“Football is not just a game“, direbbe qualcuno. Questo perché quello sportivo è un mercato molto esteso, che supera i confini di ogni singolo campionato e di ogni singola disciplina, che coinvolge, attraverso vari settori e diverse tipologie di esperienze i tifosi che si trasformano sempre più in profili di consumo.
Il calcio, in particolare, è una realtà che, per le nuove tendenze economiche, rappresenta un terreno inesplorato che può garantire nuove occasioni ma anche nuovi pericoli: il futuro dell’industria del calcio è in bilico tra gioco d’azzardo e nuove frontiere, perché le nuove tecnologie stanno modificando le abitudini di spesa di ogni consumatore e anche i tifosi di uno degli sport più popolari e antichi d’Europa stanno cambiando in maniera sostanziale e repentina il loro modo di vivere il football.
Football e nuove tecnologie
In un approfondito report pubblicato nel settembre del 2020 dalla ECA (European Club Association) dal titolo «Fan of the future», si è provato a stilare, per la prima volta, un identikit di coloro che saranno i tifosi, e dunque i consumatori, del futuro. In questo studio, che essendo commissionato dall’associazione dei grandi club europei ha preso le forme di una vera e propria indagine di mercato, è stato analizzato il comportamento e il rapporto che un campione di tifosi ha con il consumo di calcio.
Quello che ne è venuto fuori è che il modo di tifare e vivere il football per le nuove generazioni, i giovani tra i 16 e i 24 anni, sono totalmente diversi e lo sono da un punto di vista di spesa economica ma anche di processo sociologico, di coinvolgimento e addirittura geografico.
Il successo degli highlights, 90 minuti sono troppi
I tifosi del futuro sono abituati ad una fruizione rapida e istantanea dei contenuti, qualunque essi siano. 90 minuti di partita da guardare, con solo un intervallo, sono dunque un tempo infinito. E infatti sono gli highlights, il riassunto per immagini del match fatto in pochi minuti con le azioni più spettacolari, ad essere il vero prodotto che i giovani hanno voglia e riescono a consumare.
Sono immediati, facilmente condivisibili, non hanno tempi morti e soprattutto consentono al fruitore di poter avere un quadro più largo su tutti i campionati. Dal montaggio al commento, gli highlights sono diventati un prodotto distinto rispetto alle partite e vengono pubblicati e visionati sui vari mezzi in maniera autonoma rispetto ai match.
Le partite su cellulari e tablet
Anche il canale di fruizione dello sport per i giovani fan del futuro è diverso rispetto a quelli delle generazioni sia attuali che passate. L’utilizzo sempre più massivo dei dispositivi mobili, la possibilità di avere una connessione veloce e stabile in ogni luogo e la qualità degli schermi dei i nuovi device, hanno reso i cellulari e i tablet il canale esclusivo sui quali viene visto il calcio dai nuovi tifosi.
La televisione, come la radio, non consente certo di poter guardare gli highlights mentre si sta sui mezzi pubblici, a scuola o in giro con gli amici. Mentre i nuovi dispositivi mobili rendono l’esperienza del tifoso più facile e meno sacrificante rispetto al passato.
I campioni influencer e i tifosi follower
La diffusione dei social e, soprattutto, la monetizzazione che molte star riescono ad ottenere attraverso la proposizione della loro immagine sulle piattaforme, ha portato anche i beniamini degli stadi europei a trasformarsi in veri e propri influencer.
Come era già successo con David Beckham negli anni ’90 e prima ancora con Paul Gascoigne, oggi il mondo del calcio ha scoperto che i campioni possono trovare nuove entrate, sempre più redditizie, attraverso l’utilizzo di nuovi canali comunicativi e commerciali.
I ragazzi, che ormai vivono la loro formazione sociale attraverso le piattaforme, sono dunque pronti anche sul calcio a trasformarsi da tifosi in follower del loro campione preferito o hater di giocatori o squadre rivali. Questo ha creato spazio per un merchandising dei singoli giocatori e si sono infatti moltiplicate le sigle e i numeri personali che sono diventati veri e propri brand in stile Michael Jordan.
Il tifo identitario scomparirà
Il calcio potrebbe nel giro di pochi anni distaccarsi da quel legame geografico tipico dei club europei. Il tifo in Europa ha sempre rappresentato un processo identitario di una comunità locale appartenente ad un certo territorio, capace di unire, attorno ai colori di una squadra, una serie di sentimenti, spesso anche di frustrazioni e voglia di riscatto, che ha reso questo fenomeno legato a dinamiche prettamente geografiche.
Ma dalla ricerca dell’ECA è venuto fuori che i giovani in realtà non provano più interesse per le competizioni locali e per i campionati nazionali. Sono interessati alle coppe internazionali, ai match nei quali si affrontano quegli influencer che hanno seguito per giorni sui social. Vogliono vedere quali sneakers hanno al piede prima di entrare negli spogliatoi, che taglio di capelli, quali cuffie, quale cellulare e quali vestiti indossano. Non conta più con quale club giochi il campione ma quale maglia indossa, se la prima, la seconda o la terza, o addirittura se è una edizione limitata.
