Second Life: che fine ha fatto il primo metaverso?

Dopo l'annuncio di Facebook - Meta i brand iniziano a rincorrere un concetto ancora tutto da definire. Eppure, nessuno sembra ricordare che un mondo digitale lo abbiamo già avuto: si chiama Second Life ed ecco la fine che ha fatto.

Prima di parlare di Second Life, facciamo una premessa che è datata ai giorni nostri. Dopo il twist di Mark Zuckerberg, che di fronte a un paio di cul-de-sac in cui Facebook si era infilato ha ribaltato totalmente il tavolo imponendo al mondo la rincorsa al metaverso (con tanto di cambio di nome dell’intero gruppo in Meta), i brand hanno iniziato a rincorrere un concetto per quello che era possibile comprendere. Il metaverso di cui parla l’ideatore del social più blasonato di sempre è qualcosa di accennato ma già noto nei principi: fondamentalmente, è uno spazio digitale in cui il nostro avatar può muoversi, interagire con altre persone collegate e compiere azioni. Il tutto in piena sinergia con i visori Oculus su cui l’azienda di Menlo Park anche ha puntato forte.

Non vi è bisogno quindi di Facebook per comprendere che – in maniera ridotta rispetto alla base di utenti della piattaforma citata – chiunque abbia le competenze (o possa acquistarle) possa creare un suo ridottissimo e utilissimo metaverso. Abusando forse del termine, ma promuovendo azioni commerciali in linea con il concetto. Si veda ad esempio l’esperienza Benetton o le considerazioni che confermano che metaverso e marketing vanno di pari passo.

Questo in attesa che il mondo dipinto da Mark Zuckerberg, l’universo nell’universo in cui “giocheremo, lavoreremo, faremo acquisti e coltiveremo le nostre relazioni sociali” sia entrato nelle nostre vite, e con lui gli inserzionisti e i grandi marchi. Boutique di lusso completamente digitali, o piccoli negozi dove i creatori potranno vendere oggetti per i nostri avatar, i nostri secondi noi. O ancora spazi di associazioni, aziende, squadre di calcio. E i videogiochi, certo: uno dei business più redditizi del nuovo secolo.

Vi sorprenderà – o forse no – quindi sapere che qualcosa del genere è già esistito, e quello che è accaduto è stato praticamente identico. Per la precisione, accadde nel 2003 e il metaverso in questione si chiamava Second Life, prodotto dalla Linden Lab. E – attenzione – si chiama ancora così. Perché Second Life esiste ancora, e a distanza di qualche anno (e con un guizzo di memoria non indifferente per azzeccare la password) abbiamo recuperato l’avatar di Enrico Parolisi chiamato En Forcella (all’epoca i cognomi erano imposti dal Lab) della crew Corazon Alegre e siamo tornati sul luogo del delitto per vedere come va oggi.

L’avatar di En Forcella su Second Life, (quasi) identico a come l’avevamo lasciato anni fa (foto di Enrico Parolisi)

La Pinetina nel Metaverso

Second Life alla sua nascità sembra esprimere tutte le potenzialità per imporsi e per imporre un nuovo modo di intendere il digitale. O almeno, questo sembra apparire dall’esplosione del fenomeno globale. E anche in quel caso i brand hanno fatto ciò che potevano per accaparrarsi un posto in prima fila nell’universo parallelo. Riporto per esteso, ad esempio, le parole di Telecom Design che annunciava così la nascita della Pinetina dell’Inter in Second Life:

Confermando la sua leadership nei nuovi media, dimostrata dal successo del sito web ufficiale, l’Inter è il primo grande club calcistico a entrare in prima persona nel nuovo scenario tecnologico aperto da Second Life, grazie a Telecom Design. La community virtuale di Second Life, che conta ormai oltre 8 milioni di utenti, è ritenuta uno dei modelli più avanzati di comunicazione, un punto di riferimento per l’evoluzione di Internet stessa. La strategia dell’Inter punta alla creazione di un vero e proprio laboratorio per sviluppare e testare nuove iniziative da proporre alla community interista, sia in Italia che all’estero.

