Storie di Ricerca: dal digital twin alla cybersicurezza, l’Industria 4.0 passa per le ricercatrici

Nella facoltà di Ingegneria della Federico II il team guidato da Alessandra De Benedictis studia e sviluppa soluzioni applicabili al mondo industriale e non solo. E il team è tutto al femminile.

Un team al femminile nel cuore dell’ingegneria informatica dell’Università Federico II. L’ingegnere Alessandra De Benedictis docente e ricercatrice, con le dottorande Alessandra Somma e Franca Rocco di Torrepadula, sono fra le più giovani ricercatrici del dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione della prima Università napoletana.

I numeri simbolo

Nell’Università Federico II, il più antico e prestigioso ateneo meridionale, al 2022 sono 1429 le docenti e ricercatrici in forza, di contro a 1927 uomini. Il piano di uguaglianza datato 2017 che già entro il 2024 puntava a migliorare anche questo indicatore, anticipando nella pianificazione tematiche comuni (e particolarmente sentite soprattutto al sud) come il gender gap e il gender pay gap, è testimonianza di come la situazione si sia evoluta nel corso degli anni. Il motivo ostativo però esiste ancora: benché auspicata e fortemente voluta la parità (in numero almeno) tra uomini e donne è ancora distante dall’essere raggiunta. La percentuale femminile è pari al 26,9% nella docenza di prima fascia, al 42,7% in quella di seconda fascia, al 48,9% nella componente RU, al 42% nel personale RTDB e supera quella maschile solo nel personale RTDA (53,1) e per assegnisti di ricerca (54,8). Le fasce si allargano quanto più maggiore è il grado assunto. Facendo riferimento alla sola area STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) la situazione diventa paradossale: meno studentesse che studenti, meno laureate che laureati, ma il grado accademico è maggiore per le donne (più dottorande che dottorandi). Salvo poi ritornare in percentuale inferiore negli altri gradoni di carriera in numero rispetto ai colleghi “maschietti”.

Ma ci sono storie come quella che andiamo a raccontare che da sole potrebbero diventare una leva attrattiva non indifferente per portare un nuovo movimento, diverso, da e verso Napoli e di contraltare alle graduatorie – discutibili – che classificano gli atenei stessi. Storie che raccontano di come l’Università grazie alle sue quote rosa sappia inserirsi nel tessuto sociale e dialogare con quello imprenditoriale creando valore per l’intero territorio.

Alessandra De Benedictis e il suo team

Sono dodici anni che Alessandra De Benedictis fa ricerca in ateneo occupandosi principalmente di cybersecurity. La sua ricerca, racconta, si è dapprima concentrata sullo studio delle architetture sicure per sistemi distribuiti caratterizzati da risorse computazionali limitate, come le reti di sensori wireless, di ampio interesse nel campo industriale. Successivamente – attraverso la partecipazione ad alcuni progetti di ricerca europei – le sue attività di ricerca si sono estese al dominio del cloud computing sempre in ottica di sicurezza, per poi abbracciare le diverse tecnologie del cosiddetto compute continuum, ossia un paradigma distribuito che integra in maniera flessibile e trasparente infrastrutture cloud e sistemi di edge computing e Internet of Things per l’implementazione di applicazioni evolute combinando capacità elaborative altamente eterogenee.

Ma di preciso, di cosa stiamo parlando?
“Sono applicazioni che si trovano non solo in ambito industriale, ma anche nella vita quotidiana. Ad esempio, facendo riferimento alle applicazioni nell’ambito della sanità digitale, un primo livello di elaborazione è assicurato dai dispositivi che raccolgono i parametri vitali dei pazienti, che però tipicamente non hanno le risorse per compiere analisi avanzate e quindi trasmettono i dati ad altri dispositivi più evoluti  o a servizi cloud per un’elaborazione massiva. Si ha quindi necessità di un calcolo distribuito e i canali di comunicazione vanno protetti nel modo più adeguato. Ma le stesse considerazioni valgono anche nel settore manifatturiero, dove le linee di produzione e montaggio hanno molteplici sensori che rilevano lo stato degli impianti e generano enormi quantità di dati da elaborare, tipicamente processate su piattaforme cloud con tecnologie di Intelligenza Artificiale e Big Data Analitcs. Stiamo parlando, in altri termini, delle tecnologie di Industria 4.0”.

L’evoluzione del percorso di ricerca di Alessandra De Benedictis, quindi, segue gli sviluppi dell’industria e del mercato 4.0: ha iniziato con la cybersecurity, fino ad arrivare allo studio di metodologie di sviluppo sicuro dei sistemi e delle infrastrutture. Quindi: come fare a capire quali sono i componenti architetturali di un’applicazione che consentono di soddisfare già dalla fase di design i requisiti di sicurezza esistenti?

