Arriva quasi in sordina, ma arriva ed è una piccola rivoluzione: la nuova disciplina dei concorsi pubblici per la Pubblica Amministrazione è ora realtà. Previsto nell’ottica della semplificazione e della digitalizzazione delle procedure amministrative, il nuovo regolamento (arrivato come emendamento durante la conversione del decreto PA approvato nelle scorse ore alla Camera) va a modificare l’attuale impianto che è datato 1994.
“Tracciamo la strada per un nuovo modo di selezionare il personale pubblico, imprimendo una decisiva accelerazione ai tempi di conclusione delle procedure e puntando su digitalizzazione e trasparenza”, commenta il Ministro per la P.A. Paolo Zangrillo. Che aggiunge: “Un intervento che ci permette di affrontare le oltre 170 mila assunzioni previste per il 2023 con maggiore forza, fiducia e consapevolezza di aver messo a sistema un meccanismo innovativo e all’avanguardia. La certezza dei tempi è un importante stimolo per i candidati, una garanzia per le amministrazioni”.
Il riferimento, nemmeno troppo velato, è alla più volte rilevata inappetibilità del posto pubblico, un tempo agognata posizione lavorativa di prestigio e privilegio a cui mirare e ora invece non più così attraente.
Il limite a sei mesi per i concorsi pubblici
Tra le principali novità introdotte dalle nuove regole (qui il documento completo) c’è il limite di sei mesi per la conclusione della procedura concorsuale. Fino al 2026 lo Stato dice stop ai concorsi infiniti e passa quindi ai tempi certi. Si tratta di una forma per spingere sull’acceleratore in vista anche della necessità di raggiungere gli obiettivi di PNRR, ma l’attuale impianto potrebbe assurgere al ruolo di modello per il futuro.
Questi sei mesi si calcolano dal termine di presentazione delle domande fissato. Quindi, dalla chiusura delle candidature all’assunzione non si deve andare oltre i sei mesi.
Parallelamente la digitalizzazione accompagnerà tale processo: la pubblicazione dei bandi avverrà attraverso il portale del reclutamento inPA (oltre che sul sito istituzionale dell’ente che bandisce il concorso) e sarà totalmente informatizzata.
I vincoli territoriali
Con le nuove disposizioni, inoltre, i concorsi saranno suddivisi in base al territorio. Di conseguenza nei concorsi a livello nazionale i candidati non saranno autorizzati a presentare la propria candidatura per più di un profilo o per più di un’area geografica specificata nel bando.
Al momento di presentare la domanda, quindi, i concorrenti al posto dovranno indicare la città o la regione per la quale desiderano candidarsi e non potranno farlo per altri luoghi. Nel caso in cui non si riesca a coprire tutti i posti disponibili, si applicherà la procedura di scorrimento delle graduatorie come di consueto.
Ciao ciao prova orale
Destinata a far discutere (specialmente la categoria dei recruiter e degli esperti di HR che già stanno animando accesi dibattiti su LinkedIn) la scelta di fare a meno nei prossimi anni anche della parte orale del concorso pubblico per il 2026.
Tale vincolo è legato al conseguimento degli obiettivi di PNRR. Sia chiaro, però, che tale snellimento riguarda solo i candidati per posizioni non apicali (come a titolo puramente esemplificativo i funzionari). Inoltre non è da ritenersi un obbligo: ciò vuol dire in soldoni che potrebbe essere prevista la prova orale anche per queste c.d. posizioni non apicali, a totale discrezione dell’amministrazione.
Alla ricerca dell’equilibrio di genere
A strizzare l’occhio ai temi di genere c’è sicuramente l’annuncio di tutele particolari per le donne in gravidanza o in allattamento che si traduce principalmente nella possibilità per tali candidate di accedere a prove asincrone che tengano conto del loro stato. Ma sul tema del perseguire una possibile parità di genere c’è soprattutto la c.d. clausola per le pari opportunità.
Si tratta di una sorta di regola matematica che prevede che per ogni bando l’amministrazione che lo emette faccia presente in che misura attualmente i generi sono rappresentati al suo interno. Se la forbice è superiore al 30% si applicheranno precise tutele a favore del genere meno rappresentato (solitamente quello femminile). Il tutto cercando di essere in linea con le richieste avanzate dall’UE sulla parità di genere.