Nelle scorse settimane, è stato presentato in occasione degli Stati Europei del turismo Lgbtq+, organizzati a Milano da Aitgl (Ente Italiano Turismo Lgbtq+) sotto l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo, Federturismo Confindustria, Comune di Milano e Iglta, la prima bozza del Manifesto Europeo del Turismo Lgbtq+. Una proposta che sarà consegnata ai singoli Enti del Turismo internazionale presenti, già inviata a tutti singoli Stati dell’Unione e alla Commissione Turismo del Parlamento europeo.
Abbiamo voluto approfondire la situazione con Carlo Cremona, Presidente i Ken – componente del tavolo di lavoro LGBT presso UNAR, in merito a questa proposta e allo stato attuale del processo di inclusione per le persone LGBTQ+.
Nella bozza condivisa, per gli Stati Generali si ritiene “necessario pensare il Turismo Inclusivo come accesso alle esperienze di vita, ovvero andare oltre il concetto dello ‘standard’ valorizzando invece la centralità̀ della persona/viaggiatore con bisogni specifici”. Quando la tutela e la formazione possono essere realmente motivo di inclusione?
“Quando si parla di inclusione non si può prescindere dalla formazione, perché ovviamente i principi dell’inclusione sono quelli che sono nei concetti di management, ossia indirizzarsi verso una formazione continua nel rispetto ai bisogni delle persone e soprattutto, in questo caso, dei viaggiatori e dei turisti che possono, essere una risorsa economica, non solo per l’impresa, ma anche per il territorio. Ad esempio, nel momento in cui una struttura immagina l’animazione, gli operatori della struttura devono essere pronti a parlare ai bambini senza costruire degli stereotipi familiari, di tipo eterosessuale, perché potrebbero offendere i bambini, le famiglie omosessuali presenti, o in qualsivoglia struttura dove la formazione è alla base del benessere. Ricordiamo che turismo molte volte significa svago, felicità e quindi creare un ambiente idoneo al divertimento”.
La formazione professionale e l’impegno nelle aziende: a che punto siamo?
“Per quanto riguarda la formazione professionale, non credo che esistano ad oggi corsi o richieste da parte di enti pubblici e privati ad una formazione specifica. Vanno inseriti tutti i termini dell’inclusione, perché credo che le risposte in Italia già ci siano e provengono anche dalle politiche dell’inclusione di altre realtà, bisognerebbe semplicemente estendere ciò che si è fatto concretamente a tutti e ad altri settori”.
Quali possono essere gli incentivi e gli spunti per un concreto cambiamento?
“Creare un sistema di certificazione della qualità dei servizi erogati, un po’ come sul modello di “bandiera blu” per le spiagge, potrebbe essere uno strumento. Infatti, “la bandiera blu” non indica soltanto la qualità dell’inquinamento delle acque, ma anche della qualità dei servizi e l’accessibilità alla risorsa mare. Noi, ad esempio, abbiamo registrato il marchio “Napoli Gay Friendly” che può essere uno degli strumenti per la certificazione, una volta chiamati dalle imprese avremmo la facoltà di formare tecniche e politiche e management inerenti l’inclusione e il monitoraggio della non discriminazione”.
Da anni in prima linea per la libertà e la difesa dei diritti: bilancio e prospettive.
“Il bilancio è che l’Italia è un Paese molto più avanzato di quello che si vuole comunicare. Ovvio, esiste ancora tanta omofobia e transfobia nel nostro Paese, ma che riguarda tutti. Bisogna affermare con forza che l’omofobia e la transfobia sono delle discriminazioni verso le persone, non perché fanno qualcosa di male, ma perché quelle persone sono fatte in quel modo. La discriminazione è particolarmente odiosa e rispetto a questo andrebbe costruito un meccanismo di tutela particolarmente incisivo e forte. Purtroppo il peso sociale della discriminazione è talmente avvilente che chi subisce una discriminazione si deprime, entra in una condizione di ansia e non riesce a reagire, e quando lo fa, non avviene in tempo. Guardando il fenomeno della violenza sessuale, dello stupro, molte donne ci impiegano molti anni prima di accettare di denunciare la violenza subita, perché il processo che determina la consapevolezza e quindi la reazione alla violenza, una discriminazione o maltrattamento non è immediato. Non è una cosa che succede perché è meritata, ma succede ed è un reato ed è un’ingiustizia a cui bisogna opporsi senza riserve”.
Come si colloca Napoli in questa fase?
“Per quanto riguarda il Comune di Napoli, abbiamo chiesto al sindaco Manfredi, cosa che non si è ancora realizzata, la creazione di un ufficio “Rainbow” e che il Comune di Napoli inserisca tutti i principi della totale dell’inclusione nelle gare e nei servizi. Un altro tema fondamentale è la costituzione del tavolo di consultazione LGBT che ancora manca, dopo tanti giorni dall’inserimento del consiglio comunale della giunta eletta. Chiunque abbia pensato nel passato che la piena inclusione nella città si sia realizzata e si realizzasse soltanto con la parata del Pride, ha realizzato il fallimento di questa impostazione, di questa politica. Napoli, come dice un nostro volontario di “iKen “ canadese, è una città che ha moltissime potenzialità, ma che è veramente una città ferma a molti anni fa.
Napoli è una città che propone l’inclusione ma è una città che esclude chiunque. Esclude le mamme con i passeggini, i disabili in carrozzina, esclude le persone non avendo un sistema di trasporti efficace e puntuale, senza una mobilità veloce. Quando si parla di inclusione non si deve parlare soltanto di alcune categorie, quando si parla di discriminazione non si può parlare di alcune categorie. Napoli ha fatto sì un cambio di rotta, ma continua a mostrare i suoi limiti. Limiti che sono quelli della realizzazione di infrastrutture in troppi decenni che rappresentano opportunità perse per diverse generazioni. La soluzione potrebbe essere un piano industriale del Mezzogiorno, un’opportunità, un nuovo futuro e per un nuovo sviluppo attraverso l’impiego di utilizzo della grande risorsa del territorio.
Chiunque abbia ancora la forza e le capacità di dare alla nostra società qualcosa di buono deve concorrere alla ricchezza del nostro territorio, indipendentemente da sesso, razza, religione, orientamento, identità o qualsiasi condizione personale, ma solo osservare la propria abilità, formazione, attitudine al lavoro. Inoltre, un investimento reale nelle possibilità delle iniziative delle persone, attraverso un sistema di credito capace di essere a sostegno delle buone idee del successo. Questo senza dimenticare la costante lotta, il continuo contrasto e isolamento della criminalità organizzata. In questo noi siamo portatori di innovazione, siamo uno stimolo al fare bene e al fare meglio. Noi di “i Ken” siamo in prima linea”.