“Stimiamo, per difetto, che ogni anno almeno 3 milioni di tonnellate di olio finiscano disperse nell’ambiente”. Basterebbe questa frase per rendere l’idea di quanto la FoamFlex200, la spugna capace di assorbire petrolio, possa migliorare considerevolmente l’efficacia della tutela ambientale in casi di sversamenti di olio. La spugna è stata inventata e brevettata dalla start up italiana Test1 e la stima sulle tonnellate di olio che inquinano annualmente il pianeta è venuta fuori nella nostra chiacchierata con il Ceo, Alessandro Taini.
Come funziona questa “spugna” e perché credete sia migliore delle altre?
“FoamFlex200 assorbe fino a 30 volte il suo peso. Un’efficacia più che doppia o tripla rispetto alle altre tecnologie sul mercato. Ma la sua specificità non è questa. La spugna assorbe l’olio (quindi non solo il petrolio, ma anche l’olio naturale) e, al tempo stesso, non assorbe acqua, quindi è selettiva Si recupera così la materia prima, che può essere riutilizzata, e si tutela l’ambiente. La grande efficacia è essenziale perché quando c’è uno sversamento nell’ambiente, il tempo a disposizione è poco, prima che l’olio vada a impattare sulla natura e non possa più essere recuperato”.
Come è realizzata questa spugna?
“Per il 90% è identica a quella prodotta per i cuscini e i materassi, a cui poi vanno aggiunti dei componenti chimici particolari. La differenza sta anche nel processo: essendo una piccola produzione riusciamo ad abbattere le emissioni nocive e possiamo praticamente definirci a zero emissioni”.
Qual è la differenza con gli altri prodotti del settore presenti sul mercato?
“La differenza principale sta nella quantità di prodotto di cui c’è bisogno. Nel nostro caso, data la riutilizzabilità della spugna, il materiale assorbente necessario è minore. Inoltre, recuperando l’olio anche quando il ciclo di vita del prodotto è finito il suo smaltimento, che avviene per combustione, è meno impattante per l’ambiente. Nel nostro caso viene bruciata solo la spugna, con gli altri prodotti anche l’olio che non può essere recuperato e che, chiaramente, nella combustione inquina”.
Il vostro prodotto costa però di più di un sistema tradizionale di assorbimento di olio…
“In termini assoluti sì, in termini relativi no. Se la spugna la si utilizza una sola volta e poi la si butta il costo è maggiore. Ma se viene adoperata per tutto il suo ciclo di vita la spesa è decisamente minore. Nel 2018 alle Canarie, dopo il passaggio dell’uragano Emma, erano finiti in acqua 150 tonnellate di olii. Con il nostro sistema ne hanno recuperato il 55%, contro lo 0-20% delle tecnologie tradizionali ed è costato un decimo rispetto a queste. Inoltre è una soluzione veloce da utilizzare e la tempestività è essenziale quando c’è una perdita di olio nell’ambiente. Le navi sono già obbligate ad avere sistemi di recupero e contenimento del danno in caso di incidenti. Con la nostra spugna intervengono prima, il che riduce le sanzioni, con un risparmio non solo per l’ambiente”.
FoamFlex200 può essere usata solo nei grandi disastri ambientali?
“Assolutamente no. Il tristemente famoso disastro del Golfo del Messico che ha coinvolto la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon ha sversato in acqua un milione di tonnellate di petrolio. La cosa ha fatto scandalo, ma in realtà, da nostri calcoli, stimiamo che ogni anno finisce disperso nell’ambiente il triplo di olio perso in quell’evento. Piccoli incidenti sono all’ordine del giorno, non fanno notizia perché meno grandi e meno visibili: dall’errore di rifornimento di una grossa nave a un camion cisterna che semplicemente si rovescia. Il problema, forse, è più preoccupante dell’inquinamento da plastica. Per questo abbiamo creato kit di diverse dimensioni: da quelli per i parchi naturali, a quelli per il diportista, così da coprire ogni sversamento di olio, anche il più piccolo”.
Nella chimica, rispetto al resto d’Europa come è messa l’Italia?
“Negli anni ’60 e ’70 eravamo un’eccellenza e avevamo grandi multinazionali nel campo. Oggi siamo decisamente indietro, non solo nella chimica ma in generale nel settore del clean-tech. Noi in Italia abbiamo pochissima concorrenza tra le start up e questo è segno di una bassa inclinazione all’investimento nel settore”.
Per le start up in generale, invece, come ci posizioniamo?
“Anche qui non ho una percezione positiva. La Francia di Macron, per esempio, negli ultimi 5 anni ha fatto passi da gigante e scalato le classifiche. Bisognerebbe copiare quel modello che ha semplicemente creato distretti di innovazione competitivi e attratto cervelli dall’estero. Anche l’approccio degli investitori dovrebbe un po’ cambiare. In Italia si investe molto in start up il cui modello e le cui tecnologie non sono esportabili, mentre altre che avrebbero i presupposti per imporsi anche all’estero vengono poco considerate”.