Il Documento programmatico di Bilancio, approvato nei giorni scorsi, faceva presagire un taglio delle tasse per i cittadini italiani (dalle imprese alle buste paga, passando per la riduzione dei tributi in entrambi i casi) ben più sostanzioso di quanto potrebbe essere in realtà.
Secondo l’analisi del Centro Studi di Unimpresa il taglio delle tasse sarà pari a poco meno di 7 miliardi (e, quindi, non l’ammontare a due cifre auspicato da più parti in Parlamento) per la riduzione della pressione fiscale nell’anno a venire.
Cosa pesa (ancora) sulle tasse
Ma cos’è che pesa così tanto, ancora una volta, sulle tasse? Sebbene le motivazioni siano molteplici e complesse, Unimpresa prevede che a pesare sempre di più sul bilancio pubblico dello Stato saranno gli assegni Inps. In altre parole, prime fra tutti, le pensioni.
Il nodo da sciogliere è questo: mentre l’approvazione della Legge di Bilancio è alle porte, non è stato ancora definito il nuovo sistema pensionistico che manderà “a casa” il meccanismo della quota 100 (che, a quanto pare, non ha raggiunto i risultati previsti o sperati). Quindi, ahinoi, c’è la possibilità di un gran ritorno alla Riforma Fornero.
Ecco, il punto è questo e si ricollega alla questione del taglio delle tasse: se il Governo continua a spendere, senza mai far rientrare nelle casse dello Stato la quota necessaria per ristabilire un equilibrio economico, l’Italia si ritroverà in crisi più di prima e l’equilibrio di bilancio potrebbe vacillare pericolosamente.
Ma cosa c’entrano le pensioni? Il meccanismo è semplice e variegato: in un mix che comprende il calo demografico degli ultimi decenni, l’oggettiva difficoltà di trovare un’impiego stabile, duraturo e ben pagato per i più giovani, la carenza delle misure di welfare strutturate in modo tale da aiutare le famiglie e, d’altra parte, l’aumento delle persone che raggiungono l’età pensionabile, rendono imperfetto (e costoso) l’intero sistema.
Per dirla in altro modo, si sta seriamente correndo il rischio di non riuscire a pagare – da qui ai prossimi venti, trenta anni – le pensioni del futuro, se non si fa qualcosa in modo urgente. Ma, al tempo stesso, come ha ricordato anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, esiste un reale allarme – debito sulla riforma pensioni: non si può continuare ad utilizzare il debito pubblico per le spese correnti.
Come si può facilmente intuire, è un cane che si morde la coda. E se già con la Nadef, infatti, l’Italia si trova ad operare in extradeficit per favorire la ripresa economica, c’è chi non getta la spugna: per questo motivo, il Presidente dell’INPS Pasquale Tridico ha proposto e sottolineato di non fare più ricorso al debito pubblico, ormai al suo limite, ma optare per una “pensione flessibile” in più fasi.
Di cosa si tratta? Un pre-pensionamento a 63 anni, con almeno 20 anni di contributi, cui seguirebbe, al compimento dei 67 anni, la restante parte retributiva. Di fatto un anticipo pensionistico che consentirebbe ai lavoratori di evitare lo scalone Fornero e di uscire prima dal lavoro con una pensione ridotta, ma solo temporaneamente.
Il costo per lo Stato? 2,5 miliardi di euro per i primi tre anni. Poco male, insomma, rispetto ai 50 miliardi previsti dalle stime del Centro Studi di Unimpresa. Ma è solo una proposta, per il momento non vi è nulla di certo.
La denuncia di Unimpresa
Con un quadro più delineato, è possibile comprendere meglio l’analisi di Unimpresa, che denuncia come il totale dei fondi a disposizione per l’abbattimento della pressione tributaria sia di 6,97 miliardi (5,97 miliardi dal Dpb e 1 miliardo dalla delega fiscale).
Questo accade perchè
Nel Documento programmatico di bilancio approvato dal consiglio dei ministri, sono indicati 5,97 miliardi (lo 0,317% del pil) per la revisione dell’impianto fiscale per migliorare l’equità, l’efficienza e la trasparenza del sistema tributario. A questa cifra vanno aggiunti i 2 miliardi già stanziati con la cosiddetta delega fiscale, ma la metà è stata già “prenotata” dalla riforma dell’aggio della riscossione.
Ancora una volta, sul taglio delle tasse pesano le pensioni: rispetto agli oltre 287 miliardi del 2021, si arriverà a più di 312 miliardi, con un incremento complessivo superiore a 50 miliardi nell’arco di tre anni. Significa che, almeno nel breve periodo, non si potranno tagliare le tasse ancora molto perché gli assegni Inps peseranno sempre di più sul bilancio pubblico passando dal 32% al 35% del totale delle uscite dalle casse dello Stato.
«La somma prevista per la riduzione dei tributi, in particolare della tassazione dei redditi da lavoro dipendente, è decisamente non adeguata a modificare significativamente le buste paga dei lavoratori e, quindi, da un lato a dare un sollievo economico alle famiglie, dall’altro a dare un impulso positivo ai consumi» rilevano gli analisti di Unimpresa.
Ma cosa significa?
«Oltre un terzo del denaro dei contribuenti verrà impiegato per pagare gli assegni di chi non lavora: si tratta di un evidente squilibrio nell’allocazione delle risorse pubbliche, con un forte sbilanciamento sul versante della previdenza, mentre sarebbe più opportuno introdurre dei correttivi che spostino risorse verso gli investimenti, in particolare quelli destinate al completamento e alla realizzazione delle infrastrutture, anche tecnologiche, e delle grandi opere pubbliche» osservano ancora gli analisti di Unimpresa.
C’è, infine, una nota positiva: sul fronte del debito pubblico, si evidenzia l’importante e positiva riduzione della spesa per interessi, resa possibile sia dal favorevole contenimento dei tassi d’interesse sia dalla maggiore fiducia degli investitori, specie quelli internazionali, verso il nostro Paese.
Rispetto ai 60,4 miliardi del 2021, il Governo ha previsto, col Dpb, 55,2 miliardi nel 2022, 52,4 miliardi nel 2023 e 50,4 miliardi nel 2024. Complessivamente, nell’arco dei prossimi tre anni, si accumulerà un “tesoretto” di 23,2 miliardi (-38,4%) che rendono più sostenibile il costo del “servizio del debito”.