Interpelli all’Agenzia delle Entrate a pagamento? I professionisti non ci stanno. Ecco perché

Il Governo, rendendo a pagamento gli interpelli, non propone la chiarezza amministrativa e l'evidenza delle fonti bensì, al contrario, di rendere a pagamento (con un ticket insomma) una funzione dello Stato (non un sevizio) in barba alle basilari leggi della trasparenza nel rapporto fra PA e cittadini.

Gli Interpelli potrebbero presto diventare un obolo. Fra le proposte della Riforma del Fisco (che verrà discussa in CDM questa settimana), infatti, vi è quella di inserire come servizio a pagamento la richiesta di interpelli che il cittadino, impresa o libero professionista può rivolgere all’Agenzia delle Entrate.

La motivazione è da rintracciarsi, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, nella forte volontà di “frenare il ricorso allo strumento che ingolfa gli uffici dell’Agenzia delle Entrate“.

Quella degli interpelli a pagamento, fra l’altro, non sarebbe l’unica delle novità in tema di riforma fiscale che potrebbe essere definitiva: questa, di certo, non è passata inosservata e ha provocato l’immediata reazione dei professionisti. Ecco perché

Interpelli a pagamento? Il “no grazie” di avvocati e commercialisti

Dunque: secondo il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Giampaolo Di Marco, quella degli interpelli a pagamento è una situazione del tutto inaccettabile.

“Per ottenere risposte dal Fisco sarà previsto un pagamento da parte dei contribuenti“, attacca Di Marco. “Con buona pace del declamato fisco vicino al cittadino, l’articolo 4 della bozza, che è finalizzato alla revisione dello statuto dei diritti del contribuente, si pone l’obiettivo di limitare il ricorso all’interpello all’Agenzia delle Entrate, che vorrebbe invece arroccarsi nella propria torre d’avorio“, afferma.

“Non si può fare cassa su uno strumento che è indispensabile ogni giorno a migliaia di cittadini e professionisti. Si trovino più risorse per l’Agenzia delle Entrate, ma non imponendo una gabella su un servizio che ha la funzione di dare indicazioni e spiegazioni al contribuente, utile specialmente in ottica deflattiva rispetto a futuri contenziosi”, aggiunge.

Nella legge delega, infatti, “verrebbe limitata la possibilità di presentazione degli interpelli all’Agenzia delle Entrate alle sole questioni che non hanno già soluzioni in documenti interpretativi già pubblicati. Ma se l’obiettivo è quello di valorizzare il principio di certezza del diritto, sfugge come il pagamento di un contributo per la richiesta di chiarimenti si avvicini a tale fine”, osserva.

Dello stesso parere è l’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili: il Presidente, Matteo De Lise, ha affermato che

“Rendere l’interpello, istanza che il contribuente rivolge all’Agenzia delle Entrate per ottenere chiarimenti prima di attuare un comportamento fiscalmente rilevante, una “consulenza a pagamento” è un grave errore. Comprendiamo l’esigenza di contenere l’elevato numero di interpelli che giungono all’attenzione dell’amministrazione finanziaria, ma in questo modo si va a snaturare completamente il senso di uno strumento che negli anni si è rivelato molto utile per cittadini e professionisti”.

De Lise evidenzia come lasci perplessi anche “l’introduzione, nel nuovo modello di Dichiarazione dei redditi 2023, del nuovo rigo: RU150 – Titolare Effettivo. Si tratta dell’ennesima potenziale duplicazione di informazioni che la Pubblica Amministrazione avrà richiesto, in diversi modi, ai beneficiari dei fondi. Si tratta di un vero e proprio blitz ai danni dei contribuenti e degli intermediari, chiamati a riportare, in un contesto di incertezze e dubbi sulla liceità dello strumento, informazioni volte ad accertare rispettivamente «la titolarità effettiva dei destinatari dei fondi e il rispetto del principio di divieto di doppio finanziamento»”.

Per Carlo De Luca e Francesco Savio (consiglieri nazionali Ungdcec) “il Registro dei Titolari Effettivi, strumento già operativo in molti Paesi Membri, potrebbe essere una possibile soluzione al rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo che gravano sul mercato interno e relativi alle attività transfrontaliere. L’Italia ha recepito le indicazioni dell’Unione Europea sull’istituzione del Registro lo scorso anno: ma per l’operatività mancano ancora alcuni ulteriori decreti attuativi.

La nostra convinzione è che il Registro dei Titolari Effettivi, così come attualmente disciplinato, non può trovare luce. Anche perché, come ribadito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il diritto alla protezione dei dati personali e alla tutela della vita privata e familiare prevale sull’obiettivo di interesse generale di prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo”.

Insomma, in un Paese in cui la legiferazione in materia economica, contabile e finanziaria è continua, confusa e poco ordinata (ricorderete tutto il carico di bonus, incentivi e ristori che si sussegue da tre anni a questa parte senza soluzione di continuità) il Governo rendendo a pagamento gli interpelli non propone la chiarezza amministrativa e l’evidenza delle fonti bensì, al contrario, di rendere a pagamento (con un ticket insomma) una funzione dello Stato (non un sevizio) in barba alle basilari leggi della trasparenza nel rapporto fra PA e cittadini.

Per farla più semplice: si stanno confondendo i diritti con le logiche di mercato (l’ADE non è il consulente fiscale del cittadino!), la trasparenza della PA con una licenza, e il dovere istituzionale con servizio a pagamento. Con il rischio, ancora una volta, che a pagare (e a sbagliare) saranno quelli che ancor di più non potranno permetterselo.

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