Italia nella morsa dell’inflazione, sviluppo al Sud in pericolo: le previsioni Svimez 2022

Il trauma della guerra ha cambiato il segno delle dinamiche in corso a livello globale: l'economia italiana è esposta a nuove turbolenze, allontanandosi da una ripartenza tranquilla e coesa fra Nord e Sud del Paese

Un’Italia stretta nella morsa dell’inflazione, un Paese a due velocità con il Sud Italia pronto a cadere ancora una volta nel baratro del mancato o tardivo sviluppo: dopo la congiuntura pandemica, con lo scoppio del conflitto fra Russia e Ucraina e le conseguenze economiche e congiunturali che ha portato, nel 2022 si allarga di nuovo la forbice dello sviluppo e dell’economia fra Nord e Mezzogiorno del Paese, dove i primi registrano un aumento del PIL del +3,6% e i secondi solo un +2,8%.

È quanto emerge dalle Anticipazioni del Rapporto Svimez 2022, presentate oggi alla Camera. Il rischio, serio, è quello di perdere il valore di lungo periodo di tutti gli interventi – verso le imprese, verso le famiglie, verso la Pubblica Amministrazione – fatti nel biennio precedente. E ritrovarsi, nel biennio prossimo, con un Paese nuovamente scollegato e non integrato.

Ma per capire il valore di questi numeri è necessario ampliare lo sguardo alla nazione intera.

Le stime del PIL in Italia

Secondo i dati raccolti nel Rapporto Svimez, la crescita del Pil italiano è stimata al +3,4% nel 2022. A rallentare la crescita nazionale – quasi un punto sotto le previsioni pre-shock Ucraina – è soprattutto la frenata di consumi e investimenti, in entrambi i casi con effetti di composizione sfavorevoli al Mezzogiorno tali da determinare la riapertura della forbice Nord-Sud nel ritmo di crescita (+2,8% nel Sud Italia, +3,6% nel Centro Nord) che prima del nuovo shock, ossia della guerra e dei rincari, sembrava potesse rimarginarsi.

Il dato di tendenza positivo, ad ogni modo, è che il Mezzogiorno ha recuperato nel biennio 2021-2022 i livelli di Pil pre-pandemia, secondo quanto evidenzia lo Svimez. Ma cosa è accaduto di preciso?

Dopo la congiuntura pandemica e il blocco delle attività in tutto il Bel Paese, l’Italia ha conosciuto una ripartenza pressoché uniforme tra macro-aree. Infatti, il rimbalzo del Pil 2021, guidato dal binomio di investimenti privati (in particolare nel settore delle costruzioni) ed export, si è diffuso a tutte le aree del Paese, anche se è stato più rapido nel Nord.

In questo caso, contrariamente alle passate crisi, il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza anche grazie all’intonazione insolitamente espansiva delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese. Il Pil del Mezzogiorno – calato dell’8% nel 2020 (-9% il calo a livello nazionale) – è cresciuto infatti del 5,9% nel 2021 (a fronte di una crescita nazionale del +6,6%).

Tuttavia, evidenzia lo Svimez, il trauma della guerra ha cambiato il segno delle dinamiche in corso a livello globale: rallentamento della ripresa; aumento del costo dell’energia e delle materie prime; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi di continuità economiche per le imprese; indeterminatezza delle conseguenze di medio termine dei due “cigni neri” della pandemia e della guerra, la cui comparsa a distanza così ravvicinata rappresenta di per sé un fatto del tutto inedito.

Queste dinamiche globali avverse hanno esposto l’economia italiana a nuove turbolenze, allontanandola dal sentiero di una ripartenza relativamente tranquilla e coesa tra Nord e Sud del Paese, con conseguenze di medio termine che si prospettano più problematiche per le famiglie e le imprese meridionali.

Il picco dell’inflazione nel 2022

L’Italia, inoltre, in questo periodo vive sulla propria pelle il picco dell’inflazione del 2022: dovrebbe interessare in maniera più marcata il Mezzogiorno (secondo le stime al 8,4% e al 7,8% nel Centro-Nord), dove dovrebbe essere più lento anche il rientro sui livelli pre-shock.