“Adesso la questione sembrerebbe banale ma la sicurezza per molto tempo è stata vista come una proprietà  da prendere in considerazione solo alla fine del processo di sviluppo di un sistema. Adesso è impossibile una cosa del genere, perché è ormai chiaro che, per avere soluzioni efficaci, la sicurezza va considerata fin dall’inizio del ciclo di sviluppo: i sistemi devono essere progettati per essere sicuri fin dalle basi identificando da subito i componenti architetturali che consentono di contrastare o mitigare i rischi esistenti” .

Non solo sicurezza...
“Con Alessandra Somma, la mia dottoranda, da qualche mese stiamo affrontando un’altra tematica di interesse sia per il mondo accademico sia per quello industriale: i digital twin o gemelli digitali. Si tratta di sistemi che consentono di virtualizzare oggetti o processi del mondo fisico sulla base di uno scambio bidirezionale di dati dal mondo fisico alla sua rappresentazione digitale e viceversa, che consente di compiere elaborazioni e simulazioni avanzate per offrire servizi a valore aggiunto, dal monitoraggio di processo al controllo remoto, alla previsione del comportamento futuro del sistema, anche grazie all’ausilio di tecniche di Intelligenza Artificiale.”

L’ing. Alessandra Somma spiega: “Nel mio dottorato analizzo le grandi potenzialità della tecnologia del digital twin, che grazie al paradigma industria 4.0 si è maggiormente diffusa nei grandi impianti industriali. Come ricercatori di ingegneria informatica siamo interessati ad approfondirne le potenzialità e le problematiche, da un punto di vista informatico, di una tecnologia che si trova a cavallo fra l’informatica e il dominio applicativo, che può essere qualsiasi, dalla medicina all’industria, dalla robotica alla blockchain. Anche nel contesto dei digital twin la sicurezza riveste un ruolo fondamentale: dal momento in cui creo un gemello digitale che si basa su dati di sensori che provengono dal mondo fisico voglio essere sicuro che quei sensori che inviano i dati siano sicuri ed affidabili”.

Sono delle attività interessanti, racconta l’ing. De Benedictis, che nell’ultimo decennio hanno coinvolto maggiormente il settore manifatturiero, ma che stanno mostrando grandissime potenzialità anche in altri settori. Le tecnologie alla base di Industria 4.0 sono fondamentali anche per altre applicazioni sulle quali si sta convergendo il mondo industriale e della ricerca, fra cui quelle legate alla smart mobility.

“È quello di cui si occupa Franca, un’altra dottoranda del nostro gruppo: durante la sua tesi e adesso con il dottorato si sta occupando di smart mobility, e in particolare dele tecniche per migliorare le esperienze dei viaggiatori nei mezzi pubblici. Fondamentale nell’ottica della sostenibilità, non solo a livello nazionale ma anche europeo: sono tematiche importanti per il settore dell’ICT di oggi, che passano dal dotare di intelligenza i sistemi al comprendere come acquisire i dati e processarli, e che richiedono la padronanza di tecniche di machine learning fino all’high performance computing. E la cybersecurity è trasversale, con tutte le problematiche che si porta dietro in termini di privacy e di utilizzo dei dati stessi”.

Un mondo vasto, in continua evoluzione. E ci sono molte applicazioni che dalla ricerca passano alla sperimentazione reale: le collaborazioni del gruppo di ricerca di cui fa parte l’ing. De Benedictis riguardano svariati ambiti applicativi, fra cui l’analisi e valutazione della sicurezza in sistemi software e hardware complessi, la tracciabilità della filiera agricola e la predizione dei guasti di impianti e apparecchiature in ottica di manutenzione predittiva. Questi progetti di ricerca, cerco di capire, vengono ben accolti dal territorio e dagli interlocutori? In altri termini, esiste un dato che realmente intreccia il mondo accademico con l’industria? E quali sono poi i risultati attesi?

“Sulla sicurezza abbiamo portato avanti un paio di progetti europei che hanno suscitato l’interesse anche di grossi gruppi industriali attivi nella standardizzazione e nella promozione di best practice legate al mondo dei servizi cloud. Abbiamo collaborato con partner europei, definendo metodologie di sviluppo sicuro e stabilendo le metriche per la valutazione della sicurezza stessa, per stabilire quanto è sicuro un servizio cloud e quali garanzie di sicurezza è possibile ottenere da un provider. Le metodologie che abbiamo sviluppato poi le abbiamo portate nella collaborazione che l’Università ha con le aziende del territorio”.

Per esempio?
“Per la parte di cybersecurity collaboriamo con aziende napoletane con cui facciamo attività sia di analisi, per comprendere se nelle infrastrutture e nei servizi che utilizzano sussistano problematiche, sia di progetto, sviluppando e customizzando le nostre metodologie in base alle esigenze aziendali. Sulle attività legate alla smart mobility, invece, Franca ha lavorato in collaborazione con una grossa azienda per sviluppare il suo progetto di tesi: noi utilizziamo dati reali e sperimentiamo soluzioni concrete, come ad esempio gli algoritmi per il carico del mezzo di trasporto pubblico sulla base dell’utilizzo degli utenti. C’è una fortissima ricaduta”.

