Elon Musk e Twitter tra annunci, marce indietro e crolli in borsa

In questi giorni Musk, forse anche per reagire ai crolli della borsa che non rispecchiano più in alcun modo il prezzo che andrebbe a sborsare per Twitter, ha lanciato l’allarme sulla percentuale di profili fake su Twitter. Eppure, nessuno crederà mai che Musk non fosse a conoscenza prima di ciò a cui andava incontro.

Elon Musk, ad inizio aprile scorso, aveva annunciato con un cinguettio la sua volontà di acquistare Twitter. Il social network delle élite, quello utilizzato dai giornalisti, dai potenti, da coloro che influenzano davvero l’opinione pubblica globale.

Parliamo della stessa piattaforma che ha bannato per sempre il presidente Donald Trump, dopo la sua “chiamata alle armi” per la manifestazione di Capitol Hill che ha visto i seguaci di Qanon occupare le stanze del congresso americano dopo l’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca.

Con quell’annuncio Musk, l’uomo con il patrimonio netto più grande del mondo che nella sua carriera da imprenditore ha dato vita ad aziende visionarie dalla Tesla alla Space X, ha lanciato la sua offerta per acquistare Twitter, a 52,4 dollari ad azione.

Il crollo delle piattaforme

Da quel momento il mercato delle piattaforme è impazzito. I titoli delle compagnie tecnologiche, già in crisi da inizio anno, sono crollati a partire da Meta, la società del creatore di Facebook Mark Zuckerberg, che è passata da una quotazione di 323 dollari per azione a febbraio ai 198 dollari di oggi.

Le parole di Musk nei giorni e nelle settimane dopo l’annuncio hanno fatto ancora più rumore con ripercussioni che non si sono limitate ai mercati finanziari. L’annuncio del Ceo di Tesla di voler riammettere l’ex presidente americano Donald Trump su Twitter ha, infatti, fatto imbestialire gli utenti anti-Trump della piattaforma, che hanno chiuso i loro profili e che non sono stati sostituiti, numericamente, da nuovi utenti trumpiani.

Il dilemma cinese della Tesla

Come se non bastasse, nello stesso giorno in cui è stato annunciato il raggiungimento dell’accordo con il board di Twitter che avrebbe visto Musk pagare una cifra pari a 44 miliardi per aggiudicarsi la piattaforma, il titolo di Tesla ha fatto registrare 126 miliardi di dollari di perdita.

Cosa c’entra il social network dell’uccellino con le auto elettriche di lusso di Musk? C’entra eccome, visto che la Cina è il primo produttore di batterie al mondo. In più, Tesla produce oltre la metà dei suoi veicoli in Cina.

Il gigante asiatico non ha affatto un buon rapporto con Twitter e ancor meno con la libertà di parola. Nel 2019 Pechino interruppe tutti i rapporti con il social network e lo proibì per evitare la possibilità della diffusione di messaggi esterni.

A lanciare, tutt’altro che ingenuamente, il sasso nello stagno cinese è stato il secondo uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos. Con un tweet il fondatore di Amazon ha messo in relazione l’acquisto della piattaforma da parte di Musk con la possibilità del «governo cinese di guadagnare influenza».

D’altronde, come potrebbe il Elon Musk da proprietario di Twitter imporsi con il governo Cinese che sarebbe lo stesso che decide il futuro della sua Tesla? Come si potrebbe coniugare la tanto annunciata «totale libertà di parola» con le mire censorie di Pechino? Quelle che per molti osservatori erano solo beghe e frecciatine tra miliardari sembrano invece esser costate miliardi di dollari che sono stati bruciati sui mercati finanziari in poche ore.

La questione dei profili fake su Twitter

L’accordo per l’acquisto di Twitter prevede che se Musk dovesse fare marcia indietro dovrebbe pagare una penale di un miliardo di dollari, una clausola «break up fee» che serve a salvaguardare l’intesa raggiunta.

Ma il valore di Twitter, come di ogni altra piattaforma, risiede esclusivamente negli utenti, nel numero di profili attivi e quindi reali, che sul social interagiscono, lasciano dati, esprimo preferenze e gusti, che permettono all’algoritmo di classificare, gestire e profilare. In questi giorni Musk, forse anche per reagire ai crolli della borsa che non rispecchiano più in alcun modo il prezzo che andrebbe a sborsare per Twitter, ha lanciato l’allarme sulla percentuale di profili fake su Twitter.

Musk ha parlato, infatti, di profili fake che superano il 20% del totale degli utenti e ha sfidato, sempre con un tweet, il Ceo della compagnia dell’uccellino a dimostrare che fossero meno del 5% come scritto nei documenti consegnati sui quali si è stretto l’accordo.

Eppure, nessuno crederà mai che Musk non fosse a conoscenza prima di ciò a cui andava incontro. Nessuno può davvero immaginare che si possano fare investimenti di queste dimensioni prima fare una due diligence sulle condizioni reali della società che si va ad acquistare. Anche il report della Reuters citato da Musk, che parla del problema dei profili fake su Twitter, è vecchio di anni. E come se non bastasse la problematica degli utenti finti è citata più volte nei documenti ufficiali dell’azienda.

Oggi le azioni di Twitter valgono appena 40 dollari l’una, una perdita netta rispetto ai 52 di fine aprile quando Musk ha fatto la sua offerta. In questo crollo, nel prezzo spropositato che ora il magnate canadese dovrebbe andare a pagare per un’azienda da rimettere in piedi da cima a fondo, nel pericolo che questa volta il suo fiuto per gli affari visionari lo abbia tradito e nel rischio che la caduta di Twitter trascini a fondo anche gli altri gioielli di casa Musk, risiedono i tanti tira e molla di queste settimane.

Certo le parole di Donald Trump sul suo social network, The Truth, oggi appaino profetiche. «Musk – aveva scritto l’ex presidente USA – non comprerà mai Twitter a un prezzo così ridicolo, se non fosse per la penale da un miliardo che dovrebbe pagare in caso di rinuncia, avrebbe già fatto marcia indietro».

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