Questa dinamica dovrebbe determinare impatti più pronunciati sui consumi delle famiglie e sulle scelte di investimento delle imprese, anche con potenziali problemi di continuità aziendale più concreti nel Mezzogiorno.

Secondo le previsioni, nel 2022 dovrebbero frenare soprattutto i consumi delle famiglie italiane meno abbienti, sui cui bilanci incide maggiormente l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Un’asimmetria tra famiglie che si traduce meccanicamente in un’asimmetria territoriale sfavorevole al Sud, dove più di un terzo delle famiglie si posiziona nel primo quintile di spesa familiare mensile equivalente, contro il 14,4% del Centro e meno del 13% nel Nord.

Per ciò che riguarda gli investimenti, in base alle analisi di Svimez, crescono al Sud più che al Nord nel 2022: +12,2% contro il +10,1%. Al Sud però spingono la crescita soprattutto quelli nel settore delle costruzioni, grazie allo stimolo pubblico (ecobonus 110% e interventi finanziati dal PNRR); la crescita degli investimenti orientati all’ampliamento della capacità produttiva è invece inferiore di tre punti a quella del Centro-Nord (+7% contro +10%).

Come sarà il prossimo biennio?

Secondo le previsioni del rapporto Svimez, nel biennio 2023-2024 – che potrebbe prevedere un contesto già viziato dalla drastica riduzione del ritmo di crescita nazionale (+1,5% nel 2023; +1,8% nel 2024) – il Mezzogiorno fa segnare tassi di variazione del Pil inferiori al resto del Paese, nonostante il significativo contributo alla crescita del Pnrr.

Nel 2023, il Pil dovrebbe segnare un incremento dell’1,7% nelle regioni centrosettentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, si manterrebbe un divario di crescita a sfavore del Sud di circa 6 decimi di punto: +1,9% al nord contro il +1,3% del Sud.

Questo significa, come evidenzia il direttore generale di Svimez Luca Bianchi, che “vi è il serio rischio di un’inversione del ciclo, una volta esaurito l’effetto di rimbalzo del 2021 a cui ha partecipato anche il Sud”. Ma non solo.

Se dovesse “persistere la tensione politica e quindi finanziaria”, spiega Bianchi, potrebbe determinarsi “una perdita di Pil, nel biennio 2022-2023, di circa sette decimi di punto percentuale a livello nazionale. Nel Sud, la perdita di Pil arriverebbe al punto percentuale, mentre nel resto del Paese risulterebbe più contenuta arrestandosi a sei decimi di punto”.

Perché il Mezzogiorno resta così indietro?

Secondo il rapporto Svimez, l’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi.

Inoltre, spiega ancora lo Svimez, i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del Paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali.

Il presidente dello Svimez Adriano Giannola a margine della presentazione alla Camera delle Anticipazioni del Rapporto Svimez 2022, ha spiegato:

Abbiamo sempre pensato, ben prima del reddito di cittadinanza, che un intervento sulla povertà fosse di fondamentale urgenza per colmare il divario sociale. In molte parti d’Italia e non solo al Sud, la povertà è un tema drammatico. Al Mezzogiorno il problema è particolarmente sentito per via di una struttura del sistema che si è ormai ossificata in maniera insostenibile. Perché l’Ue ci dà 209 miliardi di euro? Perché l’Italia è il grande malato d’Europa, a Nord come a Sud”.

“Se io sottraggo risorse al Sud, per esempio attraverso l’autonomia differenziata, che è un modo per trattenere più soldi, vuol dire impoverire l’istruzione, la sanità, ma vuol dire anche per il Nord impoverire sé stesso, visto che il suo grande mercato è sempre stato il Sud”, continua Giannola.

O a livello nazionale si fa un ragionamento serio guardando quali sono le grandi opportunità dell’Italia e del Sud in particolare, ad esempio con i porti e le nuove forme energetiche come la geotermia, oppure ci si condanna alla povertà. Il Mediterraneo è il centro del mondo, eppure noi siamo ancora ospiti”.

