L’erosione dei redditi reali ha avuto un impatto significativo già nel corso del 2022, durante il quale si è verificata una diminuzione del potere di acquisto di 11,8 miliardi di euro. Ma se questa vi sembra la cattiva notizia, sappiate che c’è di peggio: purtroppo questa tendenza continuerà anche nel corso dell’anno 2023. Secondo le valutazioni Confesercenti il potere d’acquisto delle famiglie fino a dicembre subirà un ulteriore decremento totale di 2,9 miliardi di euro e non si prevede che si raggiungerà il livello di spesa del 2021 se non nel 2027.
Questi dati (neri) emergono da “Il Commercio oggi e domani“, uno studio sul futuro della distribuzione commerciale condotto da Confesercenti con il supporto di Ipsos e che è stato presentato recentemente a Roma nella Sala di Vibia e Adriano, in presenza del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
Gas e luce sul banco degli imputati
A pesare sulle famiglie – stando allo studio Confesercenti – è l’effetto a lungo termine dell’aumento dei prezzi dell’energia e del gas, che sono cresciuti rapidamente negli ultimi due anni. Questi aumenti si sono ripercossi sui costi di produzione, trasporto e distribuzione “causando inevitabilmente un incremento generalizzato dei prezzi finali dei prodotti e dei servizi”.
L’inflazione energetica, spiega l’associazione dei commercianti, è “ancora un problema senza soluzione“: ad aprile i prezzi al consumo hanno registrato un aumento dell’8,3%, che rappresenta un incremento dello 0,5% rispetto a marzo. Nei primi quattro mesi del 2023, il tasso di inflazione è stato dell’8,8%, superando l’8,2% di media inflazionistica registrata nel 2022.
Gli italiani hanno già messo mano ai risparmi
Per far fronte all’aumento dei prezzi, Confesercenti spiega che le famiglie hanno dovuto utilizzare le proprie riserve finanziarie. Nel 2022 gli italiani hanno destinato circa 52,9 miliardi di euro dei risparmi accumulati dalle famiglie ai consumi e, mette in allarme l’associazione, senza un’inversione di tendenza, si prevede che nel 2023 ne bruceranno altri 27 miliardi.
Si rinuncia anche alla pasta
Se questi numeri non dovessero essere chiari nella loro pienezza, proviamo a dare un altro metro di paragone. Nel primo trimestre di quest’anno le vendite di pasta hanno subito un calo del 10,7% in volume. Sappiate che – secondo lo studio – questo è “un declino mai osservato prima per il prodotto simbolo dell’eccezionale tradizione gastronomica italiana nel mondo“.
Questo calo rischia di avere gravi conseguenze sulle numerose eccellenze produttive legate ad esso, avvertono i vertici dell’associazione di categoria degli esercenti. Un argomento, questo della pasta, molto sentito e che è protagonista di un aspro dibattito che coinvolge associazioni imprenditoriali, consumatori e istituzioni.
Chiaramente, non si tratta solo di pasta. Complessivamente, nonostante il sacrificio del risparmio abbia attenuato l’impatto dell’inflazione, non è stato sufficiente per mantenere i livelli di consumo delle famiglie. Nel 2022, il volume delle vendite al dettaglio è diminuito dello 0,8%, sintesi di un aumento del 1,9% registrato dai prodotti non alimentari e di una significativa caduta del 4,2% per i beni alimentari. Questa dinamica nel 2023 si è ulteriormente aggravata. Ma se l’italiano è arrivato a privarsi della pasta, vuol dire che la situazione è ben oltre il limite di preoccupazione consentita.