Come guariscono le ferite nello Spazio? Parte l’esperimento dell’Università di Firenze

“Nelle future missioni spaziali interplanetarie, eventuali traumi, ferite, ustioni, emergenze chirurgiche dovranno essere gestiti a bordo di veicoli o basi spaziali, perché i tempi di evacuazione medica verso Terra sarebbero troppo lunghi”.

Ma come si curano le ferite mentre si è in orbita? Lo studio dello Spazio cosmico travalica nuove frontiere e nuovi confini, anche sulla conoscenza dell’uomo e della sua salute. Per questo motivo l’Università di Firenze è pronta a lanciare il prossimo 7 giugno, dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral in Florida, il progetto “Suture in Space” che si propone di studiare la guarigione delle ferite nello Spazio.

La guarigione delle ferite nello Spazio, gli scenari

L’esperimento che studierà la guarigione delle ferite nello Spazio coinvolgerà anche Samantha Cristoforetti: i modelli di tessuti umani saranno inseriti in un contenitore appositamente sviluppato e trasferiti con SpX-25 (Cargo Dragon 2) sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss), dove verranno monitorati nell’ambito della missione Minerva a cui partecipa l’astronauta italiana dell’Agenzia Spaziale Europea. E, alla fine dell’esperimento, i campioni torneranno a Terra per essere ulteriormente analizzati dai ricercatori.

“Suture in Space” è il frutto di un progetto di ricerca durato sette anni diretto da Monica Monici (del laboratorio congiunto ASAcampus, Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche, Università di Firenze), selezionato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) nella call Esa-ILSRA2014 e supportato dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi, C-Asi N.2018-14 U.0- Suture in Space).

La possibilità di garantire, in ambiente spaziale, cure mediche adeguate e vicine agli standard terrestri è una sfida che richiede studi approfonditi – spiega Monica Monici -. L’esperimento ha tenuto conto di una molteplicità di fattori e variabili: le condizioni estreme, come la microgravità e le radiazioni, la durata delle missioni, il numero di attività ad alto rischio ad esse associate, la risposta dell’organismo umano a lunghi periodi di permanenza nello spazio”.

Nelle future missioni spaziali interplanetarie, eventuali traumi, ferite, ustioni, emergenze chirurgiche dovranno essere gestiti a bordo di veicoli o basi spaziali, perché – prosegue Monici – i tempi di evacuazione medica verso Terra sarebbero troppo lunghi”.

Presso i laboratori del Kennedy Space Center saranno prodotte ferite e suture sui campioni di cute. Sulla Stazione Spaziale Internazionale i modelli saranno inseriti in un incubatore alla temperatura di trentadue gradi. Metà dei campioni sarà tolta dall’incubatore e congelata a meno ottanta gradi dopo 4 giorni. L’altra metà verrà congelata dopo 9 giorni. Questo permetterà di studiare fasi diverse del processo di guarigione della ferita in condizioni di microgravità.

I modelli rientreranno alla base a fine luglio. Una volta a Terra, l’esperimento sarà svolto in condizioni identiche a quello in volo, tranne la microgravità. Dal confronto tra i campioni si capiranno gli effetti della microgravità sul processo di guarigione delle ferite. Le attività post-volo richiederanno circa un anno. Ma non finisce qui.

I risvolti della ricerca

“Suture in Space” presenta risvolti scientifici che investono anche altri aspetti dell’attività di ricerca. Durante la preparazione dell’esperimento è stata sviluppata una tecnica di coltura di tessuti biologici che permette la loro sopravvivenza per alcune settimane e potrebbe avere varie applicazioni in ambito biomedico.

“Per esempio – aggiunge Monici – alcuni test preliminari sulla tossicità dei farmaci potrebbero sfruttare queste colture di tessuto invece dei modelli animali”.

Inoltre, lo studio del processo di guarigione delle ferite nello Spazio potrebbe aiutare a chiarire problemi scientifici non ancora risolti. “Nonostante numerosi e approfonditi studi, non sappiamo come e perché i mammiferi adulti abbiano perso la capacità di rigenerare i tessuti nativi senza riportare cicatrici – afferma Monici – studiare modelli di ferite in condizioni di assenza di gravità, e quindi con stimoli meccanici estremamente ridotti , potrebbe fornire nuove indicazioni sul tema alla comunità scientifica”.

All’esperimento partecipano i Dipartimenti di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche “Mario serio” e di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze. Hanno collaborato l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, le Università di Milano, del Molise, di Siena, di Aarhus (Danimarca), di Amsterdam (Olanda) e Lucerna (Svizzera). L’hardware che consente lo svolgimento dell’esperimento sulla Iss è stato sviluppato da Kayser Italia (Livorno) e OHB (Brema, Germania).

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