Luca Bianchi, direttore generale dello Svimez, ha rilevato che

“Le anticipazioni del Rapporto Svimez fotografano un Sud che da un lato ha partecipato alla ripresa economica del 2021 e 2022 in maniera significativa, e questo è un fatto nuovo. Quello che a noi preoccupa invece è il futuro, e la fine del 2022 e il 2023 in particolare, per il nuovo quadro congiunturale. I dati del rapporto evidenziano come il picco dell’inflazione si faccia sentire soprattutto nel Mezzogiorno. Questo impatta in particolare sulle famiglie a basso reddito, più diffuse al Sud, anche perché l’inflazione si fa sentire soprattutto sui beni di prima necessità e sui consumi energetici”.

“Ciò implicherà una riduzione della crescita”, aggiunge Bianchi. “Infatti noi per il 2023 e il 2024 prevediamo una riapertura del divario tra Nord e Sud”.

E il PNRR? Sul tema, Bianchi afferma che “si conferma un elemento decisivo per la ripresa degli investimenti al Sud. Noi in particolare nelle Anticipazioni ci soffermiamo su un aspetto fondamentale del Pnrr che sono le infrastrutture sociali, e in particolare la scuola. I dati che noi presentiamo evidenziano un forte divario, considerando per esempio che oltre il 60% degli alunni del Sud non ha né la mensa né la palestra, e che il tempo pieno è molto minore nel Mezzogiorno. Tutto questo si traduce in minore acquisizione di competenze e quindi minore sviluppo. Bisognerebbe concentrarsi soprattutto sul riallineamento dell’offerta di servizi essenziali”.

Scuola e istruzione al Sud: come siamo messi?

Nel Sud Italia circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200 mila (87%), in Sicilia 184mila (88%), in Puglia 100mila (65%), in Calabria 60mila (80%). Nel Centro-Nord gli studenti senza mensa sono 700mila, il 46% del totale. Proprio per questo Bianchi sottolinea come sia necessario “utilizzare il Pnrr per colmare il divario di infrastrutture sociali a partire dall’istruzione”.

Inoltre, circa 550mila alunni delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Solo la Puglia presenta una buona dotazione di palestre mentre registrano un netto ritardo la Campania (170mila allievi senza, 73% del totale), la Sicilia (81%), la Calabria (83%). Nel Centro-Nord gli studenti senza palestra raggiungono il 54%. Il 57% degli alunni meridionali della scuola secondaria di secondo grado non ha accesso a una palestra; la stessa percentuale che si registra nella scuola secondaria di primo grado.

Sul tema, si è prontamente espressa il Ministro al Sud Mara Carfagna:

“Le anticipazioni del rapporto Svimez pubblicate oggi confermano che il rischio di una mancata attuazione del Pnrr è altissimo soprattutto al Sud, dove alle conseguenze della crisi nazionale si aggiungono le difficoltà storiche degli enti locali. Sarebbe davvero una beffa se, dopo aver ottenuto il 40 per cento delle opere previste dal Piano, lavorato per 18 mesi alla loro ripartizione, ai bandi, al controllo del rispetto della quota, questo enorme sforzo di ricucitura e ripresa andasse disperso per l’irresponsabile crisi aperta da M5S, Lega e purtroppo anche da Fi”.

“Fanno impressione soprattutto i dati sulla scuola – prosegue – dove tempo pieno e palestre restano un lusso per pochissimi mentre nel resto d’Italia sono un preciso diritto. Con il governo Draghi avevamo assicurato al sistema scolastico del Sud oltre due miliardi e mezzo per recuperare questo intollerabile divario e utilizzare bene l’occasione irripetibile del Pnrr: intendo battermi perché non un euro sia disperso o sprecato, e anche per questo spero nel successo di Azione. Più peso avremo in Parlamento, meglio si potrà riprendere la strada interrotta“, conclude Carfagna.

Si spera, quindi, che non serva un miracolo per tutelare il Paese nella sua interezza e riprendere uno sviluppo sociale ed economico condiviso.

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