Telecom Design

e ancora:

La prestigiosa sede dell’Inter a Milano è stata ricostruita in modo realistico; da ogni parte del mondo si può visitare il palazzo in via Durini, entrare nei corridoi affrescati e nelle sale, vedere e toccare le grandi coppe storiche nella esatta disposizione in cui sono collocate nella realtà.

L’Inter su Second Life

Dell’Inter non vi è più traccia nell’universo di Second Life, ma di altro sì. Come delle classi virtuali di UniNettuno che abbiamo visitato a inizio marzo.

Il nostro avatar alla reception virtuale di UniNettuno nel marzo del 2022

L’università ha nel suo spazio digitale sul metaverso di Second Life una struttura bellissima, con tanto di aule virtuali. Una soluzione che, se si pensa a quanto accaduto in pandemia, sarebbe stata utile per le lezioni a distanza.

Lo spazio digitale, però, è lasciato a sé stesso. Un bot ci accoglie, ma del vivace campus universitario digitale non vi è traccia. Abbiamo contattato l’Università che ci conferma di aver definitivamente abbandonato l’idea di utilizzare la piattaforma di Linden Lab nel 2019 dopo una graduale riduzione, optando oggi per aule virtuali proprietarie.

Altri esempi simili ce ne sono a bizzeffe. I nostri landmark (le coordinate salvate sulla mappa del mondo di Second Life) sono quasi del tutto irraggiungibili dopo anni. Grigie, come l’elenco dei nostri amici dell’epoca. Altri posti, invece, sono abbandonati a sé stessi.

La Social Island visitata il 4 marzo 2022

Nella Social Island, una delle destinazioni suggerite dalla piattaforma, il 4 marzo siamo in 18. A interagire con gli altri, uno sparuto gruppo di persone. Nell’angolo, una sorta di vampiro alato. Nella chat comune un avatar con il volto femminile chiede dove può trovare daddies, mentre un altro dice che è triste. Chiedo come mai e qualcun altro mi risponde “Siamo tutti tristi”. Poi – non abbiamo capito – perché parlano di luoghi sbagliati, di adult sim e se ne vanno. Le conversazioni nel metaverso si interrompono lì.

Pornografia, sessualità e vampiri in Second Life

Protetti all’inizio dietro un fondamentale anonimato, inutile dire che in Second Life il sesso sia stato immediatamente uno degli elementi caratterizzanti dell’esperienza. Il noto saggista Enrico Menduni, fino al 2018 ordinario di Cinema, fotografia, televisione nell’Università Roma Tre, già nel 2010 scriveva:

“Second Life offre un mondo virtuale che permette agli utenti di mettere in scena una autorappresentazione della sessualità e delle proprie fantasie in tempo reale e in forma audiovisiva: una pratica condivisa da miglia di utenti, che trasforma sempre più SL, o ampie porzioni di questo mondo, in una sorta di quartiere a luci rosse nel quale gli utenti si aggirano alla ricerca di sesso gratuito o a pagamento, adescano altri avatar e si adottano modelli di comportamento non molto distanti fra quelli adottati, nella vita reale, nei corrispondenti quartieri di dubbia reputazione delle metropoli del nostro mondo.

Questa forte spinta allontana SL dalle previsioni di qualche anno fa, in cui appariva come un ambiente particolarmente utile all’apprendimento a distanza, alla comunicazione politica e al marketing, costringendo Linden Lab a raccogliere tutte queste regioni (Sims) in speciali zone “Mature” e “Adult” controllando l’età degli utenti”.

