La digitalizzazione delle PMI in Italia potrebbe portare 10,2 miliardi di euro di contributo al PIL e 208 mila nuovi posti di lavoro. E’ quanto emerge dallo studio ‘Il contributo dei social network e dei canali digital per la crescita e la digitalizzazione delle Pmi italiane’, realizzato per Meta da The European House – Ambrosetti e presentato oggi a Roma nel corso di un evento a Binario F.
L’Italia, si rileva nello studio, deve aumentare il proprio livello di digitalizzazione e questo processo può avvenire solo attraverso la crescita digitale delle piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale del tessuto produttivo del nostro Paese.
La situazione italiana sulla digitalizzazione
L’Italia, infatti, sconta un forte ritardo sul digitale rispetto ai Paesi Ue, attestandosi al 20° posto dell’Indice Desi stilato dalla Commissione Europea per misurare il livello di digitalizzazione dei 27 Stati membri. Il Belpaese, nello specifico, è ultimo in Europa per numero di laureati in ambito Ict (circa 4mila all’anno, pari all’1,3% del totale).
Un gap che potrebbe essere colmato se le oltre 375 mila PMI italiane, che costituiscono un volano di crescita per il nostro Paese, accelerassero il loro processo di digitalizzazione. Le piccole e medie imprese, infatti, da sole generano 2.834 miliardi di euro di fatturato, pari al 42% di quello totale registrato dalle imprese italiane, contribuiscono al 41% del PIL del nostro Paese, a oltre un terzo (35%) degli investimenti e a quasi la metà (48%) dell’export totale.
Sebbene la pandemia di Covid-19 abbia contribuito a migliorare l’utilizzo di soluzioni collaborative digitali (+14,5%) e la comunicazione con la clientela (+12,7%), il livello di digitalizzazione delle piccole e medie imprese italiane è ancora basso e purtroppo in linea con quelli dell’intero Paese secondo l’Indice Desi.
Il Digital Index PMI
Secondo, infatti, il Digital Index Pmi, elaborato per l’occasione da The European House – Ambrosetti indagando alcune aree come l’accesso alla rete, la digitalizzazione del business, l’interazione digitale con i clienti e le competenze Ict, le pmi tricolori sono solo al 18° posto in Europa per livello di digitalizzazione.
Uno degli ambiti principali in cui si riscontra un ritardo è indubbiamente quello delle competenze digitali, che vede le pmi italiane piazzarsi al 21° posto in Ue, con i livelli più bassi (12%) di specialisti Ict nei propri organici rispetto alla media europea (18%) e all’Irlanda, a cui va la corona di best performer (29%). Un divario reso ancora più evidente dal fatto che solo il 15% delle PMI tricolori è in grado di fornire formazione digitale ai propri dipendenti (rispetto al 18% della media Ue).
Anche in termini di dimensione dell’interazione digitale con i clienti – rilevata attraverso la presenza di un sito web, dell’ecommerce e dell’utilizzo dei social network – le nostre pmi si mantengono al 18° posto in Ue, con 3 punti percentuali al di sotto della media europea. Il nostro Paese si attesta nelle ultime posizioni della classifica (23° posto) anche per dimensione delle infrastrutture di rete.
Gli ambiti in cui le PMI italiane ottengono, invece, risultati migliori rispetto alla media europea, sono la digitalizzazione del business – espressa soprattutto dalla fatturazione elettronica – e l’adozione di tecnologie digitali legate all’utilizzo del cloud, che vedono il nostro Paese al 7° posto nel ranking UE. Sempre secondo il Digital Index Pmi, le Pmi italiane sono all’8° posto per accelerazione della digitalizzazione registrata negli ultimi 5 anni. Lo studio ha anche identificato una forte correlazione tra la posizione che i Paesi occupano nel Digital Index Pmi e la produttività del lavoro nelle piccole e medie imprese.
L’Italia ha attualmente un punteggio di 51 (su una scala da 0=min a 100=max) nel Digital Index Pmi. Se raggiungesse il punteggio di 80, attestandosi ai livelli dei 3 Paesi Best performer (Danimarca, Finlandia e Svezia), potrebbe aumentare la produttività del lavoro nelle Pmi fino al 9,2%, generando fino a 24,8 miliardi di euro aggiuntivi di contributo al pil, che corrispondono al 7,9% del pil attualmente generato dalle Pmi italiane.
“Oggi siamo a un punto di svolta tecnologico. L’accelerazione digitale, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, ha dimostrato alle aziende di tutte le dimensioni che si sono aperte nuove strade e nuove opportunità di crescita e che è necessario continuare a innovare per rimanere rilevanti e competitive. Una volta pensavamo che l’economia tradizionale e l’economia digitale fossero entità separate. Ora sono indivisibili. Gli strumenti digitali sono al centro delle attività di ogni settore e organizzazione e non sono mai stati così importanti come in questo momento”, sottolinea Luca Colombo, Country Director di Meta in Italia.
“Lo studio realizzato da The European House – Ambrosetti dimostra, infatti, che il digitale può contribuire a far crescere in modo significativo l’occupazione, anche in quegli ambiti in cui il nostro Paese è ancora fanalino di coda in Europa. Basti pensare che ben 75 mila delle 208 mila potenziali nuove posizioni lavorative nelle pmi, sarebbero legate allo sviluppo software, al web marketing e al community management”, aggiunge.
“L’emergenza Covid-19 – sottolinea Valerio De Molli, Managing Partner e ad di The European House – Ambrosetti – ha reso evidente la necessità di migliorare il livello di digitalizzazione del Paese. Nonostante le Pmi italiane abbiano potenziato la collaborazione digitale nel 14,5% dei casi e la comunicazione con la clientela nel 12,7% dei casi, l’indicatore di sintesi denominato Digital Index Pmi (costruito sulla base di 15 Key Performance Indicator comuni a tutti i Paesi della Ue27 e con un punteggio da 0 a 100) che abbiamo realizzato ad hoc per Meta, posiziona le Pmi italiane al 18° posto in Europa per livello complessivo di digitalizzazione. Particolarmente critici sono i ritardi nell’ambito delle infrastrutture di rete (23° posto) e delle competenze digitali nelle imprese (21° posto). È quindi più che mai urgente intervenire per consentire il pieno dispiegamento del potenziale di crescita per il sistema Paese. Abbiamo infatti dimostrato che la crescita nell’uso dei social network potrebbe produrre fino a 10,2 miliardi di euro aggiuntivi di contributo al pil”, sottolinea.