Di conseguenza l’interesse dei nuovi tifosi non è più per una squadra locale, la più vicina al proprio mondo, ma quella dove gioca il campione, o i campioni, influencer. Dunque una geografia completamente liquida, anche grazie proprio all’utilizzo dei social e delle piattaforme di on demand che consento di poter seguire da ovunque, qualsiasi campionato del mondo.
Il gaming e lo sport
D’altronde i giovani oggi vivono lo sport, come le altre relazioni ed esperienze sociali, anche e soprattutto attraverso le piattaforme digitali. Parlano di calcio, come di ogni altro argomento, sui social molto più che a casa, a scuola o nei luoghi di aggregazione e socialità. L’esperienza calcistica non la vivono più sui campi fangosi o giocando nelle strade ma attraverso i videogiochi.
Proprio il mondo del gaming rappresenta la realtà più allettante per i club. Sono infatti le piattaforme a poter diventare la nuova frontiera delle società calcistiche per il merchandising digitale. Un mercato che in questi mesi ha visto aprire nuove possibilità e nuovi modelli, dai videogiochi classici agli esports, per arrivare a quello che oggi sta diventato la novità assoluta del settore: gli Nft sportivi.
Gli Ntf nel calcio
Hanno fatto il loro ingresso, anche nel mercato, del calcio gli Nft, i non fungible token, che ora iniziano a far discutere esperti, e presunti tali, sulla possibilità di essere la nuova era del merchandising sportivo o l’ennesima bolla del mondo delle blockchain.
Gli Nft sono un marchio digitale, di gettone crittografico, che attesta la proprietà e, sopratutto l’autenticità, di un oggetto digitale attraverso una blockchain. Un metodo nato dall’idea di far diventare anche un opera virtuale un oggetto vero e proprio, assicurandone l’unicità, la rarità o la scarsità, attraverso una registrazione in quello che possiamo definire un vero e proprio registro ditale. Questi oggetti hanno una valutazioni economica più che intrinseca al bene, decisa dagli andamenti di un mercato tutto nuovo.
Il mercato del calcio è dunque, se immaginiamo ai tanti profili che sono forse più influencer che sportivi, un campo florido per questa novità. In ogni nuova idea c’è sempre un ritorno alle origini e infatti il primo utilizzo di Nft nel calcio è stato il ritorno delle figurine, questa volta digitali.
La Sorare, una start up che ha unito l’idea del fantacalcio tradizionale, quella delle figurine dei calciatori e la complessità dei giochi gestionali del football, è stata la prima a lanciare anche in Italia le figurine digitali Nft. La nuova azienda ha messo in piedi il più grande archivio di Nft del calcio, ha già 500 mila utenti attivi, ha concluso accordi con oltre 200 squadre di calcio per avere nella sua piattaforma i loro giocatori e i loro brand, tra le quali anche le squadre del campionato di serie A italiano, con figurine uniche che arrivano a costare ance centinaia di migliaia di euro e che vengono pagate con Ethereum una cryptovaluta.
Ma è tutto oro quello dei token che luccicano?
C’è sempre bisogno di capire se questa novità è davvero sostenibile o se invece rappresenta un tentativo speculativo di qualcuno. La Sorare è una strat-up francese, fondata nel 2018 capace, soprattutto attraverso il coinvolgimento di calciatori e personaggi influenti, di raccogliere finanziamenti sostanziosi con record di raccolta fondi che arrivano anche a 680 milioni dollari in unico round. Il salto di qualità lo ha fatto nel 2021 quando la sua valutazione è arrivata a 4,3 miliardi di dollari. Sulla piattaforma del suo fantacalcio virtuale si è raggiunta, nel 2021, la quota di 150 milioni di dollari per gli scambi delle figurine che sono diventate dei veri e proprio beni di lusso, basti pensare che la card di Cristiano Ronaldo è stata venduta a 245 mila euro.
Ma con la visibilità arrivano non solo i nuovi utenti ma anche i controlli e a dicembre la start-up francese è finita sotto inchiesta in Gran Bretagna con l’accusa di gioco d’azzardo. Per ora la Gambling Commission britannica sta facendo verifiche ed indagini, ma il problema è palese. Un’azienda che ha messo in piedi un mondo virtuale attraverso il quale le persone possono giocare spendendo e perdendo centinaia di migliaia di euro, è una piattaforma di gioco d’azzardo, una continua asta di opere d’arte o un gioco per ragazzi e tifosi?
Per la Sorare non c’è alcun dubbio il suo è solo un gioco per collezionisti e quindi non si sarebbe bisogno di nessuna licenza, ma il collezionismo non prevede gare e tornei quotidiani e soprattuto non è mai visto come un gioco.
Questa nuova frontiera apre dunque un nuovo spazio nel dibattito vecchio come il football di chi si interroga se il calcio sia solo uno sport o sia anche altro. Uno degli allenatori più emblematici del pallone, Zenedek Zeman sosteneva «la grande popolarità del calcio non è dovuta agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi. Ma il calcio, oggi, è sempre più un’industria e sempre meno un gioco».
Oggi però che quei bambini non giocano più nelle strade ma che sono invece più pronti a giocare sulle piattaforme virtuali forse è il caso di dire che il calcio non è più un gioco ma un’industria moderna che va normata, osservata e capita.