Enrico Menduni

Da allora ad oggi, c’è stata una svolta. Almeno nelle intenzioni. Linden Lab nelle prime battute della fase pandemica ha rinfrescato il progetto originale, rilanciandolo con queste parole:

Abbiamo creato il portale perché ci sono state molte richieste da parte di studi professionali e clienti, che volevano un luogo sicuro e confortevole dove incontrare i loro partner commerciali. Del resto, questi sono tempi spaventosi. All’inizio ci siamo sentiti troppo opportunisti ma poi abbiamo pensato che in realtà stavamo fornendo un’ottima soluzione per coloro che in questo momento hanno un’esigenza che altri non riescono a soddisfare, non come può fare Second Life

Second Life

Linden Lab ha inoltre distinto nel tempo i profili tra free e premium. Noi siamo ancora fieramente free e non c’è da sorprendersi che al nostro ritorno nel primo metaverso quindi l’adult vada sempre forte, così come l’universo BDSM e quello dei vampiri, e che le persone con cui parlare siano relativamente poche, anzi nel nostro tempo sulla piattaforma giusto una manciata.

Il mondo della Transilvania ci chiede di donare per permettere di mantenere le spese di land tier

I numeri

Ebbe Altberg, l’attuale CEO di Linden Lab, in un’intervista del 2021 ha sostenuto che su Second Life ci siano circa 900mila utenti attivi, cresciuti anche come effetto dei lockdown. La cifra è più o meno confermata dai dati diffusi da Metaversed Consulting che stima intorno al milione gli utenti SL attivi in questo momento.

Second Life, elemento di rottura all’inizio del 2000, ora compare tra tante voci. Nell’elenco dei metaversi registrati da Metaversed ci sono realtà pensate soprattutto per i giovani come Fortnite, Roblox e Minecraft che hanno già dimostrato di essere dei motori molto ricercati anche per operazioni di marketing (si veda il caso del Superbowl e un profetico “Fortnite sta riuscendo dove Second Life ha fallito” scritto all’epoca dalla nostra direttrice Federica Colucci).

Ma in questa classifica ci sono anche realtà come Zepeto, IMVU e altre (mobile-friendly, soprattutto), e i numeri di Second Life al confronto non fanno impazzire.

Il volume economico

Se la prospettiva descritta nel 2007 da questo articolo di Repubblica era al punto tale da far scrivere che:

Secondo un’inchiesta di Business Week si sono quadruplicati i residenti che, grazie all’inventiva e a un irrilevante investimento economico iniziale, sono arrivati a guadagnare più di cinquemila dollari americani (reali) al mese lasciando, nella maggior parte dei casi, il lavoro reale.

Daniele Semeraro su Repubblica

è altrettanto vero che volume economico la piattaforma lo genera ancora e non solo per la Linden Lab e per la vendita di abbonamenti premium. Nel 2017 Linden Lab faceva sapere che ai creators (creatori di contenuti, utenti che creano oggetti di gioco) sono stati pagati 68 milioni di dollari e che le categorie di oggetti più acquistati erano, nell’ordine, apparenze dell’avatar, accessori e mobili per la casa e il giardinaggio virtuale. Nel 2018 Wired raccontava la storia di Rouge Darcy e Missallsunday Lemon (questi i nomi degli avatar di due italiani) che sostenevano di guadagnare sulla piattaforma oltre 10mila euro mensili, vendendo tagli di capelli a un dollaro. In pratica, parrucchieri digitali.

Tanti concepiscono Second Life come uno sfogo per quello che non possono essere nella vita reale. E non è una cosa necessariamente triste, anzi. Per altri ancora è un po’ come vestire le bambole.

Rouge Darcy su Wired

Non male, per essere un prodotto andato a calare nel tempo in maniera evidente.

Perché Second Life ha “toppato”?

Nonostante ciò, possiamo parlare di fallimento per Second Life? Sicuramente non ha tenuto fede alle aspettative che erano state prospettate in fase di lancio. Da seconda vita a prodotto di nicchia c’è un abisso. Ma quello che per migliaia di aspetti sembra essere l’antesignano del metaverso di cui parla Mark Zuckerberg perché non è riuscito in ciò che il mondo pensava potesse diventare?

