Riforma della Giustizia e tempi processuali, cosa potrebbe cambiare?

Si sente spesso parlare di riforma della Giustizia e la redazione di F-Mag, incuriosita, ha pensato di porre qualche domanda a Redjan Sako, un avvocato penalista del Foro di Firenze. Nato in Albania, si è appassionato al Diritto studiando in Italia e dal 2013 ha deciso di eleggere il nostro Paese a patria della sua professione forense.  Insieme all’avvocato Giuseppe Tarallo che si occupa della parte di diritto civile e del lavoro, ha dato vita ad una proficua collaborazione professionale, fondando uno studio multidisciplinare. Con l’avvocato Sako parliamo proprio della nuova riforma della Giustizia che, dopo varie modifiche, sarà portata in Parlamento prima della chiusura estiva delle Camere per essere votata in almeno uno dei due rami del Parlamento

Partiamo dalla riforma della Giustizia, quali sono le novità sostanziali?
“Fermo restando che la riforma della Giustizia potrebbe ancora subire modifiche durante l’iter parlamentare, tra le novità più rilevanti risulta essere la previsione di termini precisi per la definizione del processo nelle fasi di appello e di Cassazione. Invero, si introduce l’improcedibilità come strumento di garanzia della ragionevole durata del processo. In pratica si mantiene il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio introdotto dalla riforma Bonafede, ma si introduce una prescrizione processuale che interrompe il processo in fase di impugnazione, se non concluso entro i termini prescritti. Il termine è di due anni prorogabili di un altro anno per la fase di appello e di un anno prorogabile di 6 mesi in Cassazione. Per i primi tre anni dall’entrata in vigore della riforma si prevede una durata più lunga per lo svolgimento del processo (tre anni in appello e un anno e sei mesi in Cassazione). Per i reati più gravi o che suscitano maggior allarme sociale le proroghe del termine (che dovranno essere motivate dal giudice) possono essere più di una”.

Quali sono i pro della riforma della Giustizia?
Da avvocato penalista ritengo che porre un limite di durata ragionevole al processo sia positivo per evitare proprio che il processo stesso, qualora teoricamente infinito, si trasformi in una pena per l’imputato”.

E i contro?
“Qui andiamo un po’ sul tecnico, ma anche sull’etico. Certamente, la riforma della Giustizia è migliorativa rispetto alla riforma Bonafede che bloccava la prescrizione dopo la sentenza di primo grado senza la previsione di correttivi a garanzia della ragionevole durata del processo. Il difetto, per così dire, sta nello disfacimento del processo (se non concluso nei termini previsti) senza un giudizio sull’ipotesi di reato. Secondo la vecchia disciplina, invece, il giudice aveva il compito di esprimere un giudizio, seppure soltanto nei casi in cui dagli atti risultasse l’evidenza di una causa di non punibilità, e di pronunciare sentenza di assoluzione anche con termine di prescrizione maturati. Inoltre, anche se non sappiamo se verrà confermato, si discute di introdurre l’acquisizione di un mandato specifico all’impugnazione dopo la condanna di primo grado”.

Che significa e che comporta?
“Attualmente, l’avvocato che ha assistito l’imputato in primo grado può presentare appello avverso la sentenza di condanna. Con la riforma, invece, per il poter presentare impugnazione, all’avvocato dovrà essere rilasciato specifico mandato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. Sembra una banalità, ma ciò incide irrimediabilmente nei casi in cui, per vari motivi, l’imputato si sia reso irreperibile nelle more del processo di primo grado ma, soprattutto, nei casi in cui l’imputato è assistito dal difensore d’ufficio”.

Ma per velocizzare la giustizia non ci sono già i riti alternativi e il filtro del Gip che dovrebbe snellire i tempi?
In realtà, con una scelta che condivido, la riforma vuole ampliare la platea dei reati per i quali si possa procedere con citazione diretta a giudizio e prevedere l’udienza preliminare come facoltativa, attivabile su richiesta dell’imputato. Riguardo il giudizio abbreviato, la riforma introduce un premio consistente nella riduzione di un ulteriore 1/6 della pena per l’imputato che rinuncia all’impugnazione. Riguardo al patteggiamento, mi sembra che faccia un passo indietro rispetto alle previsioni della riforma Bonafede che innalzava il limite di pena patteggiabile a otto anni, invece che cinque. Positivo, invece, l’idea di un rafforzamento della messa alla prova”.

Dal punto di vista del processo digitale come siamo messi?
“Paradossalmente, la pandemia ha anticipato i tempi. In via sperimentale è stato reso possibile anche al difensore il deposito di atti penali via pec o attraverso un apposito portale telematico. Certo, con i dovuti interventi al fine di evitare eventuali malfunzionamenti, auspico che tale novità e la digitalizzazione del processo penale in generale diventi strutturale”.

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