In Italia, in direzione “ostinata e contraria” verrebbe da dire, il Governo che ha istituito il Ministero alla Sovranità Alimentare (adottando il concetto da altri Paesi) ha nelle scorse ore annunciato la volontà di mettere al bando ogni tipologia di carne sintetica e alimento sintetico, definendo un piano sanzionatorio pesantissimo per chi dovesse contravvenire.
Con un motivo d’urgenza (discutibile nel senso e nei fatti) il Consiglio dei Ministri fa sua la proposta del ministro Francesco Lollobrigida che prevede “sanzioni amministrative pecuniarie da un minimo di euro 10.000 fino ad un massimo di euro 60.000 ovvero fino al 10 per cento del fatturato totale annuo, con l’indicazione comunque di un tetto massimo, oltre alla confisca del prodotto illecito” – oltre che “ulteriori sanzioni amministrative che intervengono sulla possibilità di svolgere attività di impresa, inibendo l’accesso a contributi, finanziamenti o agevolazioni erogati da parte dello Stato, da altri enti pubblici o dall’Unione europea, per un periodo da uno a tre anni” – per chi contravviene al “divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici“.
“Nel rispetto del principio di precauzione – si legge nel comunicato stampa diffuso sull’argomento – le norme intendono tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare attraverso il divieto di produzione e commercializzazione di alimenti sintetici. Il divieto comprende sia gli alimenti destinati al consumo umano sia i mangimi animali”.
A differenza della levata di scudi sulla farina di grillo, che è di fatto sorta dopo un provvedimento comunitario, quella delle carni sintetiche anticipa per l’Italia ogni indirizzo dell’Unione Europea, anche se è importante sottolineare che allo stato attuale la legge per entrare in vigore deve essere discussa e approvata dalle Camere. Non solo: dato che a scanso di equivoci l’Italia è ancora parte integrante dell’Unione un eventuale ok dell’EFSA imporrebbe al nostro Paese (nell’ottica della libera circolazione comunitaria di beni e servizi) la distribuzione di carni sintetiche anche nel nostro Paese se proveniente da altri Stati membri, vietandone quindi essenzialmente la produzione nei nostri confini.
Nonostante ciò, il ministro Lollobrigida si è mostrato deciso in conferenza stampa, e ha illustrato il disegno di legge adducendo per l’adozione di tale provvedimento – tra gli altri motivi – la tutela della biodiversità. A differenza di quanti pensano che qualsivoglia freno alla macellazione e agli allevamenti intensivi anziché colpire la biodiversità la aiuterebbe. Più comprensibile negli intenti, ma comunque non meglio spiegata nei modi, la questione sollevata di “ingiustizia sociale” da parte del responsabile del Dicastero all’Agricoltura. Anche in questo caso, le parole sembrano più atte a giustificare una scelta politica che strizza l’occhio al consenso popolare (e i festeggiamenti del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni fuori Palazzo Chigi ne sono un esempio). Mentre invece il Belpaese potrebbe dover frenare in un settore chiave per il futuro del Pianeta e accumulare ritardo nei confronti dei competitor.
Il contesto globale in cui nasce la carne sintetica
Nel mondo attualmente si contano oltre 8 miliardi di esseri umani. Questo valore entro il 2050 potrebbe raggiungere secondo le stime dell’ONU 9,7 miliardi per arrivare a 11 miliardi a fine secolo. Anche se le scuole di pensiero differiscono in sfumature, così come la lettura dei report governativi e non governativi, vi è una certezza granitica: siamo tanti. E uno dei problemi enormi del prossimo futuro è quello delle risorse che – udite, udite – potrebbero non bastare per tutti.
Ci sono chiaramente diverse letture di ciò: c’è chi sottolinea quanto siano insostenibili gli attuali modelli di consumo, c’è chi evidenzia la differenza di accesso a tali risorse, c’è chi fa notare che ad oggi oltre 800 milioni di persone sul Pianeta non abbiano comunque cibo a sufficienza contro i due miliardi in sovrappeso e/o obese.
L’idea di produrre carne in laboratorio detta carne coltivata (comunemente definita carne sintetica, ma definizione che OIPA ad esempio rimanda al mittente perché fuorviante) con procedimenti sicuri e puliti nasce in questo contesto, e non certo per un capriccio globale o semplicemente per avallare le ragioni del mondo animalista o vegano.
Anzi, uno dei dibattiti più intensi in tal senso deriva proprio dalla differenza di vedute tra chi ritiene l’alternativa vegana o sostenibile sufficiente a rispondere alla richiesta del Pianeta di minor consumo di carne e chi invece ritiene il prodotto di laboratorio strettamente necessario a colmare tale gap.
La carne sintetica nel resto del mondo
Resta però comune visione che bisogna consumare meno carne. Ad oggi, passati quasi dieci anni dalla presentazione del primo hamburger in vitro realizzato all’università di Maastricht, gli alimenti sintetici (o anche detti coltivati) sono già reali in Paesi come Israele e Singapore (che dipende dagli altri Paesi per il 90 percento delle risorse alimentari). Soprattutto per quanto riguarda la città – Stato orientale, possiamo parlare di case study: primo a autorizzare e commercializzare soluzioni “alternative” e di laboratorio già nel 2020 ora Singapore è da ritenersi una sorta di hub avveniristico capace di raccogliere alcune delle più promettenti aziende e start-up impegnate nella produzione di carne sintetica o ibrida contando ben 36 realtà impegnate sulle proteine alternative (stando ai numeri forniti da Good Food Institute).
Gli Stati Uniti hanno recentemente dato il primo ma fondamentale via libera al consumo di carne sintetica con l’ok nel novembre 2022 del Food and Drug Administration, l’ente federale per il controllo di alimenti e medicinali, a un “pollo sintetico” di fatto moltiplicato in un bioreattore. Gli States sono uno dei Paesi più attenti a questa evoluzione e in parecchi hanno scommesso – anche economicamente – su tale cibo del futuro (e tra questi nomi noti come Bill Gates o Leonardo Di Caprio). Ma il volume economico e conseguente interesse è enorme e diffuso, si pensi che nel 2020, la produzione di alimenti in vitro ha “attirato circa 350 milioni di dollari in investimenti” mentre nel mondo esplodeva la pandemia da Covid-19. E l’osservatore McKinsey & Co., sottolineando che al momento più che etica la questione è “economica” (ossia del costo di tali prodotti al dettaglio) punta sul fatto che entro il 2030 questi prodotti potrebbero costare quanto quelli classici e arrivare a rappresentare un giro d’affari da 25 miliardi di dollari (secondo l’accurata sintesi del Sole 24 Ore in questo articolo).
Un mercato che l’Italia sta politicamente allontanando con scelte come quella delle scorse ore? C’è il rischio di rallentare una corsa in cui altri sono già lanciati? Staremo a vedere.