Benedetto XVI e lo sforzo di mostrare la ragione della fede: addio all’ultimo degli intellettuali

Nel caso di Benedetto XVI, il cuore dello sforzo del teologo tedesco è stato mostrare la ragionevolezza della fede. La fede non è irrazionale e una ragione che si chiude alla trascendenza, in altri termini alla domanda su Dio, può restare pericolosamente prigioniera del proprio delirio di onnipotenza. Questa, in estrema sintesi, una delle principali direttrici del suo pensiero.

Dalla morte di Benedetto XVI fino ad oggi, giornata dei solenni funerali celebrati in San Pietro, una lunghissima fila di persone ha reso omaggio alle spoglie del Papa emerito e contemporaneamente si è subito levato nell’infosfera un dibattito sulla sua figura.

Giornalisti, scienziati, intellettuali: moltissimi hanno preso parola, chi in modo più critico chi in modo più elogiativo, sulla persona di Joseph Ratzinger. Ciò non si spiega solo con l’importanza del ruolo istituzionale rivestito, ma certamente con lo spessore del suo pensiero.

Con Ratzinger, infatti, se ne va infatti uno degli ultimi grandi intellettuali del ‘900 europeo, che si è formato sulle grandi figure della tradizione occidentale –  Platone, Agostino, Bonaventura, Tommaso, Pascal  – ma ha dialogato tutta la vita col pensiero filosofico e scientifico contemporaneo. Se è difficile, e forse scorretto, tentare di racchiudere la biografia di un uomo in un solo aspetto – tanto più se è stato prete, professore, vescovo, cardinale e pontefice  – nondimeno è possibile individuarne alcuni pilastri.

Nel caso di Benedetto XVI, il cuore dello sforzo del teologo tedesco è stato mostrare la ragionevolezza della fede. La fede non è irrazionale e una ragione che si chiude alla trascendenza, in altri termini alla domanda su Dio, può restare pericolosamente prigioniera del proprio delirio di onnipotenza. Questa, in estrema sintesi, una delle principali direttrici del suo pensiero. Una tesi forte, che gettata nello stagno della secolarizzazione ha inevitabilmente generato onde di apprezzamenti e critiche, ma dinanzi alla quale nessuno ha potuto e può restare indifferente.

Tale tesi, infatti, non è solo materia di astratte dispute accademiche sulla “città di Dio”, da lasciare a polverosi accademici, ma tocca la carne viva della “città dell’uomo”. Basta conoscere anche solo superficialmente la storia europea degli ultimi 2000 anni, per sapere che attorno al rapporto tra la sfera mondana e la sfera religiosa si sono giocati i destini culturali, sociali e politici del nostro continente. Se l’annuncio di un Dio identificato col Logos dei greci, che demitizza tutte le potenze mondane, non fosse così dirompente, non avrebbe potuto generare la reazione furente dell’impero romano contro la chiesa delle origini né le diverse contese successive. Piaccia o no questa è la nostra storia.

Tutto ciò si trova nel famoso discorso di Ratisbona del 2006, sul quale tanto si è polemizzato, e anche nel discorso che Ratzinger avrebbe tenuto all’università La Sapienza di Roma nel 2008, mai pronunciato per la protesta di una parte del corpo accademico che intese difendere la laicità dell’ateneo. Quest’ultima vicenda racchiude, in modo emblematico, una delle sfide lanciate dal papa emerito al pensiero contemporaneo: qual è il posto di Dio nella nostra società? È lecito farne solo una questione privata? Quale idea di ragione, di laicità, di etica e di diritti ne deriva? Da qui è partita e continuerà la disputa (celebre il confronto tra l’allora cardinale Ratzinger e il filosofo ateo Paolo Flore D’Arcais del 2000) che, comunque la si pensi, Joseph Ratzinger ha avuto il merito di rilanciare con forza e profondità. Non a caso, anche i più critici, oggi gli riconoscono almeno l’onore delle armi intellettuali.

Va da sé che, con l’impostazione finora delineata, Ratzinger entrasse in confronto critico con i passaggi cruciali della modernità: quali sono stati gli esiti della rivoluzione scientifica? Dell’illuminismo? Del ’68? È andato tutto bene, oppure qualcosa non ha funzionato e oggi ci troviamo con un uomo europeo giustamente fiero dell’efficienza tecno-scientifica raggiunta, ma anche con un mondo svuotato di senso e con un’idea di libertà troppo individualistica?

Cos’è successo alla Chiesa che solo sessant’anni fa celebrava con grande speranza il Concilio Vaticano II e oggi, almeno in Occidente, si riscopre minoranza affannata e spaesata? Anche su questo enorme dibattito, le posizioni di Ratzinger, incentrate su un registro alquanto fosco e preoccupato (specie negli ultimi anni del suo pontificato), hanno fatto e faranno discutere, ma non potranno essere semplicemente ignorate o, peggio ancora, catalogate all’interno di pigre distinzioni tra “progressisti” e “conservatori”, che in genere contraddistinguono tutte le riflessioni di scarsa qualità.

L’attenzione e anche l’affetto che le persone semplici, non solo i colti, hanno riservato in questi ultimi giorni a Benedetto XVI, sono probabilmente legate alla sua rinuncia al papato, che sconvolse il mondo. “Ciò che si sa di qualcuno impedisce di conoscerlo”, diceva Christian Bobin. Probabilmente, quel gesto di grande umiltà e disinteresse, eliminò un po’ di coltre fumosa tra colui che veniva percepito come il severo custode della dottrina e il mondo, rivelando il profilo semplice di un uomo che ha speso la vita per ciò in cui credeva dichiarando anche i propri limiti. Una figura rara in un’epoca che si destreggia tra incertezze radicali e onnipotenze dai piedi di argilla. Su tutto il resto, dirà il tempo.

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