La notizia la pubblica il Corriere della Sera, e il titolo già tradisce quello che a mio parere è il problema di fondo: “Ristorazione, manca personale. Al via il progetto pilota: 100 studenti siciliani ‘assunti’ in Trentino“. Il progetto è – in sintesi – “un’intesa tra l’organismo datoriale FederTerziario, che si occupa di rappresentanza e formazione sui territori, e Hgv, associazione di aziende e realtà che operano nel turismo in Trentino Alto Adige“.
Sintetizzando, quindi, mancano i lavoratori in Trentino. Mancano, per la precisione, cuochi, camerieri e baristi. Quindi, si va a pescare in Sicilia, profondo sud Italia, per sopperire con gli studenti, con quelli dei corsi OIF per intenderci. Personale tra i 15 e i 18 anni che andrà a sopperire alla carenza di figure professionali quando i percorsi sarebbero formativi. Lo faranno per 800 euro al mese con vitto e alloggio pagato perché in realtà è uno “stage” formativo. Le spese di trasferta invece se le caricherebbe la Sicilia.
È evidente, anche ai meno attenti, che c’è un problema, un vizio di fondo che pregiudica già il senso dell’iniziativa. Ed è quel: manca il personale, prendiamo gli stagisti. Perché in – estrema sintesi – per risolvere il problema del personale qualificato si mettono in stage cento studenti in un progetto pilota che, per stessa ammissione del presidente di FederTerziario, Nicola Patrizi, serve a evitare “qualche mese a contratto per poi chiedere la disoccupazione”. “Creando relazioni stabili con strutture alberghiere serie e selezionate intendiamo rompere anche questo schema e dare opportunità di lavoro concrete e rispettose dei CCNL”.
Ed è qui che ravvediamo il secondo (a nostro parere) controsenso. Le opportunità concrete? Sono rimesse alle aziende, le stesse aziende che non trovano personale. Quali? Ce lo dice sempre Nicola Patrizi: “Le aziende potranno poi decidere di offrire ai ragazzi una tipologia di contratto superiore come l’apprendistato professionalizzante o altri tipi di contratto a tempo determinato una volta terminato il tirocinio”.
Quindi, in conclusione: mascherando il tutto da stage formativo, percorso ossia da intendersi di formazione e affiancamento, si importa manodopera a basso costo dal sud che non si riesce a trovare al nord, il tutto per fare la fortuna (o la salvezza) di imprenditori e ristoratori settentrionali, con rimborsi risibili rispetto al sostenere i costi di assunzione di un dipendente a tempo pieno; in tutto ciò, la prospettiva per questi ragazzi una volta terminato il percorso (e le sue tutele tra cui vitto, alloggio e treni pagati) è di contratti a tempo determinato o altri apprendistati, altra formazione in un loop di formazione infinita. Il tutto mentre a mancare sarebbero i lavoratori reali, quelli normali.
Quello di sostituire la forza lavoro con la forza stagista è una delle pratiche più odiose dell’universo lavorativo italiano. Soprattutto se è palese (in questo caso addirittura nero su bianco) che più che formare nuovi talenti si deve sopperire alla mancanza dei vecchi talenti. Inoltre si sacrifica, sull’altare dell’apprendere competenze, la giusta retribuzione dell’aspirante lavoratore sostituendolo con chi, per stessa definizione, non ha competenze, e lo si fa privando di fatto dei diritti sia gli aspiranti lavoratori che gli stagisti.
Ma qui si va oltre: si istituzionalizza la bad practices. In un Paese in cui il dibattito sull’Alternanza Scuola – Lavoro dovrebbe aver quanto meno instillato il seme del dubbio sulla reale valenza di tali misure, questa operazione trova l’applauso e la fierezza di coloro che l’hanno organizzata, quando almeno – ai tempi della Mirafiori – la migrazione interna almeno non veniva spacciata come iniziativa di successo.