Quale ruolo gioca la spiritualità nel futuro?

In occasione della presentazione di "Qualche parola prima dell'Apocalisse" del saggista Adrien Candiard a Nola, a tu per tu col filosofo Alfonso Lanzieri: "Il divorzio tra intelligenza e efficacia nell’agire impone una riflessione su quali siano i fini propriamente umani verso cui dirigere lo sviluppo delle tecnologie"

Intelligenze artificiali generative e tecnologie sempre più avanzate vanno spesso a braccetto, nel dibattito comune, con temi etici e deontologici e capita che si sfoci persino in possibili contrasti dal sapore retrò tra progresso e religione. Tra ragione e spiritualità.

In un mondo sempre più veloce con il futuro che batte il tempo quasi esponenzialmente, una coscienza collettiva impone di rimettere al centro salute, benessere, sostenibilità, pace. Quasi a voler far presagire uan sorta di collasso imminente, con questo treno pronto a schiantarsi contro il muro issato dall’essere umano stesso. E con il Doomsday Clock pericolosamente vicino all’ora zero è il caso di fermarsi a un passo dall’apocalisse per chiederci dove stiamo andando. Cosa sta accadendo.

Lo ha fatto Adrien Candiard, domenicano e saggista di fama internazionale proprio con il libro “Qualche parola prima dell’Apocalisse” che in queste ore viene presentato a Nola dal Meic in collaborazione con l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e l’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Nola. Ne parliamo con Alfonso Lanzieri, dottore di ricerca di filosofia, insegnante presso la Facoltà Teologica di Napoli (Sez. San Luigi) e presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiosa Nola-Acerra “G. Duns Scoto” (oltre a essere collega già ospitato su queste pagine).

Qualche parola prima dell’Apocalisse. Dottor Lanzieri, le religioni hanno qualcosa da dire dinanzi agli eventi “apocalittici” degli ultimi anni, quali la pandemia, la crisi climatica e la guerra tornata in Europa?
Questa è la scommessa del libro di Candiard ed è il motivo per il quale proponiamo un dialogo con lui. Qui però si tratta di chiarire cosa hanno da dire. Il contributo delle religioni in questo tempo di crisi – e segnatamente del cristianesimo –  non consiste nell’offrire un rifugio misticheggiante all’uomo spaesato di questo tempo, quasi approfittando del travaglio contemporaneo. Se così fosse, sarebbe un’operazione meschina, che ribadisce il cliché della religione che prospera sulla paura e sulla voglia di rassicurazione. Si tratta piuttosto di riscoprire nella tradizione religiosa quelle risorse per leggere in modo sapienziale questo tempo e trovare motivi di speranza, senza nascondere i problemi. Se il cristianesimo si limita ad essere solo un’aggiunta sentimentale o moraleggiante, da convocare una volta che le questioni serie siano state risolte, allora è inutile. Ma forse non è solo questo“.

A proposito di eventi eccezionali. Siamo nel mezzo di un’epocale rivoluzione della storia umana: quella digitale. Lo sviluppo vertiginoso della tecnologia, che nell’era digitale è sempre più rapido, ci espone a nuove inquietudini. Si ripropone con urgenza la questione del rapporto uomo-macchina. Come inquadrare oggi tale problema?
Dal mio punto di vista, per impostare bene la questione, bisogna anzitutto chiarire i fondamentali. Serve liberarsi da una vera e propria superstizione, quella che vuole una separazione netta tra natura e tecnica. Lo strumento tecnico non è qualcosa che sopraggiunge a un certo punto nell’evoluzione umana.  L’evoluzione culturale, in particolare tecnologica, e l’evoluzione biologica si sono strettamente intrecciate in un’evoluzione “bioculturale” o “biotecnologica”. Homo sapiens è sempre stato Homo technologicus. Noi costruiamo strumenti e i nostri strumenti retroagiscono su di noi modificandoci. Lungo questo percorso, durato ovviamente milioni di anni, è intervenuto però un cambiamento al quale fare attenzione: la tecnologia premoderna, infatti, prevedeva comunque un certo grado di addestramento da parte dell’uomo. Usare un aratro, tirare con l’arco, guidare un carro, erano tutte operazioni che richiedevano una competenza manuale e dunque anche un’applicazione intellettuale. La tecnologia contemporanea, invece, come messo in luce correttamente anche da altri studiosi, è più un divorzio tra intelligenza e capacità di agire. Possiamo pensare a una lavatrice: non è intelligente, eppure lava i nostri vestiti come se li lavasse un essere umano dotato di intelligenza, anzi a volte meglio. Ci basta un click sulla schermata del nostro smartphone oppure dare un ordine ad Alexa per ottenere quello che vogliamo. È questo divorzio ad avere effetti ambivalenti: da un lato ci esonera da molti lavori, dall’altro ci impone di pensare a come direzionare questo sviluppo in senso umano“.

Ma nell’era delle macchine e degli algoritmi sempre più potenti, sarà ancora possibile parlare di “spiritualità” e “umanesimo”?
Direi che sarà necessario. Come ho detto poc’anzi, il divorzio tra intelligenza e efficacia nell’agire impone una riflessione su quali siano i fini propriamente umani verso cui dirigere lo sviluppo delle tecnologie. Si parla molto di “intelligenza artificiale”, ma è un’espressione ingannatrice: un computer non ragiona come un essere umano, per diversi motivi che possiamo riassumere in una frase: pensare non equivale a computare. Hobbes, e molti altri con lui, su questo si sbagliavano. Tuttavia è indubbio che la potenza di calcolo delle macchine svolga molte funzioni in modo più veloce ed efficiente di una persona. Quali sono i lavori che scompariranno? Da quali lavori saranno sostituiti? Quali sono i costi sociali e come aiutare chi li subirà più di altri? Come distribuire equamente i vantaggi della rivoluzione digitale, in modo che quell’esonero dal lavoro ripetitivo e noioso, del quale parlavamo, non sia solo per pochi fortunati? Come organizzare il mondo in modo che, ad esempio, le macchine possano operare senza mettere in pericolo la nostra sicurezza e la nostra privacy? Sono tutti interrogativi che richiedono di mettere al centro l’uomo e il pianeta. Dobbiamo anche evitare di entrare in un rapporto fideistico con le macchine: oggi posso chiedere allo smartphone qualunque cosa, dal miglior ristorante in città a che tempo farà la settimana prossima, o perfino se quella persona può essere un buon partner per me, e ottengo una risposta in base all’elaborazione di una gigantesca quantità di dati. Tutto ciò può indurre una nuova forma di idolatria. Qualche studioso contemporaneo ha parlato di “dataismo”, come una sorta di nuova religione. L’incontro con Candiard potrà servire anche a mettere a fuoco questo aspetto: in che modo la sapienza religiosa può tenerci lontano dall’idolatria degli oggetti e dell’accumulazione della potenza? La Bibbia è piena di avvertimenti contro questo pericolo. Quindi sì, si parlerà ancora di spiritualità – termine scivoloso e dai mille significati  ̶  perché l’uomo tende naturalmente a trascendere l’empirico e il constatabile. Si tratta, anche in questo caso, di sviluppare in modo liberante questa facoltà umana ed evitare nuove forme di schiavitù“.

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