Si chiama retrospettiva rosea ed è un funzionamento (fallace, stando alla descrizione) della nostra mente più comune di quello che pensiamo. Non lo sappiamo, ma spesso e volentieri ci abbiamo a che fare mentre siamo su Facebook e sugli altri social network dove ricondividere è semplice, a portata di pochi tap o click. Al pari del bias di conferma, influenza (negativamente?) la nostra esperienza digitale e proviamo a spiegarvi perché.
Nostalgia, nostalgia canaglia
Quante pagine sui nostri social recitano frasi del tipo “Ma che ne sanno i giovani d’oggi”? Quante condividano la beltà di tempi ormai passati? Quanti giocano sul filo della nostalgia?
Fin tanto che la nostalgia porta alla mente dei ricordi di gioventù condivisi, del resto, ben venga. Il problema inizia a nascere quando la realtà di un tempo diventa agli occhi dell’utente, anche immotivatamente, migliore rispetto al presente.
Sotto ad un post con un vecchio alimentari, infatti, può capitare di imbattersi in commenti di questo tipo.
“Ma che ne sanno gli adolescenti di oggi”
Durante il periodo estivo, spesso ci capita di leggere ad esempio lunghi post che esaltano quanto era bello andare in vacanza come una volta. Case di villeggiatura affittate due o tre mesi, lunghe file di auto roventi bloccate nel traffico chilometrico di caselli non automatizzati emettere tonnellate di CO2, famiglie di stampo patriarcale che interpretavano la trasferta con il capofamiglia a fare la spola tra città e luogo di mare e la donna a fare esattamente le stesse cose che faceva in città, i Mondiali visti su scomode televisioni minuscole a tubo catodico alla come veniva, le radioline e i juke box con la (brutta) musica leggera italiana degli anni ’70, ’80 e ’90.
Un inferno da boom economico con tanto di gender gap e problemi di sostenibilità ambientale, un modello insostenibile che a distanza di anni sappiamo non aver creato grande ritorno per i luoghi presi d’assalto (si veda il Cilento, le località di mare calabresi etc.etc.). Eppure, nei ricordi di qualche internauta, e nemmeno troppo isolato, la storia diventa la seguente.
“La vita era quella vera”. Ed è qui che subentra la retrospettiva rosea: il mix tra nostalgia, bei ricordi del passato e un’altra lunga serie di meccanismi cognitivi fanno sì che il passato ci sembri a prescindere migliore del presente.
La retrospettiva rosea e la realtà sovvertita
Esattamente come il bias di conferma, il meccanismo che ci vuole attratti dalle fonti di informazione che possono confermare il nostro pregiudizio anziché metterlo in discussione, anche la retrospettiva rosea (definita in psicologia anche come declinismo, o rosy retrospection in inglese) è da considerarsi un errore cognitivo a tutti gli effetti. Tornare indietro con la mente a bei ricordi è normale, la nostalgia è utile. E anche minimizzare le difficoltà del passato è un fenomeno noto, un fenomeno utile alla sopravvivenza: rendere “piccole” e affievolire le emozioni negative a favore di quelle “positive” trascorse rende più facile portare avanti il nostro bagaglio di vita.
Pro e contro della retrospettiva rosea
Per l’individuo all’interno del meccanismo citato, la retrospettiva rosea può essere benefica. Così la pensavano Terence Mitchell e Leigh Thompson, ad esempio, tra i primi a teorizzare gli “aggiustamenti” temporali della valutazione degli eventi, uno dei più citati studi in tema.
Altra linea di pensiero invece vuole che la retrospettiva rosea porti a una negazione della realtà o meglio ne sia un evidente sintomo. In tal caso, il presente che non ci sta (mai) bene è un campanello d’allarme serio e il confronto in cui esce sempre sconfitto col passato ne è uno degli indicatori più evidenti.
La retrospettiva rosea sui social
“Fuori” dal meccanismo, però, è importante ricordare che la retrospettiva rosea di fatto è una buona leva in fatto di marketing e specialmente neuromarketing. Nel loro piccolo, consci o meno, gli autori delle varie “operazioni nostalgia” sui social network ad esempio fanno leva su questi meccanismi cognitivi. Ed è utile saperlo anche per i non appartenenti a tali generazioni (ogni generazione fino ai millennial ha indistintamente la sua zona di retrospettiva rosea – che non è quindi un fenomeno digitale a solo appannaggio dei cosiddetti boomer) sapere che non è vero che prima tutto era migliore.
Questo storytelling, che spesso invade le nostre bolle digitali, è semplicemente un meccanismo psicologico ormai noto. Fissare questo concetto può aiutarci a districarci meglio in alcune interazioni social.