“Sicuramente – spiega Alessandro Tateo, sviluppatore di lungo corso e attualmente alla guida della startup innovativa Fortress Lab – esistono questioni squisitamente tecniche. Il mondo digitale corre, e questo dato di fatto ci aiuta a ribadire che l’ambiente di quindici e più anni fa, da un punto di vista di tecnologie e risorse, non è paragonabile a quello di oggi. Nel 2003 non era così scontato che computer domestici e connessioni internet di casa potessero essere performanti abbastanza da far girare un intero mondo virtuale che ancora oggi le macchine sostengono con difficoltà. Così come era ancora fantascienza immaginare di avere visori VR come l’Oculus di Facebook a casa: già microfoni e cuffie erano retaggio di pochi addicted. Chiaro che la vision del Linden Lab sia stata assolutamente futuristica visto quanto accade oggi, ma il paradosso è che forse era addirittura troppo presto per sperare funzionasse davvero”.

L’ambiente di quindici e più anni fa, da un punto di vista di tecnologie e risorse, non è paragonabile a quello di oggi.

Alessandro Tateo, Fortress Lab

“Il fallimento di Second Life potrebbe essere imputato solo in maniera semplicistica a una problematica tecnologica. Al tempo le connessioni web veloci non erano diffuse e dunque l’esperienza utente non era di qualità. Un problema che oggi invece non c’è più. Ma in realtà dal punto di vista socioantropologico bisogna analizzare un altro aspetto“. Alex Giordano, docente di Innovazione Sociale e Trasformazione Digitale dell’Università Federico II di Napoli e direttore del SOCIETING Lab, prova a rispondere alla nostra domanda sul perché Second Life sia venuto meno e non solo per aspetti tecnici.

“Da sempre – spiega Giordano in maniera dura – il sogno capitalistico delle big tech è quello di creare un mondo parallelo, in pieno stile Matrix, nel quale l’essere umano è ridotto alla figura di consumatore. Questo è possibile. Abbiamo assistito, nel giorni del lockdown, ad un processo di questo tipo. Siamo rimasti chiusi in casa e l’unica cosa che facevamo era spendere sulle piattaforme digitali, l’essere umano che consuma e non socializza. Eppure internet – e anche i social – sono nati, invece, proprio perché hanno interpretato la voglia dell’essere umano di utilizzare il digitale per connettersi al reale. La missione iniziale di Facebook era proprio questa, far incontrare le persone. La dicotomia tra mondo virtuale e mondo reale era caduta. In sociologia si parlava infatti di on-life, di società aumentata. Poi però a causa della mancanza di cultura sull’utilizzo dei mezzi legata anche a una scarsa educazione tutto è stato lasciato al mercato”.

Alex Giordano, docente di Innovazione Sociale e Trasformazione Digitale dell’Università Federico II

“L’utilizzo di queste piattaforme non filtrato dagli strumenti critici per poterle governare – continua Giordano – ha cominciato a mostrare i suoi eccessi più osceni. Sono emerse anche forme patologiche: in neurologia si parla di dismorfoboia quando le ragazzine o i ragazzini che si fotografano con i filtri su Instagram poi si sentono belli solo con quei filtri. Abbiamo iniziato ad utilizzare i social per aumentare la socializzazione e siamo finiti invece per preferire la socializzazione schermata da una visione della realtà che non è reale. Tutto questo non è passato per le scelte individuale di consapevolezza ma attraverso gusti indotta da app, piattaforme e algoritmi che normano anche dei canoni che invece dovrebbero essere soggettivi”. Una distorsione di cui ha sofferto anche l’esperienza di Second Life e del primo Metaverso.

