Pagamenti primo semestre 2022: aziende in affanno, circa il 40% ha almeno 2 fatture insolute

Le modalità di gestione del credito delle imprese e dei commercianti sono rimaste invariate esponendosi così a rischi di insolvenza elevatissimi

La crisi ora è certificata dai numeri: fatture insolute, ritardi nei pagamenti, rischio d’impresa costante e continuo. Una ricerca del Gruppo IREC, azienda specializzata nel recupero dei crediti commerciali, evidenzia inesorabilmente la sofferenza nella quale versano le aziende italiane, rispetto ai pagamenti del primo semestre 2022.

Il problema delle fatture insolute

Il 37% degli intervistati, su un campione di 2500 imprese, dichiara di avere almeno due fatture da incassare e il 30% ha oltre quattro fatture a rischio. Un fenomeno che riguarda l’intera Penisola ma in particolare il Sud: se nel Nordest solo il 43% dei pagamenti viene onorato entro i 30 giorni, nel Sud i ritardi arrivano addirittura al 78%.

La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno colpito molti settori ma soprattutto trasporti e agroalimentari: l’82% delle aziende che operano in quest’ultimo settore segnalano cali di marginalità di quasi il 20%.

“In uno scenario di estrema incertezza e grande difficoltà delle piccole e medie imprese e dei commercianti italiani -spiega Victor Khaireddin, Presidente del Gruppo IREC l’aumento folle dell’energia ha dato il colpo di grazia.

Il governo uscente si trova a dover fronteggiare diverse problematiche che sono già, per molte imprese, motivo di chiusura. Se per alcune aziende, ormai spossate dal lungo periodo di lockdown e restrizioni, l’aumento smisurato dell’energia ha portato infatti a una inevitabile chiusura, per le altre, che ancora possono proseguire la propria attività, è assolutamente necessario adottare, da subito, tutti gli strumenti possibili per evitare di incorrere in mancati pagamenti che potrebbero anch’essi portare al fallimento, generando un circolo inarrestabile in cui ogni azienda che cessa lascia mancati pagamenti ad aziende fornitrici le quali, a loro volta, sono costrette anch’esse a chiudere. 

Se da un lato oggi l’imprenditore è tenuto a utilizzare strumenti di business information e di gestione del credito performanti, lasciando stare il ‘fai da te’, anche la classe politica italiana è chiamata ad agire immediatamente. Il 25 settembre potrebbe essere troppo tardi”.

Questo in considerazione del fatto che le modalità di gestione del credito delle imprese e dei commercianti sono rimaste invariate esponendosi così a rischi di insolvenza elevatissimi: ben il 55% degli intervistati dichiara di non avvalersi di informazioni commerciali, pur sapendo che sono uno strumento indispensabile per valutare sia i nuovi clienti sia quelli storici. Solo il 19% degli intervistati ammette di usarle con regolarità su vecchi e nuovi clienti.

Il problema delle aziende italiane

Quindi, oltre all’attuale situazione di instabilità dovuta alla pandemia, alla guerra e al clima, le imprese italiane continuano a non ritenere strategici i processi di gestione e prevenzione per combattere il fenomeno dei mancati pagamenti, mettendo a serio rischio la propria esistenza.  Eppure, oggi, sono disponibili strumenti efficaci ed efficienti per prevenire gli insoluti: la business information, ovvero l’informazione commerciale.

“La situazione è di per sé complessa -continua Victor Khaireddin- ma aziende e commercianti devono tutelarsi, utilizzando tutto ciò che è in loro potere per difendersi, affidandosi a professionisti specializzati nella ‘contrattazione’ di crediti commerciali, con l’obiettivo di rendere i pagamenti più rapidi. Ridurre il rischio, mantenendo un forte flusso di cassa, è indispensabile per le piccole imprese. Ecco perché serve un processo di recupero del credito lineare e rapido, mantenendo alti gli standard nei rapporti commerciali”

Intanto è in preparazione una analoga ricerca per fotografare la situazione nella quale versano le Partite Iva, altra categoria che, forse, sta soffrendo la crisi economica in misura anche maggiore:

Si tratta – conclude Khaireddin – di liberi professionisti, dall’architetto al commercialista, dal geometra al grafico, dai consulenti web agli avvocati. Quella media-alta borghesia che, se non incassa, va inevitabilmente in difficoltà e crea un danno a tutto il tessuto economico del nostro Paese. Dai primi dati che stiamo analizzando emergono importanti ritardi nei pagamenti delle fatture con un incremento percentuale che riguarda gli ultimi sei mesi. L’ipotesi è che le partite Iva, già ‘piegate’ dalla pandemia, abbiano ricevuto un altro duro colpo dalla guerra in Ucraina e, di conseguenza, dall’aumento delle materie prime come il gas e l’energia. Lo Stato è chiamato a intervenire subito perché i problemi che abbiamo fotografato sono solamente l’antipasto dell’amaro conto che potremmo ‘pagare’ nei prossimi mesi”.

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