La chiamano “industria dei minibond” e un motivo c’è. I minibond, ossia i titoli di debito (obbligazioni e cambiali finanziarie) di importo inferiore a 50 milioni di euro, sono emessi da società italiane non finanziarie (in particolare società di capitale o cooperative aventi operatività propria) non quotate su listini aperti agli investitori retail.
Rappresentano, per una quota crescente di aziende, una forma di finanziamento alternativa e complementare al credito bancario per diversificare le fonti e accedere al mercato competitivo degli investitori professionali, per lo più in preparazione di successive operazioni più complesse come il private equity o la quotazione in Borsa. E, nel corso del 2021, il filone dei minibond è quasi tornato ai livelli precedenti alla pandemia, secondo quanto rileva l’Osservatorio Minibond della School of Management del Politecnico di Milano.
L'”industria” dei minibond e gli effetti per l’economia
Con questi parametri, la ricerca ha identificato 832 imprese italiane che alla data del 31 dicembre 2021 – a partire da novembre 2012 – avevano collocato minibond, di cui 520 Pmi (il 62,5%). Solo nel 2021 le emittenti sono state 200 (di cui ben 163 si sono affacciate sul mercato per la prima volta), in aumento rispetto alle 173 del 2020: si tratta per il 52% di SpA, il 45% di Srl (tipologia in forte aumento) e il 3% di società cooperative.
Si è visto un buon aumento delle emittenti che presentavano un fatturato di conto economico fino a 10 milioni di euro e c’è stato un recupero per le imprese con ricavi fra i 100 e i 500 milioni di euro. Per quanto riguarda il settore di attività, il comparto manifatturiero è in testa (41,5% del campione 2021), seguito dal commercio (14%), mentre dal punto di vista geografico la Lombardia riconquista il primato per numero di emittenti (45), ceduto lo scorso anno alla Campania che ora torna seconda (39); terza l’Emilia Romagna (27).
Secondo l’Osservatorio Minibond del PoliMi,
“L’industria dei minibond ha recuperato i livelli pre-Covid e conquistato ulteriori posizioni – commenta Giancarlo Giudici, direttore dell’Osservatorio -. C’è grande fermento: nuove emittenti si affacciano sul mercato, si ampliano i programmi di basket-bond, cresce la raccolta da parte dei fondi dedicati.
Quest’anno ci siamo concentrati sugli investimenti in conto capitale e sulla dinamica dell’occupazione dopo l’emissione e abbiamo rilevato, numeri alla mano, la capacità delle emittenti di creare nuovi posti di lavoro. Siamo convinti che ci sarà una crescita importante per i mini bond green, in sinergia con gli investimenti europei dedicati al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico: la crescente attenzione verso le tematiche ESG potrà stimolare le PMI a raccogliere capitale attraverso mini bond per finanziare progetti orientati alla sostenibilità”.
Già in questo Report viene dedicato uno spazio specifico ai minibond “verdi”, emessi per finanziare progetti con impatto positivo sull’ambiente: praticamente inesistenti fino al 2018, nel 2021 ne sono stati collocati ben 14, per un controvalore di 77,85 milioni di euro.
Anche la raccolta di nuovi fondi di private debt condotta negli ultimi mesi sarà un catalizzatore per una ulteriore crescita del mercato. Tuttavia, le tensioni geopolitiche degli ultimi giorni, accompagnate da fattori contingenti che impattano in maniera negativa sulle imprese, come l’impennata dei costi di energia e materie prime, non consentono di fare previsioni affidabili sul 2022.
Nel 2021 hanno acquisito ulteriore spazio i basket bond, cioè progetti di sistema volti ad aggregare le emittenti per area geografica o per filiera produttiva, anche attraverso operazioni di cartolarizzazione. Fino ad oggi sono state contate 11 iniziative che hanno catalizzato oltre 1,2 miliardi di euro di risorse. Si conferma come non vi sia un rapporto causa-effetto fra emissione del minibond e crescita successiva del volume d’affari, ma per un buon numero di PMI il minibond rappresenta una tappa in un più ampio percorso di crescita predefinito, per altre è un’opportunità da sperimentare – nonostante l’accesso al credito bancario – per acquisire competenze nuove rispetto al mercato del capitale e ottenere una sorta di ‘legittimazione’.
Quest’anno l’Osservatorio propone un focus specifico sulle emittenti del 2016-2017-2018, relativo alla crescita degli investimenti e degli occupati dopo l’emissione: per quanto riguarda il flusso di investimenti in immobilizzazioni materiali e immateriali, si trovano risultati abbastanza variabili, ma con una tendenza alla crescita degli impieghi, sia prima sia dopo l’emissione; per quanto riguarda invece l’occupazione, i dati mostrano che le emittenti del triennio considerato hanno generato quasi 8.000 nuovi posti di lavoro, con un incremento del 19,3% rispetto all’organico al momento dell’emissione.
Circa gli investitori, il 2021 ha confermato il ruolo importante delle banche italiane, che hanno sottoscritto il 43% dei volumi dei minibond, seguite dai fondi di private debt (23%). Fondi e banche estere contribuiscono con il 14%, importante anche il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti (9%).
Le emissioni di minibond
Il database dell’Osservatorio contiene 1.220 emissioni di minibond effettuate dalle imprese del campione (che spesso ne hanno condotte più di una) a partire da novembre 2012, per un valore nominale totale di 8,07 miliardi di euro, 2,85 miliardi se ci si limita alle PMI. Il 2021 ha contribuito con 1,067 miliardi di euro da 219 emissioni (contro le 191 del 2020), il 43% delle quali di importo inferiore ai 2 milioni di euro. Il valore medio tendenziale dei collocamenti nel secondo semestre 2021 è pari a 4,75 milioni di euro.
Solo una piccola parte dei titoli è stata quotata su un mercato borsistico; nel 2021 tale percentuale è stabile al 15% (il 12% su ExtraMOT PRO3 e il 3% su un listino estero). Per quanto riguarda la scadenza, la distribuzione continua a essere molto variegata, con una serie di titoli short term con maturity a pochi mesi ed emissioni a più lunga scadenza. Il valore medio del 2021 è 5,63 anni (in diminuzione rispetto al 2020).
Sulla base dei dati raccolti, viene elaborata anche una proiezione dei flussi di capitale in scadenza nei prossimi anni, e quindi da rifinanziare: nel 2022 sono in scadenza minibond sotto i 50 milioni di euro per 404 milioni. Per quanto riguarda la cedola, nella maggioranza dei casi è fissa ma in 39 emissioni del 2021 è indicizzata.
Cresce leggermente la remunerazione (la media è 3,65% rispetto a 3,61% del 2020) anche grazie a numerose emissioni che prevedono garanzie pubbliche rilasciate dal Fondo di Garanzia nazionale, da SACE, dalle finanziarie regionali o privatamente dalle emittenti stesse: i titoli senza garanzie sono ormai una minoranza.
Il ricorso al rating emesso da agenzie autorizzate è rimasto minoritario nel 2021, ma in crescita (il 34% delle emissioni l’ha ottenuto, in gran parte undisclosed). La presenza di opzioni call e put rispetto al rimborso del capitale è frequente nei minibond: nel 2021 sono aumentati quelli che presentano l’opzione call di rimborso anticipato a discrezione dell’emittente.