«La stretta sulla participation exemption prevista nella manovra 2026, nell’ambito delle norme che riformano le regole fiscali sui dividendi delle imprese, corre il rischio di trasformarsi nel più grave autogol fiscale dell’ultimo decennio». È l’allarme lanciato dal consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Salustri commentando le nuove norme che limitano fortemente l’agevolazione sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate.
«Per oltre vent’anni, la Pex ha rappresentato un pilastro del sistema fiscale italiano, garantendo alle nostre imprese condizioni competitive e parità di trattamento con i partner europei. Con la legge di bilancio all’esame del Parlamento, invece, si potrebbe compromettere l’attrattività del Paese proprio nel momento in cui servirebbero politiche di incentivo agli investimenti».
Manovra 2026, cosa sta succedendo
Secondo le stime di Unimpresa, l’intervento contenuto nel disegno di legge di bilancio moltiplicherà fino a venti volte il carico fiscale sulle plusvalenze. Su una cessione da 10 milioni di euro l’imposta, che prima si fermava tra 120 e 140 mila euro grazie all’esenzione del 95% della base imponibile, potrà ora superare i 2,5 milioni per chi detiene partecipazioni inferiori al 10%.
Il regime agevolato resterà solo per chi supera questa soglia, penalizzando investitori istituzionali, fondi e molte medie imprese familiari. Il confronto con l’estero è particolarmente preoccupante: in Lussemburgo le plusvalenze restano esenti, nei Paesi Bassi l’esenzione è totale a determinate condizioni, mentre in Francia e in Svizzera l’aliquota effettiva è nettamente più bassa.
Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa, «con queste regole è facile prevedere un progressivo spostamento di capitali e holding verso giurisdizioni più favorevoli, con conseguenze pesanti per il tessuto produttivo nazionale». Nel 2023 l’Italia ha attratto solo 25 miliardi di euro di investimenti diretti esteri, contro i 50 miliardi della Spagna e i 70 miliardi della Francia.
«Se anche solo una parte delle operazioni di cessione dovesse migrare all’estero – osserva Salustri – il danno per l’erario supererebbe di gran lunga i benefici attesi, con una perdita secca di gettito, investimenti e occupazione. La manovra 2026 dovrebbe favorire la competitività e la crescita, non scoraggiare gli investimenti. Serve un ripensamento immediato: altrimenti la porta chiusa all’agevolazione Pex diventerà quella spalancata alla delocalizzazione dei capitali e all’impoverimento strutturale del nostro sistema economico».
La conseguenza è una vera fuga di holding e pmi oltre confine e la prospettiva che molte operazioni, invece di generare gettito anche se minimo (con il vecchio regime si poteva contare su almeno l’1,2-1,4% di tasse sulle plusvalenze), ora non producano più nulla per l’erario italiano.
Se anche solo il 30-40% delle cessioni venisse dirottato verso altre giurisdizioni, il danno supererebbe qualsiasi beneficio sperato: capitale sottratto al tessuto produttivo, meno risorse per finanziare l’innovazione, meno surplus fiscale disponibile per il Paese.
