“L’intelligenza artificiale? Ok, ma non faccia giochi da tavolo”
Paternità originali da riconoscere, crowdfunding azzoppati sul nascere, problemi di natura tecnica che solo un umano può risolvere: i limiti dell'IA in un case study esemplare che viene dal mondo del gioco da tavolo, che nonostante l'espansione economica si mostra quantomeno perplesso sull'AI. Con la compagnia di Stefano De Carolis, direttore operativo di Giochi Uniti, analizziamo il perché.
Non tutti i settori abbracciano l’Intelligenza Artificiale con entusiasmo. Prendiamo l’industria mondiale dei giochi da tavolo: un mercato in costante crescita, destinato a passare dai circa 21 miliardi di dollari del 2023 a oltre 41 miliardi entro il 2029, con un tasso annuo superiore all’11%. Eppure, mentre l’IA generativa prova a farsi strada anche nel tabletop, promettendo prototipi rapidi e simulazioni a basso costo, l’accoglienza non è stata delle più calorose. Anzi, il settore guarda a questi strumenti con un certo scetticismo globale.
«I modelli generativi eccellono nel rimescolare pattern esistenti, ma creare ex-novo qualcosa di davvero epico, leggendario, come gli universi entrati nella cultura pop? Quello resta un territorio umano», spiega Stefano De Carolis, COO di Giochi Uniti, tra i maggiori esperti italiani di game design da tavolo. «Il design richiede salti creativi che trasformano un’idea in un’esperienza unica, e qui l’IA fatica».
Il mondo dei giochi da tavolo offre un caso di studio chiaro sul rapporto ambivalente con le tecnologie disruptive. Ai problemi tecnici si sommano quelli legati al copyright: far “creare” all’IA artwork e ambientazioni basati su dataset non autorizzati mette a rischio la paternità delle opere. «Nel nostro settore la fiducia è tutto. Dataset non documentati rischiano di alienare autori, illustratori e pubblico», aggiunge De Carolis. La scelta di Stonemaier Games, che ha dichiarato di non usare l’IA per sostituire il lavoro creativo, resta un esempio seguito a livello internazionale. Anche le piattaforme di crowdfunding navigano a vista: Kickstarter richiede disclosure, BackerKit impone divieti quasi totali, Gamefound regole ancora più rigide. Il caso di Draconis 8, finanziato con 120.000 dollari ma oggetto di boicottaggi, mostra quanto il quadro sia controverso. «Affidare a un algoritmo l’identità visiva o narrativa di un gioco resta oggi un rischio imprenditoriale», conclude De Carolis.

A questo si aggiunge un altro ostacolo: la natura stessa del gioco da tavolo, che premia l’esperienza condivisa e tangibile. «Famiglie e appassionati cercano originalità e coerenza tematica», spiega De Carolis. «Qualità che l’IA fatica a garantire». Le limitazioni tecniche sono evidenti: dipendenza dai dati, “hallucinations” e difficoltà nel ragionamento complesso rendono gli output creativi poco affidabili. «Un regolamento generato da un modello linguistico può sembrare corretto, ma spesso crolla al tavolo con giocatori reali», aggiunge. «Equilibrio strategico, tensione narrativa e il peso emotivo di una mossa nascono dall’intuizione umana».
Non significa che l’IA sia inutile. Può supportare back-office, prototipazione, bozze di carte e simulazioni numeriche. Ma il cuore creativo resta artigianale: «Tagliare una meccanica a una settimana dalla stampa richiede coraggio, e il coraggio non si compila in prompt».
Anche il periodo estivo, forte per il family gaming, conferma la regola. Fiere, festival e serate ludiche spingono titoli leggeri e accessibili. «Chi sceglie un gioco per le vacanze vuole regole snelle, materiali robusti e un tema coinvolgente», conclude De Carolis. «Qui l’IA può assistere, ma l’ultima parola, quella che fa la differenza tra un gioco di successo e uno dimenticato sullo scaffale, spetta sempre al designer in carne e ossa».




