Questa notte non ho dormito pensando alla nuova Legge che il neo governo Draghi ha approvato: quella sull’assegno unico e universale per i figli, un contributo di massimo 250 euro dal settimo mese di gravidanza fino al raggiungimento dei 21 anni di età del pargolo ormai adulto.
Passato con 227 sì, 4 astenuti e nessun voto contrario, una ennesima querelle di “paternità” fra PD e Italia Viva (la legge fu proposta nel lontano 2014 da Delrio e Lepri, ora approvata con la firma della Bonetti), secondo le prime indicazioni l’assegno unico e universale per i figli arriverà nelle tasche delle famiglie italiane dal prossimo luglio. Sebbene restino ancora da chiarire modalità di richiesta ed erogazione, scaglioni reddituali e percentuali dell’assegno, sono previste maggiorazioni a partire dal terzo figlio e in ogni caso in presenza di un figlio con disabilità. Ma è davvero quello di cui l’Italia – in questo momento – aveva bisogno?
Assegno unico e universale, ma chi lo prenderà?
Non dormivo perché qualcosa non mi tornava: dai proclami della politica alla realtà delle cose lo spazio è ampio. In attesa dei decreti attuativi che saranno fondamentali per capire come far quadrare i conti, si sa già che l’assegno unico e universale per i figli, così come è stato immaginato, secondo una prima simulazione costerà circa 20 miliardi all’anno. Troppi? Troppo pochi? Basta fare due calcoli per capire quanto questa misura stia in realtà penalizzando l’accesso al welfare familiare, nascondendo dietro un filosofico quanto inapplicabile concetto di “universalità” il taglio importante di risorse per il sostegno alle famiglie. Il perché è semplice da capire: stessi fondi, più famiglie. Invece il welfare va potenziato, non suddiviso, innescando una triste quanto inutile guerra fra categorie. Vediamo perché.
Partiamo da un assunto: l’assegno avrà un valore massimo di 250 euro ed è composto da un valore fisso e uno variabile secondo l’indice di reddito complessivo della famiglia. Sostituirà tutte le altre misure esistenti in questo momento (detrazioni per figli a carico, assegni familiari, bonus bebè, il premio alla nascita o all’adozione, il Fondo di sostegno alla natalità ed eventuali altri contributi). Ora guardiamo i numeri: oggi in Italia 12 milioni di contribuenti godono delle detrazioni fiscali per familiari a carico e meno della metà, ossia 4,2 milioni di famiglie, percepiscono gli assegni per il nucleo familiare (i famosi ANF dell’INPS) per chi ha figli fino alla maggiore età. Il bonus bebè, invece, spetta a tutte le gestanti fino al compimento del primo anno di età del bambino, calcolato secondo l’ISEE.
Su questo punto c’è da fare la prima distinzione: l’assegno unico e universale per i figli allargherà la forbice dei percettori, perché slega il concetto del beneficio da quello della contribuzione. La misura, infatti, inserisce fra i beneficiari anche le partite IVA e, soprattutto, gli incapienti. Per quanto possa essere affascinante e sacrosanto modulare il welfare riuscendo a raggiungere un’ampia parte della popolazione finora esclusa da un qualsivoglia beneficio, viene immediatamente da pensare che – stando ai dati sopra riportati – la cifra complessiva dell’assegno unico e universale calcolata a partire dall’ammontare del fondo di 15 miliardi stanziato ad hoc nel 2019, cui si aggiungono altri 3 miliardi destinati dalla legge di bilancio del 2021 che diventeranno 6 a partire dal 2022 quando l’assegno unico sarà a regime, non può bastare. Quindi, la misura sarà unica, universale e allargata, ma renderà le famiglie contribuenti più povere.
250 euro, ma non per tutti
La nuova misura per le famiglie si universalizza in quanto si baserà solo sull’ISEE. Ma torniamo ai numeri: così come è pensato, l‘assegno unico e universale apre a circa 12,5 milioni di bambini e ragazzi, di cui 10,1 milioni minori. Pertanto, la misura abbraccerà – con fondi più o meno simili a quelli delle misure attuali – milioni di ragazzi in più rispetto a quelli già “coperti” dalle detrazioni fiscali dei figli a carico. Benissimo, non possiamo far altro che esserne felici: però i 20 miliardi non sembrano bastare per estendere l’assegno alle partite Iva, e allo stesso tempo tutelare i redditi dei contribuenti e quelli medio e medio-alti dal rischio di veder calare il sostegno familiare rispetto all’attuale stato delle cose. Secondo alcune stime 1,3 milioni di famiglie vedranno calare il contributo, nonostante paghino le tasse con ritenute alla fonte, ossia direttamente in busta paga.
Ancora, secondo lo scenario prospettato l’80% delle famiglie italiane prenderebbe 161 euro al mese per ogni figlio minore e 97 per ogni figlio under 21. Il calcolo è legato alla considerazione secondo cui 8 famiglie su 10 hanno un’Isee sotto i 30 mila euro. L’importo dell’assegno diminuisce se si alza l’Isee: per un Isee sopra i 52mila euro, il contributo scende a 67 euro mensili per i figli minori e a 40 euro per i figli maggiorenni ma di età inferiore ai 21 anni. Uno studio del Gruppo di lavoro Arel/Feg/Alleanza per l’infanzia aveva stimato che 1,35 milioni di nuclei avrebbero avuto una perdita mediana di 381 euro. Il ministero dell’Economia si dice al lavoro su «calcoli precisi» come ha detto il Ministro Bonetti, che si è impegnata ad approvare quanto prima i decreti attuativi. E secondo Stefano Lepri, della Presidenza del Gruppo Pd alla Camera “Con ulteriori 800 milioni (oltre ai 20 miliardi di già stanziati) nessuno ci perderà. È chiaro che dovremo aggiungerli perché nessuno deve rimetterci, mentre la grandissima parte delle famiglie avrà vantaggi”.
Le risorse in campo sono insufficienti per dare a tutti 250 euro. Non è questo il welfare di cui abbiamo bisogno: occorrerà ancora molta strada per aiutare, nel momento più buio della crisi pandemica, tutte le famiglie italiane.