L’ing. Franca Rocco di Torrepadula spiega “ho studiato come applicare le tecniche diIoT e diintelligenza artificiale per migliorare il servizio offerto dai mezzi pubblici, in accordo con l’effettivo  utilizzo  e  capienza degli stessi. Con i sensori è stato possibile analizzare la posizione degli autobus e la disposizione delle persone a bordo di essi: ciò è importante perché permette di caratterizzare la domanda e migliorare quanto più possibile il servizio per adattarlo alle esigenze del pubblico. A tal fine, sono fondamentali le tecniche di IA, che però pongono una serie di problematiche per quanto riguarda il trattamento etico dei dati privati . Adesso sto studiando come integrare all’interno del modello un simulatore di mobilità, così da prevedere, analizzare e caratterizzare differenti situazioni e poter sperimentare potenziali nuovi percorsi, corse e linee. In futuro prevediamo di lavorare anche sulla guida autonoma, che pone numerosi problemi sulla sperimentazione per la sicurezza della stessa”.

E la risposta del territorio?
“Assolutamente c’è un forte interesse – spiega l’ing. De Benedictis – perché le aziende si stanno rendendo conto che la spinta alla digitalizzazione non può prescindere dalla ricerca e non può essere ignorata. Le competenze digitali, soprattutto per le aziende grandi che possono investire in ricerca e sviluppo, sono in continua evoluzione; ma noi cerchiamo di essere vicini ed interloquire anche con realtà medio – piccole, mediante convenzioni o collaborazioni per portare innovazione anche attraverso i nostri studenti e ricercatori. È la mission che abbiamo come dipartimento e come ateneo in generale, siamo focalizzati sulla divulgazione e sul trasferimento tecnologico”.

L’ultima riflessione di questo appuntamento di Storie di Ricerca riguarda l’essere una ricercatrice donna, in un mondo spesso fatto di soli uomini. I dati del report “Gender in research” di Elsevier, editore scientifico tra i più importanti del mondo, dicono che il 44% dei ricercatori nelle materie Stem (scienza, tecnologia, matematica e ingegneria), in Italia, sono donne. Una disparità evidente: ma come la vive chi è nel settore?

“E’ un tema molto complesso a cui dare una risposta. Il mio percorso da studentessa è stato tranquillo e sereno e non ho mai percepito disparità di trattamento per essere donna – racconta l’ing. De Benedictis – e la stessa cosa ho trovato anche nel percorso da ricercatrice o nei concorsi che ho fatto. Quello che posso dire è che, probabilmente, la scarsa presenza di donne nel mondo della ricerca riguarda più un problema culturale: forse non vengono considerate adatte a questa tipologia di percorso, in famiglia e nell’ambiente scolastico, ma non perché non siano capaci, ma perché si pensa che tipicamente la donna non abbia un’attitudine alle materie scientifiche. Capita però a volte che, ad esempio, quando il mondo imprenditoriale si interfaccia con l’università e ad interloquire è una donna ci si rende conto che c’è un po’ di stupore e smarrimento, perché non è comune. Nel nostro dipartimento la presenza femminile non è ampia, ma le cose stanno cambiando”

Perchè, racconta sempre l’ing. De Benedictis, “la responsabilità è anche di noi donne e ognuna è chiamata a fare la sua parte [..] da poco sono responsabile dell’orientamento del corso di laurea in ingegneria informatica e sto facendo, per il momento online, eventi di orientamento in ingresso. La maggior parte delle persone che partecipano a questi eventi sono uomini, mentre le donne sono in numero nettamente inferiore e tipicamente orientate verso l’ingegneria biomedica e gestionale, forse percepite come più “femminili”. Ho l’obiettivo nel medio termine di invogliare le studentesse ad intraprendere anche questa tipologia di carriera, dare testimonianza che le donne possono farcela anche nel campo prettamente ICT”.

E ancora un’altra cosa, ci tiene ad aggiungere: l’ambiente di lavoro è fondamentale nel mettere in risalto le donne: “Nel nostro ambiente, ci tengo a dirlo, esistono diversi colleghi uomini, fra cui il prof. Mazzocca, ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni e mio riferimento all’interno del Dipartimento, che ci tengono a dare risalto alle colleghe donne laddove è opportuno, non per una mera questione di rappresentatività ma per i risultati che siamo in grado di raggiungere. Ognuno deve dimostrare le proprie competenze, mettersi in gioco e stare in prima linea, ma è fondamentale dare valore alle collaboratrici donne tanto quanto gli uomini”.

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