Un Paese fermo: stipendi bassi e troppe tasse, la frattura sociale è dietro l’angolo

"L’aumento dei costi e dei prezzi ha imposto un eccezionale stress test al sistema Italia, evidenziando tutte le disfunzioni che lo attraversano. Le politiche di emergenza che abbiamo più volte richiesto, e che seppur in dosi omeopatiche il governo sta tentando di realizzare pur in questa fase estremamente difficile e controversa, vanno in questa direzione. Ma non bastano: come il ceto medio che si percepisce ‘in declino’, il Paese è spaventato".

Un Paese fermo, che non cresce e anzi, crea sempre più differenze sociali ed economiche. E’ il quadro che emerge dal report Fragil-Italia dell’Area Studi Legacoop-Ipsos “L’ascensore sociale bloccato”, che rimanda all’immagine di un’Italia segnata da fratture sociali rilevanti.

Le più forti, per più di 6 italiani su 10, quelle tra ricchi e poveri e tra onesti e furbetti, dove il 66% degli intervistati ritiene di essere posizionato nella parte inferiore della piramide sociale e si delinea una netta percezione di un blocco sostanziale dell’ascensore sociale, con meno di 4italiani su 10 che pensano che i propri figli possano aspirare ad una posizione sociale migliore.

Ma andiamo con ordine.

Il Paese immobile

Un’Italia immobile, che non permette di migliorare le condizioni di partenza, né di avere molte alternative. Sono questi i tratti principali della fotografia della condizione sociale del nostro Paese tracciata nel Report FragilItalia “L’ascensore sociale bloccato”, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos, in base ai risultati di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo della popolazione, per testarne le opinioni relative al tema.

Stando all’analisi, in testa alle fratture sociali più forti, come anticipato, figurano, a pari merito quelle tra ricchi e poveri e tra onesti e furbetti (61%, ma, rispettivamente, 66% e 67% nel ceto popolare), seguite, al terzo posto, da quella tra il popolo e le elite (56%, 64% tra gli over 65) e al quarto e quinto posto, ancora a pari merito, tra italiani e immigrati e tra lavoro stabile e lavoro flessibile (46%).

Quanto alla collocazione nella “piramide sociale” del Paese in base al reddito e alle condizioni di vita, il 27% ritiene di appartenere al ceto medio e solo il 6% alla upper class; di contro, ben il 66% degli interpellati ritiene di appartenere alla parte inferiore della scala sociale.

In particolare, il 39% al ceto medio “in declino” (inteso come persone la cui posizione sociale è in discesa, titolari di un reddito che non permette lussi); il 15% al ceto fragile (chi arriva a fine mese con difficoltà) e l’11% alla lower class (chi ha meno del necessario o si sente povero).

Un quadro di polarizzazione sociale, insomma, confermato anche dalle relative dinamiche avvertite dalla popolazione negli ultimi anni. Solo il 5% degli intervistati ritiene che la propria posizione sia migliorata e per il 31% è rimasta uguale ad un livello medio o alto; per il 38% è rimasta uguale ad un livello basso o popolare; è invece peggiorata per il restante 26% (per il 19% peggiorata, per il 7% molto peggiorata).

Le previsioni per il futuro

Una tendenza, sottolinea il Report, che si proietta anche nel prossimo futuro e condiziona le aspettative di una posizione sociale migliore per i figli, con differenze in relazione al ceto di appartenenza. Tra gli appartenenti al ceto medio, il 35% pensa che i figli potranno migliorare la posizione rispetto alla famiglia di provenienza; il 53% che la manterranno invariata; il 12% che scenderanno più in basso nella scala sociale.

Nel ceto popolare, il 37% esprime aspettative di miglioramento per i figli e il 40% pensa che potranno mantenere la stessa posizione. Ma il 23% (quasi il doppio rispetto agli appartenenti al ceto medio) ritiene che la peggioreranno rispetto alla famiglia di provenienza.

Il Paese è fermo se l’ascensore sociale è bloccato – commenta Mauro Lusetti, presidente di Legacoop- stiamo verificando sistematicamente come gli avvenimenti drammatici avvenuti negli ultimi anni, e in particolare la pandemia, non solo hanno lasciato strascichi importanti, ma hanno accelerato processi già in corso che stanno modificando le strutture portanti di questo paese.

L’aumento dei costi e dei prezzi ha imposto un eccezionale stress test al sistema Italia, evidenziando tutte le disfunzioni che lo attraversano. Le politiche di emergenza che abbiamo più volte richiesto, e che seppur in dosi omeopatiche il governo sta tentando di realizzare pur in questa fase estremamente difficile e controversa, vanno in questa direzione.

Ma non bastano: come il ceto medio che si percepisce ‘in declino’, il paese è spaventato. E la fiducia nel futuro è il nostro primo e unico ingrediente per lo sviluppo”.

Ma quali sono i motivi avvertiti alla base del peggioramento delle condizioni sociali e di vita delle persone? Lo studio rileva che ai primi due posti figurano gli stipendi bassi (indicati dal 55%, e 59% nel ceto medio-basso) e la precarizzazione del lavoro (49%), seguiti dalle tasse eccessive (42%) e dalla corruzione (42%).

Al quinto e al sesto posto, a pari merito (con il 27%) l’incapacità dei partiti di difendere le persone economicamente più fragili e l’aumento dei divari negli stipendi tra manager e lavoratori. A completare la rilevazione, è stato chiesto quali sono gli elementi che possono consentire il riscatto sociale e quali, al contrario quelli che lo affossano.

Riguardo ai primi, il 48% ha indicato la capacità di fare sacrifici; il 45% la capacità di risparmiare; il 37% il lavorare tanto; il 34% l’aver studiato; il 33% il sostegno della famiglia di origine. Rispetto ai secondi, al primo posto le tasse (42%), seguite dalla furbizia e disonestà degli altri (35%), la precarietà e la paura di rischiare (entrambe al 26%), la sfortuna (il 20%) e l’accontentarsi del poco che basta (19%).

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