un prodotto di lusso, con l’iva al 22%).

Un argomento da tirar fuori dal cilindro quando capita (se capita), ma che è realtà in molti Paesi: dal Giappone all’India, dal Vietnam alla Corea, passando per Taiwan e Cina. E mentre l’Occidente resta sordo a questo problema, milioni di donne ogni mese continuano a vivere una complessa situazione di difficoltà, fra pregiudizi e dolori fisici, pagandone le spese sociali e sanitarie.

Perché non è banale la questione del congedo mestruale

Prima di andare oltre occorre fare una premessa: la questione del congedo mestruale non è banale e non è una rivendicazione femminile, ma un problema di pari opportunità. Tutte le donne in età lavorativa e fino (o quasi) alla pensione hanno il ciclo mestruale ed è sovente dolorosissimo, con complicazioni ed “effetti collaterali” che vanno dalla mancanza di concentrazione alla nausea, al mal di testa, vomito, crampi al ventre, mal di schiena e dolore alle gambe.

Secondo un’indagine svolta dal Ministero della Salute,

i dati sulla dismenorrea (nome tecnico del ciclo doloroso, ndr) sono allarmanti: dal 60 per cento al 90 per cento delle donne soffrono durante il ciclo mestruale e questo causa tassi dal 13 per cento al 51 per cento di assenteismo a scuola e dal 5 per cento al 15 per cento di assenteismo nel lavoro.

Ancora peggiore la situazione dell’endometriosi, una complicazione fisica per la quale l’endometrio (la mucosa che normalmente ricopre la cavità uterina) fuoriesce o si trova all’esterno della stessa:

In Italia sono affette da endometriosi il 10-15% delle donne in età riproduttiva; la patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno 3 milioni.
Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse. La diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche per la donna.

Ministero della Salute

Cosa vogliono raccontare questi dati? Che avere il ciclo, nella maggior parte dei casi, non solo è doloroso ma anche invalidante e compromette la possibilità di una donna di andare a scuola, all’università o al lavoro. O di svolgere le sue prestazioni al meglio: ricordiamo tutti la divina Federica Pellegrini nelle Olimpiadi di Rio nel 2016, dove arrivò solo quarta nei “suoi” 200mt stile libero spiegando quanto avesse influito un errore nel calcolo dei giorni della pillola che le aveva fatto venire il ciclo proprio in quei giorni.

No, la questione non è banale: anche se non siamo tutte Federica Pellegrini, abbiamo tutte il diritto di poter vedere riconosciuto il congedo mestruale. E, sì, anche questa dovrebbe essere una priorità per l’agenda politica del Paese, perché riguarda la metà dei cittadini.

Qualche passo avanti in Italia… finito nel dimenticatoio

In Italia in realtà la questione del congedo mestruale fu affrontata nel 2016 con una proposta di legge dalle deputate del PD Mura, Sbrollini, Iacono e Rubinato, poi caduta nel dimenticatoio degli Archivi di Stato. Sei punti di facile lettura e applicazione, che indicavano quanto segue:

La donna lavoratrice che soffre di dismenorrea, in forma tale da impedire l’assolvimento delle ordinarie mansioni lavorative giornaliere, ha diritto di astenersi dal lavoro per un massimo di tre giorni al mese.

Durante l’astensione dal lavoro ai sensi del comma 1, di seguito denominato « congedo mestruale », alla lavoratrice sono dovute una contribuzione piena e un’indennità pari al cento per 100 per cento della retribuzione giornaliera.

La donna lavoratrice che intenda usufruire del congedo mestruale presenta al datore di lavoro la certificazione medica specialistica relativa alle condizioni previste dal comma 1.

La certificazione medica di cui al comma 3 deve essere rinnovata entro il 31 dicembre di ogni anno e presentata al datore di lavoro entro il successivo 30 gennaio.

Il congedo mestruale non può essere equiparato alle altre cause di impossibilità della prestazione lavorativa e la relativa indennità che spetta alla donna lavoratrice non può essere computata economicamente, né a fini retributivi né contributivi, all’indennità per malattia.

Il congedo mestruale si applica alle lavoratrici con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato, a tempo pieno o parziale, a tempo indeterminato o determinato ovvero a progetto

Una proposta di legge sul congedo mestruale che sarebbe servita e avrebbe facilitato la vita di milioni di donne ogni mese, aprendo finalmente una seria riflessione sul problema: la dismenorrea non è un’esagerazione della donna, ma un problema reale.

Forse, affrontare la questione da un punto di vista legislativo provocherebbe quella scossa culturale e sociale che a questo Paese manca: il ciclo è ancora un tabù, una demonizzazione della donna che si trasforma da angelo a vipera, come ricordano sovente alcune pubblicità (non so voi, ma mi è rimasto impresso l’unico uomo che in ufficio ha solo scatole di un noto farmaco nel cassetto).

Il punto è questo: le donne non possono più vergognarsi perché il dolore le tiene ferme a letto, impossibilitate a muoversi e lavorare, oppure vivere con la difficoltà di aver bisogno di una pausa fisiologica e non poterla richiedere. Eppure, sono l’altra metà del cielo, ma inascoltata, invisibile quando si parla di mestruazioni. Soprattutto in quei giorni, dove è facile prenderci in giro senza comprendere che nella maggior parte dei casi si soffre davvero.

Per questo motivo, il congedo mestruale non è una rivendicazione femminile, un modo di lavorare meno, un modo di sentirsi speciali o compatite, ma una battaglia di civiltà, di tutela e di pari opportunità che darebbe alle donne uno strumento legale valido per non sentirsi in difficoltà. Fuoriuscendo dal circuito di discriminazioni e pregiudizi che da sempre accompagna il ruolo della donna nel mondo del lavoro.

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