Capita che i fatti di cronaca ci segnalino delle tragiche morti sul lavoro, come è accaduto questa estate quando siamo rimasti atterriti dalla tragica fine di due giovani donne e madri, Luana e Laila, entrambe vittime del malfunzionamento degli impianti con cui lavoravano. Casi eclatanti e strazianti che ci ricordano che le morti sul lavoro rappresentano un’emergenza nazionale a cui però sembra che il Paese, passato il momento di indignazione, assista come ad un cataclisma nei confronti del quale non si possa fare niente.
Ogni giorno, purtroppo, ci sono lavoratori che non tornano dalle loro famiglie perché trovano la morte lavorando. Nei primi sette mesi di quest’anno sono 677 le vittime ufficiali. Un dato inaccettabile. Stiamo parlando di una media di tre morti al giorno e innumerevoli feriti, per non parlare dei numeri delle vittime delle malattie professionali, spesso neanche riconosciute.
Vengono definite “morti bianche” in quanto manca una mano formalmente responsabile dell’accaduto, non si tratta di casualità però, bensì di colpe ascrivibili alla logica del profitto e del fatturato anche a costo di ridurre le misure di sicurezza, allo scarso valore dato alla vita umana, all’ignoranza e alla superficialità. Non un ineluttabile destino ma un dramma nei confronti del quale si dovrebbe intervenire con misure tempestive e straordinarie nel breve e nel lungo termine.
Innanzitutto va sottolineato che al momento in Italia abbiamo 3000 ispettori del lavoro complessivamente a fronte di 4 milioni di aziende censite, un numero eccessivamente esiguo. Affrettare quindi l’assunzione di nuovo personale e rafforzare l’ispettorato nazionale del lavoro e quindi il ruolo del pubblico in tutti i segmenti che si occupano di sicurezza sul lavoro, per assicurare maggiori e più approfondite ispezioni, rappresenta la priorità assoluta .
Normative più stringenti, penalità maggiori e strategie deterrenti come ad esempio la patente a punti per le aziende proposta dalla CGIL, possono rappresentare strumenti efficaci per fermare questa spirale di morti e feriti di lavoro. Creare un sistema che penalizzi fortemente chi non garantisce la sicurezza dei lavoratori attraverso anche l’esclusione da gare e appalti e premi le aziende più virtuose. Cosi come investire fortemente in tecnologie all’avanguardia per strumenti che assicurino maggiore sicurezza. Si tratterebbe di investire fortemente anche in termini economici con soldi nuovi ma anche con i fondi INAIL spesso poco utilizzati.
E poi ci vorrebbe tanta formazione per tutti gli attori in causa Il vero cambio di passo si ottiene solo con una rivoluzione culturale. Non può esserci un lavoratore che accetta di svolgere il proprio compito non in sicurezza perché teme di perdere il lavoro o perché spesso è addirittura inconsapevole dei rischi che corre, non può esserci un datore di lavoro che per una logica di profitto o anche per ignoranza mette a rischio la salute dei suoi dipendenti. che
Nella piattaforma presentata da CGIL CISL UIL su salute e sicurezza c’è la proposta di inserire la materia nei programmi scolastici. Educare alla sicurezza fin dalla più giovane età rappresenta il vero paradigma del cambiamento che potrà portare in futuro a non dover contare più i morti ed i feriti di stragi evitabili.