Gli algoritmi sono fatti per aumentare il tempo di permanenza di ogni utente all’interno delle piattaforme, non per la felicità dell’essere umano. A questo punto è importante fare un lavoro culturale per evitare le aberrazioni

Alex Giordano, Università Federico II

Le prospettive per il Metaverso di Meta / Facebook

Nonostante quanto analizzato finora sul suo antesignano, il Metaverso ipotizzato da Zuckerberg potrebbe avere un’evoluzione diversa. Spiega ancora Giordano: “Il metaverso di oggi ha più possibilità di Second Life perché c’è un pubblico più pronto, un web più veloce che può supportare un’esperienza utente di qualità, ma penso che forse sia il caso di non assolutizzare. Anche Amazon ha fatto chiudere le librerie, ma sono aumentati i negozi di frutta e verdure fresche e questo indica che andiamo ancora verso un mondo ibrido dove alcuni consumi potranno continuare a vivere su una dimensione virtuale ma per altri prodotti avrà ancora più senso vivere fuori dalla rete, dal biologico ai grandi brand. Il metaverso può avere una seconda vita rispetto a Second Life ma ibrida. McLuhan diceva che ogni nuovo mezzo non cancella quello precedente ma lo aumenta, gli dà un’opportunità in più. Dobbiamo dunque stare attenti perché chi invece i mezzi li vende vuole assolutizzare. Gli algoritmi sono fatti per aumentare il tempo di permanenza di ogni utente all’interno delle piattaforme, non per la felicità dell’essere umano. A questo punto è importante fare un lavoro culturale per evitare le aberrazioni”.

“La posizione di Meta – spiega Gianluca Riccio, direttore creativo dell’agenzia EssereQui – è paradossale. Si tratta senza dubbio dell’azienda che più di tutte ha desiderato (per motivi di volontà, e di necessità) anticipare l’avvento del metaverso. Lo ha fatto in tempi non sospetti, attraverso l’acquisizione di due aziende cruciali, entrambi nel campo dell’hardware. Si tratta di Oculus e di CTRL Labs, rispettivamente per i visori e le interfacce utente. Sulla carta, Meta è la squadra da battere e taglierà molti traguardi prima delle altre. Si tratta però di una ‘partita’ che non si giocherà mai su un solo campo. L’idea di un metaverso esteso e dettagliato presenta un enorme dispendio di dati e di energia, e gli attori in campo saranno tanti”.

Mark Zuckerberg nel Metaverso

In che modo, quindi, l’esperienza di Meta potrebbe avere diverso successo rispetto a quella, sicuramente non all’altezza delle enormi aspettative del primo momento, di Linden Labs? “Nel più classico dei benchmark – continua Riccio – probabilmente Meta ha messo l’esperienza di Linden Labs in cima alla lista delle esperienze da emulare. Le differenze sono tutte di natura strutturale: l’esperienza del metaverso (perfino quello immaginato da Meta) non è quella di un universo ‘chiuso’, ma di un sistema che vive di un’osmosi continua con il mondo esterno. Non è solo un viaggio, per usare una metafora, ma uno strumento immersivo e pervasivo“.

La differenza tra i due sistemi? Paragonabile a quella tra i cellulari di vecchia generazione e quelli con le app

Gianluca Riccio, EssereQui

“Credo personalmente – conclude Riccio – che non ci sia nulla di sbagliato nell’esperienza di Second Life, che è figlia del suo tempo, con tutti i limiti che questo comporta. Meta svilupperà (per certi versi ha già sviluppato) un ecosistema figlio dei suoi tempi, sicuramente più avanzato, e con limiti tutti da esplorare. La differenza tra i due sistemi? Paragonabile a quella tra i cellulari di vecchia generazione e quelli con le app: non escludo che in futuro ci siano dispositivi (non solo visori) basati su un metasistema operativo sui quali potranno girare applicazioni di ogni tipo. Da questo punto di vista, se non l’unica azienda del metaverso, certamente Meta ha le carte in regola per diventare la prossima Microsoft o almeno il prossimo Android (cioè ‘piattaforme’ sulle quali altre aziende porteranno le loro proprie istanze di metaverso)”.

Exit mobile version