In principio fu il greenwashing: le aziende – quelle grandi, soprattutto – hanno intuito quale grossa partita si giocasse nell’immaginario dei consumatori per quanto riguarda il futuro del Pianeta e si sono preoccupate di mostrarsi sostenibili. Spesso, si sono preoccupate più di mostrarsi sostenibili che di esserlo davvero. Ed è così che lavarsi di verde è diventato un neologismo ormai di uso comune nei discorsi dei consumatori.
Il fenomeno del greenwashing ha visto attivamente impegnate anche le istituzioni comunitarie, che hanno provveduto a porre dei severi paletti in materia con il green claims. Il prossimo progetto legislativo prevede di vietare l’uso di diciture green generiche come ad esempio ‘a impatto zero’, naturale, biodegradabile, amico della natura, ecologico se non debitamente comprovate, inserendole, unitamente ad altre, in un elenco di pratiche commerciali da considerarsi in ogni caso scorrette e quindi illecite. Insomma, è chiaro che si sta giocando una importante partita a livello commerciale sull’argomento. “Questo perché – spiega Rita Santaniello, avvocato dello studio multinazionale Rödl & Partner – la sensibilità ecologica, soprattutto nei Paesi occidentali, si è sviluppata al punto da determinare i comportamenti d’acquisto dei consumatori o persino da aumentare il valore del marchio o dell’azienda, così come conclamato da moltissimi studi”.
Greenbickering, ossia i battibecchi verdi
La legale, ospite del convegno organizzato dal magazine Economy sul tema del greenwashing, ha sdoganato un nuovo termine che sembra destinato a entrare nelle nostre vite: greenbickering. Data ormai per assodata l’idea che dichiararsi verdi equivale a vendere di più sul mercato, è possibilissimo che nell’immediato futuro (e già sta accadendo) i colossi possano darsi battaglia anche sul campo della concorrenza sleale facendo riferimento a dichiarazioni e comportamenti dei competitor che sfociano in greenwashing. “Si tratta – spiega Santaniello – di quella pratica per la quale un’azienda può agire contro un competitor per concorrenza sleale laddove ritenga utilizzi impropriamente la leva della sostenibilità aziendale per migliorare il suo percepito verso il mercato e i consumatori e quindi per vendere di più”.
Il nuovo scenario sul mercato globale in pratica permetterà questa tipologia di azioni legali. Spiega Santaniello: “Io azienda posso intentare causa per concorrenza sleale verso uno o più miei competitori che utilizzino marchi, slogan o diciture green non comprovate per vendere di più, quindi sottraendo mercato agli altri, o per ‘inverdire’ la propria immagine, ottenendo così ingiustamente un vantaggio competitivo rispetto agli altri”.
Gli scenari futuri
“La mia sensazione – riflette Santaniello – è che, definiti i paletti legislativi che comunque lasceranno spazio a ampie eccezioni, concrete attuabilità (i mercati sono oggi globali, ma gli ordinamenti giuridici no) e interpretabilità, le aziende non esiteranno a combattersi su questo fronte. Ma forse questo, al netto dell’aggravio del lavoro dei Tribunali, potrebbe essere anche un bene perché le varie sentenze ed esperienze agevoleranno una regolamentazione più puntuale in materia”. Uno scenario plausibile, anche se per la legale “ci vorrà ancora molto tempo”.