Controlled foreign companies, arriva la direttiva AdE sulle tasse da pagare in Italia

Il provvedimento contiene i nuovi criteri semplificati per stabilire chi deve pagare le tasse in Italia: dopo una consultazione avviata la scorsa estate, il documento che regola i rapporti fiscali con le Controlled foreign companies, che interessa le società con una tassazione effettiva dell’utile inferiore al 50 per cento di quella italiana.

E’ stata pubblicata in giornata la direttiva dell’Agenzia delle Entrate (AdE) relativa alle società controllate estere (Controlled Foreign Companies, anche note come CFC) che devono pagare le tasse in Italia.

Il provvedimento contiene i nuovi criteri semplificati per stabilire chi deve pagare le tasse in Italia: dopo una consultazione avviata la scorsa estate, il documento che regola i rapporti fiscali con le Controlled foreign companies, che interessa le società con una tassazione effettiva dell’utile inferiore al 50 per cento di quella italiana.

La disciplina relativa alle c.d. “Controlled Foreign Companies” contenuta nell’articolo 167 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”) ha la finalità di rendere imponibili in capo ai soggetti residenti o stabiliti in Italia gli utili prodotti dalle società estere controllate che beneficiano di una tassazione ridotta
nello Stato di insediamento e che, al tempo stesso, risultano titolari di determinate categorie di proventi (passive income), senza svolgere un’attività economica effettiva.

L’imposizione derivante dall’applicazione delle disposizioni previste dalla disciplina CFC viene subita dal soggetto controllante italiano, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e in modo separato, indipendentemente
dall’effettiva percezione degli stessi utili sotto forma di dividendi.

Il quadro di riferimento delle Controlled Foreign Companies

La situazione delle Controlled Foreign Companies in Italia è stata molto dibattuta. In effetti, l’obiettivo dell’Italia (e dell’Unione Europea in generale) è quello di contrastare la delocalizzazione nei così detti paradisi fiscali, ossia i Paesi esteri a fiscalità privilegiata, dunque applicare i principi di trasparenza e di anticorruzione anche alle società estere che detengono quote di partecipazioni agli utili nostrani.

Come spiega il portale Mercato Globale, cui si rimanda per approfondimenti più precisi,

Gli utili de quo sono immediatamente attratti ad imposizione in capo al soggetto controllante italiano indipendentemente dalla loro distribuzione (in deroga al principio generale). Alla normativa in parola soggiacciono sia le imprese che le persone fisiche, che detengono partecipazioni di controllo in società estere localizzate in paesi a fiscalità privilegiata.

Il legislatore italiano ha modificato sensibilmente la normativa nel mese di luglio 2009, con il decreto anticrisi.

Il soggetto residente in Italia può chiedere la disapplicazione della disciplina Cfc [cause esimenti contenute nell’art. 167 tuir, comma 5, lettere a) e b)] relativamente alla propria controllata estera, presentando obbligatoriamente apposito interpello all’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212.

In generale, è opportuno sapere che per dimostrare il collegamento fisico della struttura commerciale o industriale della società estera controllata con il territorio delle Controlled Foreign Companies, occorre presentare una documentazione precisa:

Dunque, per dimostrare che l’attività svolta nel Paese dalla Controlled Foreign Companies è quella principale, deve essere quantitativamente superiore ad altre attività comunque svolte.  Inoltre, l’attività commerciale o industriale deve essere principale con riferimento non all’ambito territoriale globale, bensì all’ambito territoriale nello Stato o nel territorio nel quale ha sede la società estera. 

Le novità sulle CFC dell’Agenzia delle Entrate

Come spiega l’Agenzia delle Entrate, prima delle novità apportate dal decreto, la normativa era caratterizzata da un sistema duale: alla originaria disciplina ideata per le sole società localizzate in Stati o territori cosiddetti black list, il legislatore aveva affiancato, a decorrere dal 2010, una disciplina indirizzata alle società residenti in tutti gli altri Stati o territori cosiddetti white list, inclusi gli Stati membri dell’Unione Europea e dello Spazio economico europeo.

La principale novità recata dal citato decreto legislativo n. 142 del 2018, in tema di normativa Controlled Foreign Companies, consiste proprio nella sostituzione del citato doppio sisitema con un’unica fattispecie, valida a prescindere dallo Stato di residenza o di localizzazione della società estera e al ricorrere di due requisiti:

i. l’assoggettamento a una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui la controllata estera sarebbe stata soggetta qualora residente in Italia;
e
ii. la riferibilità di oltre un terzo dei propri proventi a determinate categorie di ricavi (“passive income”)

Con il documento pubblicato oggi sui nuovi criteri per determinare in modalità semplificata il requisito dell’effettivo livello di tassazione, vengono fornite le definizioni rilevanti ai fini della disciplina, nonché le imposte estere da considerare ai fini della determinazione della tassazione effettiva estera e le imposte italiane da considerare ai fini della tassazione virtuale interna.

Tra le altre novità contenute nel provvedimento rientrano l’illustrazione dei criteri di determinazione della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale interna:

a. il calcolo della tassazione virtuale interna è eseguito sulla base delle caratteristiche della controllata, partendo dai dati risultanti dal bilancio di esercizio o dal rendiconto della stessa, redatti secondo le norme dello Stato di localizzazione. In particolare, se il bilancio o il rendiconto sono redatti in conformità ai principi contabili internazionali, il socio residente è tenuto a determinare il reddito della controllata secondo le disposizioni appositamente previste per i soggetti che adottano tali principi contabili internazionali;

b. sono prese in considerazione le imposte sul reddito effettivamente dovute nello Stato o territorio estero di localizzazione che devono trovare evidenza nel bilancio o rendiconto di esercizio della controllata, nella relativa
dichiarazione dei redditi presentata alle competenti autorità fiscali, nelle connesse ricevute di versamento, nonché nella documentazione relativa alle eventuali ritenute subite ad opera di sostituti d’imposta o altri soggetti locali. Alle stesse condizioni, rilevano anche le imposte dovute, a titolo definitivo, in giurisdizioni diverse da quelle di localizzazione, sia dalla controllata sia da altri soggetti, in relazione al reddito della controllata stessa.

Viene, quindi, confermata la possibilità di effettuare, in ciascun esercizio, i calcoli connessi alla tassazione effettiva estera e alla tassazione virtuale interna attribuendo rilevanza fiscale ai valori di bilancio della controllata estera o, in alternativa, di attivare il monitoraggio dei valori fiscali di riferimento durante il periodo di possesso della partecipazione di controllo nella entità estera, da effettuarsi attraverso una manifestazione di volontà, non modificabile, nel modello di dichiarazione dei redditi.

Per maggiori approfondimenti sulla disciplina delle Controlled Foreign Companies, si consiglia di consultare la circolare.

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